
Emilio Neri, un lettore di Belluno, mi chiede perché La Verità parli poco delle castronerie dei ministri a 5 stelle, evitando di mettere nel mirino la politica della «decrescita felice». Non faccio fatica a rispondere: se parliamo poco delle strampalate idee grilline è perché al momento sono limitate ai titoli di giornale e non fanno parte delle misure trasformate in legge. Da quando il governo ha visto la luce, sulle pagine delle stampa sono apparse molte dichiarazioni dei seguaci del movimento, ma grazie al cielo poche hanno trovato una traduzione in provvedimenti normativi. Insomma, molte chiacchiere e poca sostanza. Così è per il reddito di cittadinanza, che viene promesso dal vicepremier Luigi Di Maio ma che al dunque non ha una formulazione precisa. Si farà? E da quando, ma soprattutto per chi? Quanti saranno gli aventi diritto e quale il periodo in cui ogni disoccupato ne potrà beneficiare? Per i pentastellati questa è una promessa irrinunciabile, ma per gli italiani le cose cambiano a seconda della declinazione. Perché se le maglie sono strette l'intervento potrebbe avere un impatto limitato sui conti dello Stato, mentre se si allargano il buco potrebbe diventare una voragine.Come Neri e forse anche altri lettori sanno, penso che il reddito di cittadinanza se applicato in massa e senza controlli possa diventare non un contributo per aiutare chi ha perso il lavoro e ne cerca un altro, ma un incentivo a passare al lavoro nero per tutti coloro che hanno un posto fisso. Da misura per sostenere l'economia, potrebbe in breve trasformarsi in una mossa per affossarla del tutto, spingendo un po' di italiani a campare di solo sussidio. Insomma, il reddito di cittadinanza non mi convince, ma per poterlo criticare in maniera più approfondita vorrei una proposta concreta e non una semplice dichiarazione. A dire il vero non mi è piaciuto neppure il decreto sul lavoro, quello che ha limitato la libertà di manovra sui contratti. L'intento probabilmente era nobile e mirava a ridurre l'utilizzo dei voucher e delle assunzioni a tempo. In un mercato assai rigido come il nostro, soprattutto per quanto riguarda finanziamenti e mutui, se non puoi esibire una busta paga che non sia precaria non sei nessuno. Dunque, Di Maio e i suoi compagni devono aver pensato che fosse utile contenere il lavoro a ore, impedendo che gli impiegati fossero trasformati in colf. Il risultato ottenuto probabilmente non è il migliore, anche se le critiche mi sono parse sproporzionate. Quello sul lavoro però è anche stato l'unico vero provvedimento che i grillini si siano potuti intestare, perché quanto al resto, sia come detto sul reddito di cittadinanza che sulle cosiddette pensioni d'oro o sulle assegnazioni delle concessioni autostradali, non mi pare ci sia nulla di concreto. Sulla previdenza, tanto per dire, ne abbiamo lette di tutti i colori. Prima si doveva tagliare l'assegno solo a coloro che non l'avessero maturato con adeguati contributi, poi si è pensato di dare una sforbiciata solo ai trattamenti che superassero i 5.000 euro lordi, a prescindere che fossero giustificati o meno, quindi il tetto è stato abbassato a 4.000, infine è ritornato in voga il prelievo di solidarietà, ovvero ciò che prima dei grillini aveva fatto Enrico Letta. Risultato, depositatosi il polverone, al momento non c'è alcuna decisione. Ne abbiamo discusso per un'estate intera, ma il governo non ha prodotto un solo documento. Anzi, a un certo punto è parso in retromarcia, perché forse qualcuno fra i leghisti si è accorto che i tagli rischiavano di colpire non solo i profittatori, ma anche chi si era spaccato la schiena per una vita e la ricca pensione se l'era meritata tutta. Le frenate dell'estate hanno riguardato pure la dibattuta questione delle concessioni autostradali. Perché se sull'onda dell'indignazione, di fronte alle 43 bare di Genova, la decisione d'impulso è parsa tracciata, quando si sono fatti i conti qualcuno deve essersi accorto che mandare a quel Paese i Benetton e i loro affari non era così semplice. Sulla Verità abbiamo criticato la famiglia di Ponzano Veneto senza alcuno sconto, ma una cosa è mettere gli azionisti di fronte alle proprie responsabilità, un'altra agire senza aver valutato tutte le opzioni e le conseguenze. Come si è visto, passata la rabbia, al governo è tornata la lucidità per muoversi senza fare favori ai Benetton.Ciò che voglio dire è che alla Verità siamo abituati a ragionare sui fatti e non sulle impressioni. Ai governi non lesiniamo critiche, ma quando c'è materia per farlo. Che i ministri siano gialloverdi, gialloblù o giallorossi o soltanto rossi non ci importa, perché non abbiamo pregiudizi. Ciò che per noi conta è il risultato. E il solo risultato al momento palpabile è che al momento in Italia sbarcano meno immigrati di prima e questo ci pare un innegabile successo. Sul resto, caro Neri, sospendiamo il giudizio. E anche le chiacchiere.
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