2024-01-15
Dopo decenni di tagli l’Italia scopre che non ha più armi per difendersi
Ci siamo concentrati sulle missioni all’estero senza pensare alla protezione dei confini nazionali. E gli aiuti a Kiev hanno svuotato gli arsenali. Ora investiamo nel lungo periodo, ma nei prossimi anni saremo a rischio.L’operazione europea «Atalanta», attiva nel Mar Rosso contro i pirati, vede la partecipazione di una fregata italiana. Che ora potrebbe subire la reazione degli Huthi e dell’Iran ai raid americani e inglesi nel Mar Rosso.Lo speciale contiene due articoli.Qualche giorno fa l’ad di Leonardo, l’ex ministro Roberto Cingolani, intervistato dal Financial Times, ha sottolineato la necessità di mettere a fattor comune le risorse e la ricerca in ambito europeo, specificando: «Alcuni diranno che non è l’ideale per la sovranità nazionale ma dobbiamo guardare alla difesa da una prospettiva globale. Se ci sono molte aziende che investono su molte piattaforme diverse, l’investimento medio su ciascuna piattaforma sarà basso». Il paragone è quello con gli investimenti fatti da Usa, Cina e non soltanto, ma il manager italiano ha anche puntato il dito su alcune norme europee giudicate eccessive quanto a «principi e regole della concorrenza» che finirebbero per vanificare le possibilità di successo delle aziende europee, gravate anche da costi troppo alti per energia, controllo delle emissioni e costo del lavoro. Tra le sue frasi, una è particolarmente importante: «La guerra in Ucraina è servita da campanello d’allarme per l’industria europea della difesa, un sistema diviso in cui ciascuno dei 27 Paesi dell’Ue investe nei propri carri armati e aerei non funziona. Dobbiamo iniziare a costruire una massa critica in Europa, dobbiamo gettare le basi per centri di difesa continentali». La sveglia di cui parla Cingolani è innegabile: dopo decenni di tagli e riduzioni degli investimenti, con le Forze armate concentrate sulle missioni di mantenimento della pace all’estero più che a badare ai confini nazionali - oggi non soltanto terra, cielo e mare, anche spazio e cyberspazio - ciò che è accaduto dallo scoppio della guerra russo-ucraina in poi è stata la ritrovata consapevolezza che le scorte di armi, seppur siano costose, servono eccome. Ben vengano nuovi grandi programmi fondamentali - e internazionali - per il futuro, ma questi non possono risolvere le esigenze più urgenti. Dagli accordi per il Gcap, il nuovo «sistema di sistemi»che prevede la realizzazione di un caccia di sesta generazione insieme con Regno Unito e Giappone (evoluzione del Tempest), fino a quello per la costruzione dei carri armati Leopard destinati al nostro Esercito, stretto tra Leonardo e il gruppo tedesco Knds, l’Italia ha posto le basi per garantirsi mezzi da difesa di qualità nei prossimi decenni, considerando anche le attività 2023 di Fincantieri per le unità navali, quelle di Mbda per i programmi missilistici nonché le iniziative in corso per garantire al Paese la sicurezza cibernetica. Di queste, è in piena attività da ottobre 2023 il primo centro virtuale paneuropeo per la gestione dinamica del rischio cyber realizzato da Leonardo per Dg Connect. Possiamo quindi dire che l’Italia entro una ventina d’anni avrà capacità di difesa qualitativamente al pari delle nazioni più avanzate, ma il problema resta nel corto periodo e nel fatto che per tre decenni, ovvero dalla fine della Guerra Fredda in poi, in tutta Europa sono state progressivamente prodotte soltanto le armi e le munizioni necessarie per soddisfare richieste saltuarie e non per mantenere in prontezza gli arsenali, e queste venivano usate quasi completamente per le missioni internazionali, ovvero per quella che viene definita guerra asimmetrica, contro milizie e terroristi, non eserciti regolari. Un paio di esempi: l’impossibilità per le nazioni Ue di mantenere l’impegno per fornire a Kiev un milione di proiettili entro il prossimo marzo; oppure, da documenti del Comando logistico della Marina militare disponibili online, «Direttive per la gestione 2021-2022», si legge: per quanto attiene il munizionamento avanzato sono in particolare da assicurare le seguenti