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2020-04-29
«Assassini e ladri alleati della camorra nel campo dei rom»
Ansa
Gli «intoccabili» se ne stanno tra baracche, camper e lamiere, in Via Carrafiello, a Giugliano in Campania, il Comune non capoluogo di provincia più popoloso d'Italia con i suoi 123.387 abitanti. «Intoccabili» perché nessuno se ne occupa. Né la magistratura tanto meno le forze dell'ordine. Vivono e delinquono indisturbati. Sono i rom del campo nomadi da cui provengono i quattro balordi che, l'altra notte, hanno ammazzato l'agente scelto Pasquale Apicella, 37 anni. Stavano sradicando un bancomat dalla filiale del Credit agricole in una strada poco lontana da Piazza Carlo III, nel cuore di Napoli. Sono stati scoperti e hanno iniziato un folle inseguimento che si è concluso contro la volante della polizia. L'urto è stato così forte che una mano invisibile ha strappato il motore dal cofano dell'auto dei banditi e l'ha scaraventato a metri di distanza sul marciapiedi.
«Sono criminali efferati», ci spiega una fonte della Squadra mobile partenopea, «che godono di una sorta di immunità di fatto: sui campi rom dell'area nord di Napoli (dove vive circa un migliaio di uomini, ndr) non ci sono blitz né attività investigative. Mancano gli interpreti capaci di tradurre i dialetti intercettati al cellulare. Un misto di serbo, croato e montenegrino con inflessioni che solo chi è nato e vissuto in quelle comunità conosce». I quattro balordi, incarcerati con l'accusa di omicidio volontario, saranno interrogati quest'oggi dal gip per la convalida del fermo. Due sono stati bloccati mentre erano ancora storditi per l'impatto nella vettura, altri due hanno tentato la fuga ma sono stati fermati poche ore dopo. «Quel campo nomadi è un enorme centro di ricettazione oltre che il quartier generale di gruppi organizzati di rom che svaligiano case e negozi in Campania, nel basso Lazio e in Molise», ci spiega un graduato dell'Arma dei carabinieri. «Molti gps, posizionati sulle batterie dei ponti ripetitori delle antenne telefoniche, merce particolarmente ricercata sul mercato nero, finiscono la loro corsa nella bidonville di Via Carrafiello: ma sappiamo che è inutile andare a cercare lì». Il capo attuale dell'insediamento, dove sono stati censiti circa 250 soggetti, si chiama Ahmetovic. È lui che coordina tutte le attività, ed è lui ad avere potere assoluto sui suoi «sudditi». Tutti imparentati tra di loro, peraltro.
«I rapporti con la camorra esistono, e sono documentati in anni di indagini sulle cosche dell'area nord: nei campi rom, i boss sanno di poter nascondere sempre armi e macchine che scottano». Il campionario dei reati è vario. Bande di nomadi si sono specializzate nel furto dei cavi di rame dalle linee ferroviarie e nella successiva fusione. «Sono i fumi di questi rudimentali altiforni che avvelenano la Terra dei fuochi», prosegue il militare, «enormi pire di materiale plastico e pneumatici che alimentano le fornaci che scioglieranno i metalli». Con lo stesso sistema, vengono fabbricati lingottini d'oro dai gioielli razziati nelle abitazioni o con furti di destrezza. «Un altro affare gestito dai nomadi del campo rom di Giugliano è quello dei cavalli di ritorno che prevede il pagamento di un riscatto per ottenere la restituzione della vettura trafugata». I «bolidi» pregiati vengono invece trattenuti per essere smembrati e rivenduti all'estero. Le amministrazioni comunali giuglianesi hanno provato, per anni, a sgomberare le aree occupate, arrivando finanche a offrire premi in denaro, ma il risultato è stata la sola moltiplicazione dei «villaggi» illegali.
«L'incidente dell'altra notte non è una fatalità: prima o poi doveva accadere. Sono anni che scorrazzano indisturbati per l'hinterland. I rapinatori rom usano macchine pesanti come le Audi proprio perché hanno l'abitudine di speronare le auto delle forze dell'ordine. È gente senza scrupoli».
