
Lunghe attese, pochi strumenti, letti scarsi: un rapporto choc. Decessi in aumento: oltre 400 in un anno al San Camillo di Roma.L'ultima vergogna viene dal pronto soccorso dell'ospedale dell'Aquila. Giovanni, novantenne, malato di tumore alla prostata, ha atteso dalle 11.30 alle 19.30 per essere visitato. Un disservizio inconciliabile con età e condizioni del paziente. Ma Giovanni è ancora andata bene, c'è anche chi ci trascorre l'intera notte e chi muore aspettando il suo turno. Come Andrea, pensionato di 70 anni, che il 15 luglio scorso era stato portato al pronto soccorso del Policlinico di Messina con un forte dolore al petto: i parenti sostengono di avere atteso più due ore finché un infarto lo ha stroncato. Dopo non sono serviti massaggi cardiaci e defibrillatori. Neppure le scuse hanno, ovviamente, posto rimedio.Ma quanto, e soprattutto perché, i pazienti devono attendere tanto? Si può anche essere fortunati e incappare in ospedali dove i tempi sono più ragionevoli, tuttavia la parola fortuna non dovrebbe essere neppure menzionata quando si tratta di salute ed emergenza. D'estate poi la situazione è ancora più complicata, tra personale in ferie non sostituito e riduzioni dei posti letto nei reparti. Infatti i problemi non riguardano soltanto le snervanti attese, ma anche la disponibilità di attrezzature, servizi elementari come la carta igienica, la presenza dei letti di obi (osservazione breve intensità) e le modalità di comunicazione con l'utenza. Nel senso che nessuno informa, al massimo dicono di portare pazienza. L'Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ha stilato una classifica dei pronto soccorsi italiani che funzionano e di quelli dove farsi visitare è un terno al lotto. Le categorie analizzate, riferite ai maggiorenni, sono tre: quanti hanno risolto il problema in meno di 12 ore, quanti fino a 24 ore e, infine, chi dall'ingresso all'uscita ha passato in ospedale oltre 24 ore. Fra le oltre 650 strutture prese in considerazione dalla ricerca, i pronto soccorso più lenti d'Italia sono tutti a Roma, dove per il 15% circa dei pazienti, nel 2015, una visita è durata oltre 24 ore. In particolare il Sant'Andrea di Roma è quello con la fetta più ampia di malati (16,3%) che restano parcheggiati oltre un giorno in sala d'attesa. Seguono il Tor Vergata, il Pertini, il Sant'Eugenio e il San Filippo Neri: tutti nella Capitale. Si tratta di strutture che hanno avuto da 30.000 a 50.000 accessi in medicina d'urgenza. Anche al Policlinico Gemelli 6.685 malati su 58.637 (quindi l'11,4%) hanno dovuto trascorrere un giorno intero; all'Umberto I si scende al 10,4%.Discorso a parte merita il San Camillo dove non solo più di un utente su dieci resta accampato: in questo pronto soccorso è sestuplicato il numero delle morti, mentre si è dimezzato quello dei pazienti assistiti. Nel 2000 gli accessi nella prima linea dell'ospedale si aggiravano sui 300 al giorno e alla fine dell'anno si contarono 64 decessi. L'anno scorso, le persone arrivate sono state 160 ogni 24 ore e le morti registrate a fine dicembre si sono attestate a quota 400. La spiegazione? Il direttore, Fabrizio d'Alba, prova a dare una risposta: «In pronto soccorso non arriva più la massa di pazienti con patologie lievi, che trovano risposte più appropriate dal medico di base e dai servizi territoriali. perciò è cresciuta la complessità dei casi soprattutto negli ospedali di grandi dimensioni come il nostro».Le cose vanno molto meglio a Milano, e in Lombardia in generale, dove il reparto più lento risulta quello del San Paolo. Ma non c'è confronto con i nosocomi romani: nel 2015 questo ospedale ha avuto 51.705 accessi, di cui solo lo 0,8 per cento è durato oltre le 24 ore. Il Maggi e il Fatebenefratelli risultano particolarmente efficienti e, nonostante abbiano accolto quasi 70.000 malati ciascuno, soltanto tre o quattro ogni mille sono rientrati nel gruppo di chi ha dovuto attendere a lungo. Inoltre si può scaricare la app Salutile pronto soccorso della Regione Lombardia (su App store e Google play) che permette di consultare l'elenco di tutti i pronto soccorso del territorio lombardo, conoscere qual è il numero di persone in coda al momento, i tempi di attesa e l'indice di affollamento. Altre Regioni offrono servizi simili sul Web.Dopo i dipartimenti d'emergenza romani, troviamo nella classifica della lentezza l'Azienda ospedaliera Annunziata di