certificazioni medie annue: missili antinave n. 4 - missili antiaereo/antimissile n. 84 - siluri pesanti n. 6 - siluri leggeri n. 11 - mine navali: n. 460. Supporto alle attività addestrative/logistico manutentivo - Attività addestrativa sistemi avanzati - Assicurare l’approntamento del munizionamento missilistico e siluristico necessario per le attività addestrative programmate della Squadra Navale: missili antinave Tlm: n. 2 per anno - missili antiaereo/antimissile: n. 5 per anno. Nel momento in cui l’Ucraina è stata attaccata non c’è voluto molto per capire che per aumentare la produzione d’armi ci sarebbe voluto più tempo del previsto. Anche soltanto per riattivare la produzione di prodotti chimici necessari per gli esplosivi che, se comprati in quantità ridotta non valeva più la pena di produrre sul territorio nazionale. Se poi si considerano i nuovi scenari divenuti caldi dal 7 ottobre 2023 in poi, come la situazione sempre più calda nel Mar Rosso con gli attacchi americani e inglesi alla linea di comando e rifornimento d’armi dei ribelli Houthi, e quella potenzialmente esplosiva al confine con il Libano con la possibilità di un allargamento del fronte contro Hezbollah, la situazione degli approvvigionamenti nel corto periodo appare una questione da risolvere per tutte le nazioni occidentali. Non è un caso che dopo l’invio pre-natalizio della fregata Virginio Fasan nel Mar Rosso, l’Italia abbia fatto partire anche la Fremm Federico Martinengo nell’ambito dell’operazione Atalanta anti pirateria. Ancora una guerra asimmetrica, ovviamente, ma con regole d’ingaggio che possono originare scontri armati intensi, poiché i militari potranno trattenere e trasferire persone sospettate di atti di pirateria (che potranno essere giudicate dallo Stato membro Ue che ha compiuto la cattura oppure da quello di bandiera della nave che ha subito il sequestro, o ancora da Kenya e Seychelles) e procedere con il sequestro di imbarcazioni e armi. Ma l’area delle operazioni ha la grandezza del Mediterraneo, poiché si estende dal Mar Rosso al Golfo di Aden e a parte dell’Oceano Indiano, appunto fino alle Isole Seychelles.Significa che le dotazioni che finora erano state sufficienti per il Mare Nostrum non bastano più, dunque seppure non immediati, ben vengano investimenti come la nostra adesione dell’estate scorsa al programma franco-britannico Fc/Asw che prevede lo sviluppo di una capacità missilistica antinave a partire dal 2034 e al Deep Strike a partire dal 2028. La fase concettuale (2017-2021) è terminata, mentre ora sono in corso la «Assessment» (2022-2024) alla quale succederà quella di dimostrazione e produzione (2025-2035). Sempre per la Marina, nel Documento programmatico della Difesa 2023-2025 è evidenziato il completamento del programma per il missile Teseo Mk2-a/e, ma si parla dell’acquisizione di una capacità d’ingaggio di precisione a lungo raggio, con la possibilità di rivolgersi ai francesi per acquisire il loro missile Scalp Naval nel breve termine. A seguire ci sono i programmi di sviluppo per il missile Marte con autonomia maggiorata, che rispetto a quello attualmente in dotazione (Mk2s) sarà utilizzabile anche dagli elicotteri della Marina Ah-101 e Nh-90, che acquisiranno così migliori capacità offensive. Che poi significa poter difendere gli interessi nazionali e la civiltà occidentale da chi, sulla sua bandiera, dichiara apertamente di volerla distruggere. Come gli Houthi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/armi-difesa-italia-2666954734.