La dinamica della tragedia lo conferma: la volante guidata da Apicella è stata letteralmente centrata dai nomadi in fuga contromano lungo Calata Capodichino. Non hanno sterzato né frenato come pure avrebbero potuto fare considerata l'ampiezza della strada e la sua lunghezza. Apicella ha cercato di bloccarli, ed è rimasto travolto dall'Audi dei banditi. Lui era così, generoso e senza paura. E un suo amico, Luigi, ieri su Facebook ha citato un episodio emblematico. «L'11 maggio dell'anno scorso mi inviasti questa foto, una ferita sempre dovuta ad un incidente durante un inseguimento. Io ti dissi di fare attenzione e tu mi rispondesti che era il tuo mestiere». E, per centinaia di colleghi che piangono un uomo perbene, che lascia moglie e figli di sei anni e quattro mesi, e attendono ora dal governo l'autorizzazione per partecipare in massa ai funerali, c'è chi non ha perso l'occasione per dimostrare la sua disumanità. Una donna di 52 anni di Cagliari è stata denunciata per aver offeso la memoria del poliziotto sui social network. Sotto la foto della volante sfasciata, ha commentato: «Ogni tanto una gioia».
La bomba contagi di don Biancalani
Dopo giorni di feroci proteste da parte dei residenti, di tensioni con i cittadini di Pistoia e di prese di posizione di Lega e Fratelli d'Italia, finalmente anche gli immigrati ospiti del centro di Vicofaro, gestito da don Massimo Biancalani, si sono sottoposti ai test sierologici sul Covid-19. Al momento ci sono due africani in isolamento e un terzo caso sospetto. Entro la fine della settimana ci saranno i risultati definitivi.
Nella città toscana c'è una tensione palpabile. Il rischio che i tamponi possano dare esiti positivi è concreto. E le conseguenze sul centro di accoglienza più discusso d'Italia diventerebbero imprevedibili. Il sacerdote, su indicazione delle autorità sanitarie, ha deciso di blindare la sua parrocchia. Da ieri nessuno entra, nessuno esce. Un tentativo, probabilmente tardivo, di seguire in modo scrupoloso le regole alle quali sono stati sottoposti gli italiani negli ultimi due mesi: lavarsi con assidua frequenza le mani, indossare senza discussione le mascherine e non avere nessun tipo di contatto con gli altri ospiti.
L'intervento di screening è stato diretto dalla Asl. «Per il centro di accoglienza pistoiese», si legge in una nota, «sono state intraprese azioni di prevenzione analoghe a quelle adottate nelle Rsa. Sono state messe in atto le stesse procedure di valutazione epidemiologica adottate già per altre comunità a tutela degli ospiti».
Il centro di don Biancalani era tornato agli onori della cronaca nell'ultimo mese almeno altre due volte. Correva il 19 marzo quando un video, girato da un vicino esasperato, mostrava gli immigrati senza mascherina, uno vicino all'altro, che parlavano serenamente tra loro nel cortile della parrocchia. Ma non solo. Gli africani, secondo numerose testimonianze, entravano e uscivano a proprio piacimento, senza alcun controllo. Tre giorni prima una rissa, legata all'uso della cucina e, probabilmente, all'abuso di alcolici. «Siamo lasciati soli da tutti», si lamentò don accoglienza, «dallo Stato e anche dalla Chiesa. Ho parlato con il questore e con la prefetta reggente, promettendo loro di far rispettare dai migranti ospitati in questa struttura le regole per il contenimento del contagio del coronavirus».
Lunedì scorso una nuova rissa ha portato due nigeriani in ospedale. In un video si vede un immigrato, prontamente fermato da un carabiniere, che cerca di aggredire un residente, reo di essersi permesso di proferire parola sulla gestione della parrocchia di Vicofaro.
«È una notizia davvero molto preoccupante», ha sottolineato Francesco Torselli, coordinatore regionale di Fratelli d'Italia. «Esistono forti dubbi su come don Biancalani gestisca questo centro e su quali siano le condizioni in cui vengono tenuti gli ospiti all'interno. Poche ore prima del test i migranti erano tutti in strada a ballare e cantare Bella ciao in mezzo ad altri cittadini. Chi può garantirci che tra i novelli partigiani-ballerini non vi fossero anche quelli che sono stati riscontrati positivi?».
