2020-11-17
Il commissario smentisce il governo: «Terapie intensive? Non c’è allarme»
L'esecutivo usa i numeri per tenere serrato il Paese, il commissario lo contraddice: «Nessuna pressione». Ma la Lombardia smentisce: «Siamo senza letti liberi». E anche i medici dirigenti contestano l'ad di Invitalia.Contr'ordine compagni: tutto a posto nei reparti di terapia intensiva. Se non fosse vagamente da menagramo, verrebbe da dire «Avanti c'è posto». Ma non è una battuta, è il senso della sortita di ieri di Domenico Arcuri, uomo che ama stupire. «Oggi la pressione su questi reparti non c'è», ha detto ieri il commissario per l'emergenza Covid-19, fornendo anche una serie di numeri. E allora perché mezza Italia è agli arresti domiciliari e l'altra mezza ha l'obbligo di firma (sull'autocertificazione), senza aver commesso alcun reato? Quello delle rianimazioni sotto stress era stato proprio uno degli argomenti usati dal governo di Giuseppe Conte per il lockdown «soft» di quest'autunno e ora che Arcuri smentisce così platealmente l'esecutivo che lo ha nominato.Quello che è successo ieri è doppiamente stupefacente, perché nell'Italia malata da anni di «convegnite», questo ex cossighiano e poi dalemiano di Calabria ha dato la notizia proprio in un convegno, per la precisione in occasione della conferenza «Finanza e sistema Paese, un anno dopo» della Digital Finance Community Week». L'ineffabile Arcuri, che oggi forse dirà di essere stato equivocato per via del solito virgolettato «estrapolato», l'ha presa larga e quindi la riportiamo come da agenzie: «In Germania, a marzo c'erano 30.000 posti di terapia intensiva, sei volte di più che in Italia, dove erano 5.000; al picco abbiamo avuto nel nostro Paese circa 7.000 pazienti in rianimazione, duemila di più della totale capienza dei reparti». Oggi, ha continuato, «abbiamo circa 10.000 posti di terapia intensiva e arriveremo a 11.300 nel prossimo mese. Attualmente ci sono circa 3.300 ricoverati in terapia intensiva, quindi la pressione su questi reparti non c'è». Insomma, c'era al primo giro, in marzo, ma non adesso. Eppure basta andare a rileggersi la rassegna stampa delle ultime tre settimane e, non solo dalle Regioni, filtrava proprio l'allarme che ieri Arcuri ha sgonfiato. Certo, il premier è stato ben attento, sia alla Camera che in tv, a non puntare tutto su questo indicatore, ma il governo lo ha usato per far digerire ai tele-sudditi il nuovo dpcm, insieme a quell'altra bufala dell'equazione positivi uguale malati. Ieri anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha come ritrovato se stesso, dopo settimane passate a fomentare la Covid-fobia e a premere per la linea dura. «Negli ultimi mesi abbiamo avuto il cosiddetto aumento esponenziale di terapie intensive: un giorno 20 ricoveri, il giorno dopo 40, quello dopo ancora 80, e poi 120, e così via», si è giustificato con la Stampa. Poi ecco che ha aggiunto il ministro: «A questi ritmi è chiaro che il sistema non regge, ma se guardiamo alla media mobile dell'ultima settimana ci siamo assestati intorno a quota 100». Se la prossima settimana il rapporto scenderà, ha aggiunto Speranza, «il sistema torna a essere perfettamente sostenibile».Lette le parole di Arcuri e Speranza, in Lombardia hanno fatto un balzo sulla sedia. Antonio Pesenti, coordinatore delle terapie intensive della Regione, ha ribattuto: «Io non so quale sia la situazione dell'Italia in generale, ma in Lombardia di pressione sulle terapie intensive ce n'è tantissima: non abbiamo più posti liberi per i malati Covid e tutti i giorni dobbiamo inventarli. Oggi, per esempio, alle 17 del pomeriggio, sono rimasti due soli letti». A contraddire Arcuri ci ha pensato anche il segretario nazionale dell'Anaao Assomed, sindacato dei camici bianchi, Carlo Palermo: «I posti di terapia intensiva oggi disponibili ed attivi in Italia sono intorno a 7.500. La soglia del 30%, indicata come livello di allarme, di posti di terapia intensiva dedicati al Covid-19 è posta intorno a 2.300 ricoveri. I dati di ieri sui ricoveri totali di malati Covid-19 in intensiva, 3.422, indicano che ormai siamo ben oltre il 40% dei posti presenti. In molte realtà i pazienti aspettano ore, se non giorni, anche intubati, nei pronto soccorso prima di essere avviati nei reparti intensivi. Quando si indicano in oltre 11.000 i posti totali di intensiva si deve specificare che circa 3.500 sono solo sulla carta, attivabili in condizioni critiche e non immediatamente».Insomma, qui qualcuno fa il furbo e probabilmente la narrazione del governo è già impostata sul dpcm prossimo venturo. Ma qui c'è di più, perché Arcuri risponde al governo, anche se oggi se ne distacca in modo vistoso. Del resto, anche sulla scuola, il manager è andato abbastanza per i fatti suoi. Due settimane fa, osservò: «Al momento non risulta che la scuola faccia aumentare il numero dei contagi, la scuola è uno dei luoghi più protetti». Com'è andata a finire lo sanno bene milioni di famiglie. Già, nonostante il commissario all'emergenza volesse le scuole aperte, ora dalla seconda media in su sono tutti a casa. Certo, tornando alle intensive, il governo nelle scorse settimane era stato anche tirato per la giacchetta. Per esempio, lo scorso 8 novembre, Filippo Anelli, presidente dei medici italiani riuniti nell'impronunciabile sigla Fnomceo, aveva osservato, sulle rianimazioni, che «considerando i dati di questa settimana come andamento-tipo e se li proiettiamo senza prevedere ulteriori incrementi, la situazione fra un mese sarà drammatica e quindi bisogna ricorrere subito ad una chiusura totale». E solo una settima fa, L'Agenas, agenzia pubblica che fornisce studi e monitoraggi a governo e Regioni, aveva lanciato l'allarme perché si era arrivati al 36% di occupazione dei letti in rianimazione da parte dei malati Covid. E aveva fatto notare che con numeri del genere (al 60% in alcune Regioni) era «di fatto impossibile curare altre patologie». Ecco, il punto semmai sarebbe questo: si muore anche di altro. Di questo passo verrà un giorno in cui ogni malattia avrà il suo dpcm Conte. Ma all'insaputa di Arcuri.