Cosenza, con una percentuale del 13,8%. Bisogna considerare però che rispetto all'anno precedente è stato fatto un passo avanti: nel 2014 era arrivato ad avere più di un quarto delle circa 64.00 urgenze che avevano superato le 24 ore in reparto, di gran lunga il valore più elevato della Penisola. Nel 2015 tuttavia la situazione pare essersi normalizzata, anche se l'attesa resta ancora fra le maggiori. Segue l'ospedale Ingrassia di Palermo: nel 2015, il pronto soccorso ha avuto 19.465 accessi totali, di cui l'11,6% (2.258) è durato oltre 24 ore. Mentre al Cardarelli di Napoli, su 72.890 accessi totali, il l'8,9% (6.487) è durato più di un giorno. Situazione che non pare migliorata oggi, anche se il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, aveva annunciato in pompa magna di aver risolto i disservizi. Promessa smentita dai fatti, come testimoniano i video postati dagli utenti: barelle nei corridoi, personale che si barcamena fra troppi malati e in spazi ridotti al minimo, pazienti senza privacy alcuna, uomini e donne ammassati assieme nella stessa corsia. Però non si può dire che il primo soccorso campano funzioni a rilento, infatti l'ospedale Dei Pellegrini di Napoli è tra i più solerti d'Italia: solo lo 0,1% di chi è entrato ha affrontato un lungo calvario. Salendo verso Nord, leggermente più veloci di quelli del Cardarelli sono stati i medici del Santo Stefano di Prato che arriva all'8,4% di malati trattenuti per oltre 24 ore, più o meno come il San Giovanni Bosco di Torino. E restando in Piemonte va peggio il Cardinal Massaia di Asti con una percentuale del 9,5%.Passiamo a qualche località di villeggiatura per giudicare il rischio a cui si espongono i vacanzieri. Bene il Marconi a Cesenatico che ha avuto 12.190 accessi totali, di cui lo 0,2% si è protratto per oltre un giorno. Decisamente peggio il Giovanni Paolo II di Olbia dove la percentuale per malati lasciati in corridoio sale al 2,1%.Ancora più lento il pronto soccorso del Santa Corona di Pietra Ligure: nel 2015 ha avuto 33.186 accessi totali, di cui il 2,6% (863) è durato oltre 24 ore. Meglio l'ospedale di Capri: nell'isola dei Faraglioni solo 7 pazienti sono stati costretti a passare la notte prima di essere curati. In montagna, nel reparto d'emergenza di San Candido su 8.277 accessi il 1,6% (132) è durato oltre 24 ore.Purtroppo il problema dei pronto soccorso non è affatto di semplice soluzione secondo Sandro Petrolati, coordinatore della Commissione emergenza Anaao-Assomed. Sotto accusa soprattutto la politica della chiusura dei posti letto nei reparti, senza offrire una reale alternativa. «Quello che fa esplodere il pronto soccorso è la sua trasformazione in un luogo di ricovero», spiega, «dove curare il paziente sulla barella, mentre dovrebbe andare invece in reparto. Non è quindi la pressione dovuta alla bassa intensità, come quella dei codici bianchi, a metterci in difficoltà, ma la pressione di chi ha bisogno di un ricovero e noi non possiamo farlo perché non ci sono i posti letto nel reparto. È chiaro che poi accadono i casi limite dei pazienti arrivati con il 118 che passano decine di ore in barella, con file di ambulanze che aspettano di riavere le lettighe fuori dall'ospedale». E continua, accusando le politiche perseguite negli ultimi anni: «C'è la sensazione che più passa il tempo e più il problema aumenta. I motivi sono molteplici: dalla riduzione dei posti letto nei reparti, al blocco del turnover e alla mancanza strutturale di medici perché i colleghi vanno in pensione. Ma è chiaro che, di fronte a situazioni al limite, ci troviamo nella necessità di mandare qualche paziente a casa. Anche perché ormai l'estate non è più periodo del calo fisiologico di accessi, come qualcuno ancora pensa. Roma, Milano, Palermo, Napoli non si svuotano più ad agosto, e il Dea (Dipartimento d'emergenza e accettazione, ndr) rimane l'unico presidio sanitario aperto. Con l'aumento dei pazienti anziani e cronici, stiamo diventando come i supermercati dove in estate l'anziano, lasciato solo da chi lo accudisce durante l'anno, cerca refrigerio e compagnia». Con alcuni casi limite, come quello di un senzatetto che da giugno vive nell'atrio del pronto soccorso del Niguarda a Milano: panchine come giaciglio e armadio. Nessuno lo ha mandato via o gli ha trovato una sistemazione più dignitosa.
Nadia Battocletti (Ansa)
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