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Riduci
I balordi che hanno ucciso l'agente vengono da Giugliano, centro di ricettazione di tre regioni. Con immunità di fatto.La bomba contagi di don Massimo Biancalani. Test di massa nel discusso centro di accoglienza di Pistoia: due africani in isolamento e un terzo caso sospetto. Tensione per la libertà concessa agli ospiti e i continui litigi.Lo speciale comprende due articoli. Gli «intoccabili» se ne stanno tra baracche, camper e lamiere, in Via Carrafiello, a Giugliano in Campania, il Comune non capoluogo di provincia più popoloso d'Italia con i suoi 123.387 abitanti. «Intoccabili» perché nessuno se ne occupa. Né la magistratura tanto meno le forze dell'ordine. Vivono e delinquono indisturbati. Sono i rom del campo nomadi da cui provengono i quattro balordi che, l'altra notte, hanno ammazzato l'agente scelto Pasquale Apicella, 37 anni. Stavano sradicando un bancomat dalla filiale del Credit agricole in una strada poco lontana da Piazza Carlo III, nel cuore di Napoli. Sono stati scoperti e hanno iniziato un folle inseguimento che si è concluso contro la volante della polizia. L'urto è stato così forte che una mano invisibile ha strappato il motore dal cofano dell'auto dei banditi e l'ha scaraventato a metri di distanza sul marciapiedi.«Sono criminali efferati», ci spiega una fonte della Squadra mobile partenopea, «che godono di una sorta di immunità di fatto: sui campi rom dell'area nord di Napoli (dove vive circa un migliaio di uomini, ndr) non ci sono blitz né attività investigative. Mancano gli interpreti capaci di tradurre i dialetti intercettati al cellulare. Un misto di serbo, croato e montenegrino con inflessioni che solo chi è nato e vissuto in quelle comunità conosce». I quattro balordi, incarcerati con l'accusa di omicidio volontario, saranno interrogati quest'oggi dal gip per la convalida del fermo. Due sono stati bloccati mentre erano ancora storditi per l'impatto nella vettura, altri due hanno tentato la fuga ma sono stati fermati poche ore dopo. «Quel campo nomadi è un enorme centro di ricettazione oltre che il quartier generale di gruppi organizzati di rom che svaligiano case e negozi in Campania, nel basso Lazio e in Molise», ci spiega un graduato dell'Arma dei carabinieri. «Molti gps, posizionati sulle batterie dei ponti ripetitori delle antenne telefoniche, merce particolarmente ricercata sul mercato nero, finiscono la loro corsa nella bidonville di Via Carrafiello: ma sappiamo che è inutile andare a cercare lì». Il capo attuale dell'insediamento, dove sono stati censiti circa 250 soggetti, si chiama Ahmetovic. È lui che coordina tutte le attività, ed è lui ad avere potere assoluto sui suoi «sudditi». Tutti imparentati tra di loro, peraltro.«I rapporti con la camorra esistono, e sono documentati in anni di indagini sulle cosche dell'area nord: nei campi rom, i boss sanno di poter nascondere sempre armi e macchine che scottano». Il campionario dei reati è vario. Bande di nomadi si sono specializzate nel furto dei cavi di rame dalle linee ferroviarie e nella successiva fusione. «Sono i fumi di questi rudimentali altiforni che avvelenano la Terra dei fuochi», prosegue il militare, «enormi pire di materiale plastico e pneumatici che alimentano le fornaci che scioglieranno i metalli». Con lo stesso sistema, vengono fabbricati lingottini d'oro dai gioielli razziati nelle abitazioni o con furti di destrezza. «Un altro affare gestito dai nomadi del campo rom di Giugliano è quello dei cavalli di ritorno che prevede il pagamento di un riscatto per ottenere la restituzione della vettura trafugata». I «bolidi» pregiati vengono invece trattenuti per essere smembrati e rivenduti all'estero. Le amministrazioni comunali giuglianesi hanno provato, per anni, a sgomberare le aree occupate, arrivando finanche a offrire premi in denaro, ma il risultato è stata la sola moltiplicazione dei «villaggi» illegali.«L'incidente dell'altra notte non è una fatalità: prima o poi doveva accadere. Sono anni che scorrazzano indisturbati per l'hinterland. I rapinatori rom usano macchine pesanti come le Audi proprio perché hanno l'abitudine di speronare le auto delle forze dell'ordine. È gente senza scrupoli».La dinamica della tragedia lo conferma: la volante guidata da Apicella è stata letteralmente centrata dai nomadi in fuga contromano lungo Calata Capodichino. Non hanno sterzato né frenato come pure avrebbero potuto fare considerata l'ampiezza della strada e la sua lunghezza. Apicella ha cercato di bloccarli, ed è rimasto travolto dall'Audi dei banditi. Lui era così, generoso e senza paura. E un suo amico, Luigi, ieri su Facebook ha citato un episodio emblematico. «L'11 maggio dell'anno scorso mi inviasti questa foto, una ferita sempre dovuta ad un incidente durante un inseguimento. Io ti dissi di fare attenzione e tu mi rispondesti che era il tuo mestiere». E, per centinaia di colleghi che piangono un uomo perbene, che lascia moglie e figli di sei anni e quattro mesi, e attendono ora dal governo l'autorizzazione per partecipare in massa ai funerali, c'è chi non ha perso l'occasione per dimostrare la sua disumanità. Una donna di 52 anni di Cagliari è stata denunciata per aver offeso la memoria del poliziotto sui social network. Sotto la foto della volante sfasciata, ha commentato: «Ogni tanto una gioia».