2023-10-26
L’astio verso gli ebrei fa scordare il pogrom
Il kibbutz di Be'eri, teatro dell'assalto di Hamas del 7 ottobre, dove sono state uccise 108 persone (Ansa)
L’eccidio di Hamas del 7 ottobre sembra già dimenticato, surclassato dallo sgomento per le vittime di Gaza. Ma l’effetto boomerang non è la sola causa della scarsa vicinanza a Gerusalemme: a pesare è proprio il pregiudizio contro Israele, che sa di antisemitismo.Paolo Mieli sul Corriere della Sera si stupisce perché gli ebrei assassinati mentre ballavano o dormivano nelle loro case sono già stati dimenticati. Io non sono affatto sorpreso, anzi davo per scontato che, nonostante il numero enorme di vittime, l’eccidio del 7 ottobre sarebbe stato scordato in fretta, insieme al rapimento di giovani, anziani e bambini che tuttora sono rinchiusi sottoterra. Ogni cosa passa, anche l’orrore, soprattutto se a una strage se ne aggiungono subito altre. Un collega come Fausto Biloslavo, testimone diretto di molti conflitti, pochi giorni dopo il pogrom nei villaggi vicini alla Striscia di Gaza si era lasciato andare a un’analoga previsione: tra una settimana parleremo dei morti palestinesi e non più di quelli di Israele. In fondo, è ciò su cui fa conto Hamas e chi la sponsorizza e finanzia, calcolando le reazioni israeliane all’eccidio. Le nuove vittime di una battaglia che va avanti da 75 anni scacciano le precedenti, così come nei titoli dei giornali la guerra in Ucraina ha lasciato posto a quella in Medio Oriente. I morti non sono tutti uguali, come si crede, perché quelli di oggi pesano nella memoria dell’opinione pubblica assai più di quelli di ieri.Non bastano a smuovere gli animi le urla della ragazza che telefona al padre e grida disperata «ci stanno uccidendo». Né scuote troppo le coscienze l’intercettazione in cui si sente il miliziano di Hamas che chiama casa per raccontare con orgoglio di aver ammazzato con le proprie mani dieci ebrei. Perché lo sgomento è surclassato da un altro sgomento, ad esempio per i bambini morti a Gaza sotto le bombe. E anche se non ci sono le testimonianze in diretta dell’eccidio, parlano i sopravvissuti e si sentono le urla disperate delle madri. È con questa realtà che Israele deve fare i conti ed è per tale ragione che oltre una settimana fa invitavo Gerusalemme a dosare la propria forza e la propria vendetta, perché in caso contrario rischierebbe l’effetto boomerang. Le immagini ripugnanti della strage di Kfar Aza o di Be’eri non giustificherebbero quelle altrettanto scioccanti di nuovi cadaveri, ma questa volta in terra palestinese. «L’atto originario dell’attuale conflitto, gli oltre mille abitanti di Israele sgozzati, bruciati vivi e in parte rapiti, quell’atto è pressoché scomparso dall’universo della comunicazione» scrive Mieli. «Ha dovuto cedere il passo al “genocidio” perpetrato contro la popolazione di Gaza a cui allude il segretario dell’Onu». Si capisce dunque il perché di una solidarietà tiepida nei confronti di Israele. Nonostante abbia subito uno dei più gravi attacchi terroristici della storia – di certo il più pesante mai registrato all’interno dei propri confini – non ci sono state manifestazioni a sostegno delle vittime nel deserto. Se per la strage nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi scesero in piazza a migliaia e in un corteo guidato da molti capi di Stato dichiararono tutti «Je suis Charlie», nessuno o quasi si è mosso di fronte al pogrom del 7 ottobre. A Gerusalemme sono volati i capi di Stato: Biden, Scholz, Sunak, Meloni e Macron, ma nulla di più. Semmai le piazze si sono riempite di quanti urlavano «Palestina libera». E la gente che sfilava era più preoccupata dalla reazione di Israele che di ciò che aveva subito Israele stessa. Del resto, se un alleato dell’organizzazione di difesa atlantica dice che i miliziani di Hamas non sono terroristi, ma combattenti per la liberazione e il segretario dell’Onu «giustifica» la strage facendo riferimento a quel che è avvenuto prima, è difficile immaginare un’opinione pubblica che si stringa compatta intorno a Gerusalemme. A intiepidire poi, fino ad annullarla, la solidarietà nei confronti di Israele, oltre all’offensiva di fuoco scatenata dall’esercito di Gerusalemme contro Gaza e, inevitabilmente, contro la popolazione civile, c’è anche una sorta di pregiudizio nei confronti di Israele, che non è visto come una moderna democrazia occidentale, per quanto imperfetta, piantata nel cuore del Medio Oriente, ma come una dittatura europea innestata abusivamente in terra araba, che da tre quarti di secolo genera instabilità nella regione. Non ci sono insomma solo la memoria corta o gli errori di comunicazione, come pare ritenere Mieli. C’è anche una dichiarata è forte antipatia nei confronti dello Stato ebraico che rasenta l’antisemitismo. Sarà perché il governo di Gerusalemme è visto come la longa manus dell’America e dunque, secondo un vecchio cliché, delle multinazionali. Sarà perché al governo del Paese c’è un signore che in Occidente non è proprio popolarissimo, soprattutto dopo le sue azioni per rimanere attaccato alla poltrona. Sta di fatto che, mai come ora, una parte importante dell’opinione pubblica non ha a cuore il destino dell’unica democrazia nell’area. Qualcuno dice di non avercela con gli ebrei, bensì con il sionismo. Ma dietro i distinguo a me pare di cogliere una vecchia insofferenza. A chi è ebreo non si perdona di ricordare ogni giorno la Shoah e di testimoniare ogni 27 gennaio lo sterminio che ha segnato il secolo scorso. Quindi, per reazione si invoca la pace in Palestina. Senza nemmeno sapere che i «combattenti per la liberazione» (così li chiama Erdogan) vogliono la guerra.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)