2022-11-24
Asse Bonomi-Conte per difendere la linea dei sussidi
Carlo Bonomi (Imagoeconomica)
Confindustria critica la manovra ma non propone una ricetta per alzare i salari. Cassa e Rdc sono lati della stessa medaglia.Per valutare fino in fondo la manovra mancano ancora degli elementi per capire i dettagli delle coperture. Risparmi arriveranno dal reddito di cittadinanza, più gettito (almeno nella speranza) dagli extraprofitti e meno spese con la riduzione delle agevolazioni fiscali. Sulle micro imposte invece non c’è ancora certezza. Eppure ieri il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi, è già arrivato al terzo grado di giudizio. «Sulla manovra pendono tre incognite», si legge sulle colonne de La Stampa dove ha rilasciato una lunga intervista. «La prima è il tempo, la sua durata, cose a cui nessuno sembra pensare. Poi c’è la politica: è evidente che sono state prese decisioni per accontentare le diverse anime della maggioranza e questo viene prima delle vere urgenze del Paese. La terza è la mancanza di visione. Sulla lotta alla povertà, come su occupazione e produttività». Agli imprenditori, ha aggiunto, «preme lavorare sul Pil potenziale e la crescita del Paese» e non «prendere micro decisioni e spostare tutto avanti di tre mesi», certo «è un bene che si sia tenuta la barra dritta sulla finanza pubblica». La fine del Reddito di cittadinanza, ha concluso Bonomi , «è un annuncio. Si è preso tempo senza dire come intervenire per alzare l’occupabilità mentre sul cuneo non si fa un intervento decisivo. Il mini taglio aggiuntivo vale 46 euro lordi in più al mese ai dipendenti con meno redditi. Poco più di nulla. Serviva un taglio energico». Se prendiamo l’ultima affermazione senza allargare lo sguardo Bonomi ha tutte le ragioni. L’unico vero intervento sul cuneo fiscale che ha un minimo impattato sui consumi fu quello messo in campo da Romano Prodi. La spesa ai tempi fu superiore ai 9 miliardi di euro, attualizzati. Chiaramente, il mini intervento smuoverà molto poco. Fa però uno strano effetto notare che il capo degli industriali si trovi perfettamente allineato (anche se con motivi molto diversi) al capo del Reddito di cittadinanza, Giuseppe Conte, e - a tratti - con certi editoriali del Fatto Quotidiano. I due e il quotidiano di riferimento dei 5 stelle hanno in comune almeno una preferenza politica: quella dei sussidi. Il reddito di cittadinanza e gli incentivi fiscali alle aziende sono nei fatti due lati della stessa medaglia. Garantire un assegno mensile anche a chi può lavorare permette alla politica di avere indietro pacchetti di voti e permette al mondo industriale di congelare i problemi. Una esplosione della disoccupazione metterebbe in discussione il mondo della cassaintegrazione, quindi imporrebbe a tutti gli attori di dover rivedere schemi vecchi di almeno 30 anni. D’altra parte questo governo vuole tagliare le tax expenditures e molte aziende le hanno ben integrate nei propri bilanci. In altre parole, il problema dell’Italia è il tasso bassissimo di produttività. A tarpare le ali a tale valore ci sono tanti elementi e tanti nodi. Sicuramente la tassazione (vedi il caso del cuneo), ma anche la scarsa flessibilità del mercato e la mancanza di investimenti infrastrutturali sia pubblici sia privati. Detto questo, l’attività di lobby è più che legittima e il capo degli industriali è tenuto a spingere o proporre ciò che più ritiene utile per i suoi associati. L’approccio di Bonomi è sempre un po’ naif. Vale la pena ricordare l’endorsement a Giuseppi a pochi giorni dalla caduta del Conte bis. Una gran sviolinata al Pnrr messo a terra da Roberto Gualtieri e una richiesta di continuità politica. In totale discontinuità con le dichiarazioni del 2020. All’epoca Bonomi criticò proprio il Pnrr che un anno dopo lodava dicendo che Conte avrebbe fatto bene a copiare lo schema già studiato da Confindustria. Poi la conversione sulla via di Damasco che gli ha permesso nel gennaio del 2021 di schierarsi contro i partiti che volevano far cadere Conte e poi a pochi mesi di distanza contro gli stessi partiti rei di fare pressioni su Mario Draghi (nel frattempo diventato premier) e contro la sua linea di rigore. Vale la pena citare il commento di Matteo Renzi. A settembre 2021 un giornalista di Italpress ebbe a chiedere al senatore di Scandicci: «Bonomi ha chiesto ai partiti di lasciare perdere con le beghe interne e le tensioni per le comunali e il Colle. Condivide?». Risposta: «Ho apprezzato la relazione, ma giudico stucchevole l’attacco alla politica. È naturale che i partiti si dividano per le amministrative o per il Quirinale: si chiama democrazia. Non conosco il dottor Bonomi e non dubito della sua passione civica, ma non prendo lezioni di politica da lui». D’altronde Renzi è rimasto scottato dal rapporto con Confindustria, l’associazione che nel 2016 stimò un crollo sensibile del Pil in caso di vittoria del No al referendum di Matteo. Perse il sì e il Pil, anche se di poco, salì. Questo a spiegare che sarebbe interessante vedere la Confindustria un po’ meno schierata a sinistra e con i sindacati. Sarebbe interessante capire come pensa Viale dell’Astronomia di trovare il modo di alzare i salari e quali proposte ha al di là del cuneo fiscale. Ieri Volkswagen ha annunciato l’aumento dei salari di un 8,5% medio. Le grandi aziende straniere stanno iniziando a fronteggiare l’inflazione. In Italia a oggi si sono mosse solo le banche. Il governo attuale è andato in continuità con le scelte che avrebbe preso Mario Draghi (colui che Bonomi lodava). La speranza è che il Pil torni a correre. A quel punto è bene che ciascuno torni a fare il proprio mestiere. Da un lato la politica, dall’altro gli industriali.