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/assassini-e-ladri-alleati-della-camorra-nel-campo-dei-rom-2645866186.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-bomba-contagi-di-don-biancalani" data-post-id="2645866186" data-published-at="1588102011" data-use-pagination="False"> La bomba contagi di don Biancalani Dopo giorni di feroci proteste da parte dei residenti, di tensioni con i cittadini di Pistoia e di prese di posizione di Lega e Fratelli d'Italia, finalmente anche gli immigrati ospiti del centro di Vicofaro, gestito da don Massimo Biancalani, si sono sottoposti ai test sierologici sul Covid-19. Al momento ci sono due africani in isolamento e un terzo caso sospetto. Entro la fine della settimana ci saranno i risultati definitivi. Nella città toscana c'è una tensione palpabile. Il rischio che i tamponi possano dare esiti positivi è concreto. E le conseguenze sul centro di accoglienza più discusso d'Italia diventerebbero imprevedibili. Il sacerdote, su indicazione delle autorità sanitarie, ha deciso di blindare la sua parrocchia. Da ieri nessuno entra, nessuno esce. Un tentativo, probabilmente tardivo, di seguire in modo scrupoloso le regole alle quali sono stati sottoposti gli italiani negli ultimi due mesi: lavarsi con assidua frequenza le mani, indossare senza discussione le mascherine e non avere nessun tipo di contatto con gli altri ospiti. L'intervento di screening è stato diretto dalla Asl. «Per il centro di accoglienza pistoiese», si legge in una nota, «sono state intraprese azioni di prevenzione analoghe a quelle adottate nelle Rsa. Sono state messe in atto le stesse procedure di valutazione epidemiologica adottate già per altre comunità a tutela degli ospiti». Il centro di don Biancalani era tornato agli onori della cronaca nell'ultimo mese almeno altre due volte. Correva il 19 marzo quando un video, girato da un vicino esasperato, mostrava gli immigrati senza mascherina, uno vicino all'altro, che parlavano serenamente tra loro nel cortile della parrocchia. Ma non solo. Gli africani, secondo numerose testimonianze, entravano e uscivano a proprio piacimento, senza alcun controllo. Tre giorni prima una rissa, legata all'uso della cucina e, probabilmente, all'abuso di alcolici. «Siamo lasciati soli da tutti», si lamentò don accoglienza, «dallo Stato e anche dalla Chiesa. Ho parlato con il questore e con la prefetta reggente, promettendo loro di far rispettare dai migranti ospitati in questa struttura le regole per il contenimento del contagio del coronavirus». Lunedì scorso una nuova rissa ha portato due nigeriani in ospedale. In un video si vede un immigrato, prontamente fermato da un carabiniere, che cerca di aggredire un residente, reo di essersi permesso di proferire parola sulla gestione della parrocchia di Vicofaro. «È una notizia davvero molto preoccupante», ha sottolineato Francesco Torselli, coordinatore regionale di Fratelli d'Italia. «Esistono forti dubbi su come don Biancalani gestisca questo centro e su quali siano le condizioni in cui vengono tenuti gli ospiti all'interno. Poche ore prima del test i migranti erano tutti in strada a ballare e cantare Bella ciao in mezzo ad altri cittadini. Chi può garantirci che tra i novelli partigiani-ballerini non vi fossero anche quelli che sono stati riscontrati positivi?».
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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La reazione di tanti è però ambigua, come è nella natura degli italiani, scaltri e navigati, e di chi ha uso di mondo. Bello in via di principio ma in pratica come si fa? Tecnicamente si può davvero lasciare loro lo smartphone ma col «parental control» che inibisce alcuni social, o ci saranno sotterfugi, scappatoie, nasceranno simil-social selvatici e dunque ancora più pericolosi, e saremo punto e daccapo? Giusto il provvedimento, bravi gli australiani ma come li tieni poi i ragazzi e le loro reazioni? E se poi scappa il suicidio, l’atto disperato, o il parricidio, il matricidio, del ragazzo imbestialito e privato del suo super-Io in display; se i ragazzi che sono fragili vengono traumatizzati dal divieto, i governi, le autorità non cominceranno a fare retromarcia, a inventarsi improbabili soluzioni graduali, a cominciare coi primi distinguo che poi vanificano il provvedimento? E poi, botta finale: è facile concepire queste norme restrittive quando non si hanno ragazzini in casa, o pretendere di educare gli educatori quando si è ben lontani da quelle gabbie feroci che sono le aule scolastiche! Provate a mettervi nei nostri panni prima di fare i Catoni da remoto!
