2022-05-07
Aristotele e Kant ci parlano ancora. Ma la scuola ha spento il microfono
Altro che eliminare la filosofia dai licei, come accaduto in Spagna: bisognerebbe al contrario insegnarla fin dall’asilo. Abbandonando però il modello storiografico attuale e puntando sulla creatività dei ragazzi.La Spagna «sinistra» ha eliminato la filosofia dalle scuole secondarie (insieme con lo studio cronologico della storia) e vari difensori della cultura hanno stigmatizzato tale decisione. Da insegnante di filosofia, non posso che soffrire nel vedere la mia materia, scelta per passione (non dimentichiamo che etimologicamente la filosofia è una forma di amore) trattata così, ma qui vorrei argomentare una posizione alternativa sia alla decisione spagnola sia alla strenua difesa dello status quo montata dai suoi critici. E, siccome della scuola spagnola so poco (e comunque lì, a quanto pare, les jeux sont faits), parlerò dell’Italia. Nei licei italiani la filosofia è presente, per tre anni, come storia della filosofia. Ma quel che gli studenti ricavano dal contatto con l’«amore per la saggezza» sembra in molti casi un catalogo di follie e in altri di astrusità incomprensibili. Come qualificare diversamente, a proposito di follie, la tesi platonica che solo le idee sono reali mentre gli oggetti della vita quotidiana sono ombre o quella leibniziana che l’universo è costituito da monadi prive di finestre, coordinate dal miracolo di un’armonia prestabilita dal creatore? E, a proposito di astrusità, sfido chiunque abbia frequentato i licei a darmi una spiegazione comprensibile di quella che Kant chiama deduzione trascendentale delle categorie, o Hegel necessità dialettica. Sono termini che è figo lasciar cadere durante una conversazione, magari con un sorriso d’intesa; ma supponiamo che qualcuno ce ne chieda conto… Siccome non lancio sfide che non sono disposto a raccogliere, ecco qua. Se non avessimo in mente l’idea di che cosa dovrebbe essere un amico, non potremmo riconoscere gli amici della vita quotidiana, ma ci rendiamo conto che questi ultimi sono sempre amici difettosi, amici fino a un certo punto, mai all’altezza del modello ideale, quindi solo questo modello è un vero amico. Oppure: non vi è capitato di risuonare in modo immediato con una persona che avete appena incontrato, di sentirla vicina come se vi conosceste da sempre, e non è tale armonia miracolosa, visto che fino a un’ora fa non vi eravate mai visti? A pensarci, non è vero lo stesso anche per le persone che conoscete da sempre, e con cui pure risuonate? Come fa la loro mente, che è dentro di loro, a comunicare con la vostra, che è dentro di voi? Non dico che la tesi leibniziana chiarisca il mistero, ma l’esperienza cui fa riferimento è innegabile. Nella deduzione trascendentale Kant sostiene la verità semplice ma scandalosa che la nostra personalità sta in piedi, invece di andare in mille pezzi, solo in quanto il mondo intorno a noi sta in piedi, continua ad avere senso e coerenza. Se il mondo si frantumasse, anche noi ci frantumeremmo, e in tempi in cui si fa un gran parlare di sindrome post-traumatica questa è una verità molto attuale. La necessità dialettica di Hegel è quella di una buona storia: quella per esempio con cui Tolstoj ci convince, dopo averci raccontato le vicende di Anna Karenina per centinaia di pagine, che la sua scelta di suicidarsi le si impone come inevitabile. Potrei andare avanti, ma il punto dovrebbe essere chiaro. La storia della filosofia è ricca di problematiche, proposte e teorie eccitanti, sorprendenti e soprattutto tali che ci parlano, ci indicano non un unico itinerario ma mille suggerimenti su itinerari da intraprendere, selve e piane da esplorare, tesori nascosti da scoprire. Chi riduca questo vivace scoppiettio di fuochi d’artificio a una pratica notarile e fumosa degna dell’Azzeccagarbugli commette un crimine, l’equivalente di un assassinio, e non ci si può sorprendere se poi arrivano i becchini a portarsi via il morto. Io sono convinto che la filosofia, lungi dall’essere estirpata dai licei, dovrebbe essere insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado, a cominciare dall’asilo. Non però, preciso, con i rituali della Philosophy for children, appropriatamente denominata in inglese e dispensatrice di un suo ennesimo «protocollo», ma stimolando la vulcanica creatività di bambini e ragazzi, che dà risposte giustamente sonnolente a chi propina sonniferi ma è pronta a risvegliarsi appena gliene si offra la minima occasione. E continuando poi ad attizzarla con una pagina di Aristotele o Hume, una dimostrazione di Anselmo o Cartesio. Una pagina in cui si dice qualcosa che ci riguarda; una dimostrazione che risolve un nostro problema. Un’ultima domanda merita di essere considerata. Ammettendo che io abbia ragione, non sarebbe responsabile della perversa deriva che ho esposto l’identificazione tra filosofia e storia della filosofia, quindi la riforma Gentile che quella identificazione promosse (sulla base della teoria filosofica dello stesso Gentile)? Rimanendo inteso che io non concordo filosoficamente (o politicamente) con Gentile, va però chiarito che lui non aveva mai inteso la storia della filosofia come il contenuto di un manuale. Scrive infatti in L’insegnamento della filosofia dei licei, del 1900: «Nell’opera classica è la vera ricerca spontanea, la ricerca, come si dice, di prima mano; che è la ricerca per cui la scienza progredisce. Ora è appunto una tale ricerca che nello spirito di chi ha da far progredire la propria scienza, di chi ha riprodurre in sé la storia di questa, nello spirito insomma dell’alunno, deve sempre rinnovarsi. Nel libro di testo, nell’esposizione del docente si trova la dottrina bella e fatta; ma nell’opera classica trovi la dottrina stessa in sul farsi; ed è questa, che giova veramente allo spirito del discente». Quel che lui intendeva, insomma, era la lettura e discussione dei testi originari. Gentile si dimise da ministro poco dopo aver attuato la sua riforma. E presto le cose presero un andamento ben diverso. Nel 1925 il nuovo ministro Pietro Fedele, vicino al Vaticano, introdusse nei programmi autori come Agostino e Tommaso; nel 1930 e 1936 i ministri Balbino Giuliano e Cesare Maria De Vecchi emanarono programmi in cui il sommario prevaleva sulla lettura dei classici. Dopo la Seconda guerra mondiale questo processo è continuato, e il risultato è quello che viviamo oggi: una filosofia insegnata come storia della filosofia che sembra un’applicazione della riforma Gentile ma che lui avrebbe considerato una sostituzione della filosofia con una «dottrina bella e fatta». Una filosofia pensata non da un filosofo ma da burocrati, che prima o poi altri burocrati elimineranno con un tratto di penna.