2020-03-19
Arriva il manuale per mamme Lgbt: «Con due donne si cresce più aperti»
Sarà presto in Italia la guida di Ivi, clinica iberica per la fecondazione in vitro con sedi a Milano e Roma. Dirà alle future genitrici che «la biologia è sopravvalutata». Il padre? «Un ruolo autoritario», si può farne a meno.Molte femministe sono contrarie all'utero in affitto, perché è una pratica che mercifica donne e bambini. Tante lesbiche, però, concepiscono un bambino attraverso trattamenti di procreazione assistita, servendosi di un uomo che poi terranno ben lontano dalla vita loro e della creatura messa al mondo. Ricorrono all'inseminazione artificiale con lo sperma di un conoscente o di un donatore, oppure soddisfano il desiderio di essere madri (senza un padre riconosciuto) grazie alla fecondazione in vitro. Per confortarle nella scelta, è appena stata pubblicata una corposa guida dalla clinica spagnola Ivi, acronimo di Instituto valenciano de infertilidad. Ivi è una multinazionale della fertilità, con 35 sedi in Spagna e 65 in altri nove Paesi del mondo tra i quali l'Italia, dove è presente con un centro a Roma, l'altro a Milano. La guida, 112 pagine dal titolo Mamás²: Guía para familias de dos mamás, perfettamente comprensibile così, in castigliano, come pure quel termine elevato al quadrato non per rinforzare il valore di essere madre ma perché rivolto a due aspiranti mamme della stessa creatura, a breve sarà tradotta in italiano per dare «ogni tipo di aiuto», recita l'opuscolo, «a donne coraggiose, libere e determinate». Evviva le lesbiche che si servono dell'uomo e poi lo buttano, sarebbe il sottotitolo meno ipocrita di questo vademecum per aspiranti monogenitrici femmine.L'Instituto valenciano, che solo in Catalogna dal 2014 al 2019 ha consentito a 2.800 donne singole e a 400 coppie di lesbiche di diventare madri, trascurando il diritto dei bambini di avere entrambi i genitori, se l'è pensata bene progettando una guida per il mondo Lgbt. «Famiglie orgogliose», vengono più volte definite, tra consigli, rassicurazioni, inviti a non lasciare che solo «il 10% delle donne lesbiche» abbiano un figlio. Tra le testimonianze raccolte, le parole inquietanti di due fisioterapiste che lamentano il continuo chiedere chi sia il padre del loro bambino, mentre progettano di fabbricarne un altro. «Siamo due mamme», sostengono fiere, «non esiste un papà ma un donatore anonimo. Nostro figlio l'ha sempre saputo». Poveretto, insistono nel dire che deve sentirsi «libero» da pregiudizi ma l'hanno costretto nella gabbia di una relazione omosessuale e dovrebbe farsela piacere. Nessuno mette in dubbio l'affetto che le due possono provare per quel bimbo, ma quanta componente egoistica finisce per pregiudicare quel sentimento? Un'altra donna racconta che la sua compagna ha messo al mondo una bimba grazie alla procreazione assistita e che adesso aspetta un altro bambino «con lo stesso padre donante il seme, così i due piccoli saranno fratelli». Senza sapere chi è l'uomo, il papà che ha permesso il concepimento, credono che gli basterà sapere che ha la stessa mamma? Anzi due, perché il lavaggio del cervello comincia dai primi mesi, stando ai racconti pubblicati. Una coppia di avvocatesse spiega che «biologia e genetica sono sopravvalutate», bisogna decidere di fare figli anche se si è lesbiche «andando in cerca della cellula che manca». Colpisce, nelle testimonianze, l'insistenza con cui viene rivendicato il diritto di essere madri senza un papà, difendendo il valore di più modelli familiari a dispetto di «leggi assurde», che sostengono la paternità mentre sovente questo è solo «un ruolo autoritario». Secondo una psicologa Mar González dell'Università di Siviglia, vivere con due mamme addirittura aiuterebbe «a essere tolleranti e a rispettare la diversità». Viene paragonato alla biodiversità, «indicatore di ricchezza e buona salute dell'ecosistema», inoltre i bambini avrebbero «meno pregiudizi rispetto al proprio orientamento sessuale», crescerebbero più «aperti». Aperti a che cosa, al genere fluido per esempio? Questi e altri racconti saranno tradotti in italiano, perché anche le lesbiche del nostro Paese ricevano conforto e si decidano a ricorrere a trattamenti di procreazione assistita. Il messaggio, in realtà, è rivolto a tutto il mondo Lgbt: «Il desiderio di essere padre o madre è trasversale, indipendentemente dall'orientamento sessuale», si legge. Le ultime trenta pagine dell'opuscolo sono dedicate alle varie tecniche di fecondazione assistita messe a disposizione nelle cliniche, con costi di diverse migliaia di euro. Spicca, tra tutte, la cosiddetta Ropa, recepción de óvulos de la pareja, ricezione di ovuli della partner. Una delle due donne viene sottoposta a stimolazione ovarica come quella che si realizza per la fecondazione in vitro, gli ovuli vengono fecondati da un donatore anonimo e poi impiantati nell'utero dell'altra donna, predisposto con ormoni ad accogliere l'embrione. Metodo di «doppia maternità» non permesso dalla legge spagnola ma tollerato e scelto da molte lesbiche, anche provenienti dall'Italia, perché in questo modo «la coppia partecipa attivamente alla creazione della propria famiglia».