Avete ragione su tutto, ma alla fine se volete tentare di guidare un po’ il futuro, se volete aiutare davvero i ragazzi, se volete dare e non solo subire la direzione del mondo, dovete provare a non assecondarli, a non rifugiarvi dietro il comodo fatalismo dei processi irreversibili, e dunque il fatalismo dei sì, perché sono assai più facili dei no. Ma qualcosa bisogna fare per impedire l’istupidimento in tenera età e in via di formazione degli uomini di domani. Abbiamo una responsabilità civile e sociale, morale e culturale, abbiamo dei doveri, non possiamo rassegnarci al feticcio del fatto compiuto. Abbiamo criticato per anni il pigro conformismo delle società arcaiche che ripetevano i luoghi comuni e le pratiche di vita semplicemente perché «si è fatto sempre così». E ora dovremmo adottare il conformismo altrettanto pigro, e spesso nocivo, delle società moderne e postmoderne con la scusa che «lo fanno tutti oggi, e non si può tornare indietro». Di questa decisione australiana io condivido lo spirito e la legge; ho solo un’inevitabile allergia per i divieti, ma in questi casi va superata, e un’altrettanto comprensibile diffidenza sull’efficacia e la durata del provvedimento, perché anche in Australia, perfino in Australia, si troveranno alla fine i modi per aggirare il divieto o per sostituire gli accessi con altri. Figuratevi da noi, a Furbilandia. Ma sono due perplessità ineliminabili che non rendono vano il provvedimento che resta invece necessario; semmai andrebbe solo perfezionato.
Il problema è la dipendenza dai social, e la trasformazione degli accessi in eccessi: troppe ore sui social, e questo vale anche per gli adulti e per i vecchi, un po’ come già succedeva con la televisione sempre accesa ma con un grado virale di attenzione e di interattività che rende lo smartphone più nocivo del già noto istupidimento da overdose televisiva.
Si perde la realtà, la vita vera, le relazioni e le amicizie, le esperienze della vita, l’esercizio dell’intelligenza applicata ai fatti e ai rapporti umani, si sterilizzano i sentimenti, si favorisce l’allergia alle letture e alle altre forme socio-culturali. È un mondo piccolo, assai più piccolo di quello descritto così vivacemente da Giovannino Guareschi, che era però pieno di umanità, di natura, di forti passioni e di un rapporto duro e verace con la vita, senza mediazioni e fughe; ma anche con il Padreterno e con i misteri della fede. Quel mondo iscatolato in una teca di vetro di nove per sedici centimetri è davvero piccolo anche se ha l’apparenza di portarti in giro per il mondo, e in tutti i tempi. Sono ipnotizzati dallo Strumento, che diventa il tabernacolo e la fonte di ogni luce e di ogni sapere, di ogni relazione e di ogni rivelazione; bisogna spezzare l’incantesimo, bisogna riprendere a vivere e bisogna saper farne a meno, per alcune ore del giorno.
La stupida Europa che bandisce culti, culture e coltivazioni per imporre norme, algoritmi ed espianti, dovrebbe per una volta esercitarsi in una direttiva veramente educativa: impegnarsi a far passare la legge australiana anche da noi, magari più circostanziata e contestualizzata. L’Europa può farlo, perché non risponde a nessun demos sovrano, a nessuna elezione; i governi nazionali temono troppo l’impopolarità, le opposizioni e la ritorsione dei ragazzi e dei loro famigliari in loro soccorso o perché li preferiscono ipnotizzati sul video così non richiedono attenzioni e premure e non fanno danni. Invece bisogna pur giocare la partita con la tecnologia, favorendo ciò che giova e scoraggiando ciò che nuoce, con occhio limpido e mente lucida, senza terrore e senza euforia.
Mi auguro anzi che qualcuno in grado di mutare i destini dei popoli, possa concepire una visione strategica complessiva in cui saper dosare in via preliminare libertà e limiti, benefici e sacrifici, piaceri e doveri, che poi ciascuno strada facendo gestirà per conto suo. E se qualcuno dirà che questo è un compito da Stato etico, risponderemo che l’assenza di limiti e di interesse per il bene comune, rende gli Stati inutili o dannosi, perché al servizio dei guastatori e dei peggiori o vigliaccamente neutri rispetto a ciò che fa bene e ciò che fa male. È difficile trovare un punto di equilibrio tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità, ma se gli Stati si arrendono a priori, si rivelano solo inutili e ingombranti carcasse. Per evitare lo Stato etico fondano lo Stato ebete, facile preda dei peggiori.
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