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-nostre-navi-esposte-ai-lanci-dallo-yemen" data-post-id="2666954734" data-published-at="1705280812" data-use-pagination="False"> Le nostre navi esposte ai lanci dallo Yemen Nella notte tra giovedì e venerdì scorsi sono cominciati gli attacchi delle forze inglesi e americane per neutralizzare le iniziative dei ribelli Huthi sostenuti dall’Iran contro le navi mercantili nel Mar Rosso. Già il 10 gennaio il Comando centrale Usa aveva annunciato che aerei da combattimento statunitensi e britannici avevano abbattuto 18 droni e tre missili lanciati dalle aree yemenite del Mar Rosso meridionale in direzione delle rotte marittime internazionali, dove transitavano decine di navi mercantili. Si era trattato del 27° attacco Huthi dal 19 novembre 2023, senza considerare i 131 episodi ostili avvenuti contro gli Stati Uniti e le forze della coalizione in Iraq e Siria dal 17 ottobre scorso. Per questo la Difesa britannica ha accelerato la definizione delle operazioni offensive volte a interrompere l’approvvigionamento di ordigni colpendo il territorio yemenita insieme al Pentagono. Così, mentre dal sommergibile americano Uss Florida venivano lanciati missili da crociera Tomahawk per neutralizzare ogni possibile reazione, dalla portaerei Dwight Eisenhower sono decollati velivoli F/A-18 e alcuni Eurofighter Typhoon partiti dalla base inglese della Royal Air Force di Akrotiri, a Cipro, per colpire una dozzina di obiettivi. Secondo il comandante centrale delle forze Usa, generale Alex Grynkewich, sono state utilizzate più di cento munizioni con guida di precisione «di vario tipo» per distruggere i bersagli minimizzando gli effetti collaterali: «Non stavamo prendendo di mira i centri abitati da civili. Stavamo neutralizzando le capacità offensive Huthi in luoghi molto specifici», ha detto. I bersagli, identificati dai velivoli per dirigere le bombe, sono stati le infrastrutture e i mezzi dei ribelli come rampe, depositi, camion e imbarcazioni che consentono il trasporto e lancio di missili e droni, in particolare dei missili Tankil (con gittata fino a 500 km e portatori di 250 kg di esplosivo) e Asef (450km e 180kg di testata di guerra), ovvero di sistemi riprogettati e costruiti in Iran con il nome di Raad-500 e Fateh-313 su licenza cinese (serie DongFeng), a loro volta derivati da soluzioni tecniche già presenti sui missili sovietici Kh-55 degli anni Settanta e Ottanta. A essere ricercati dai militari occidentali sono anche gli arsenali di razzi e missili a corto raggio come i Falaq, che hanno una gittata di 140 chilometri e sono dotati di tecnologia antinave. Attorno alla capitale yemenita San’à sarebbero stati convertiti esemplari di missili antiaerei Sa-2 dell’era della guerra dei Sei Giorni (1967) in missili superficie-superficie ribattezzati Qaher-2m e, nella versione antinave, chiamati Muhit. La traiettoria di questi ultimi è balistica (parabolica) e la velocità è ridotta rispetto ai moderni missili antinave che raggiungono circa 6.000 chilometri orari. Pur non essendo particolarmente precisi, hanno comunque un margine di errore di circa 25-35 metri, sufficiente se a essere puntate sono le grandi navi porta container e non quelle militari che li possono anche identificare per tempo e neutralizzare a distanza. Gli stessi sistemi dei Tankil e degli Asef, ma dotati di motori a reazione (turbofan), sono stati trasformati da Teheran in missili da crociera con gittate fino a 2.500 km per essere lanciati sia da velivoli, sia da rampe, ma non c’è ancora prova che i ribelli Huthi ne dispongano, poiché la produzione iraniana è molto limitata e perché un lancio permetterebbe di colpire il cuore di Israele allargando il conflitto. Come era prevedibile la missione militare internazionale Prosperity Guardian organizzata dagli Usa con il sostegno di altre dieci nazioni sta diventando un’operazione di guerra che vanifica la mediazione di Cina e Oman per terminare la guerra civile yemenita in corso dal 2015, con il sostegno dell’Arabia Saudita. Ma che, soprattutto, rischia di esporre direttamente alle reazioni iraniane e yemenite anche i partecipanti alla missione europea Eunavfor Atalanta 2024, alla quale partecipa anche l’Italia. Naturalmente gli eventi bellici nello scenario del Mar Rosso e dello Yemen alzano anche il livello di allerta per ritorsioni e attacchi sul territorio europeo da parte di terroristi. Tutte ottime ragioni per essere equipaggiati e preparati adeguatamente.
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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A Dimmi La Verità Stefania Bardelli, leader del Team Vannacci di Varese, fa chiarezza sul rapporto con la Lega e sulle candidature alle elezioni degli esponenti dei team.