2020-04-02
Arcuri prende in giro i dottori con mascherine «non autorizzate»
Prima invia 600.000 pezzi, poi avverte che, anche se hanno la scritta Ffp2, non servono a niente. L'Ordine blocca la distribuzione. Angelo Borrelli: «Errore logistico». Finora nessun controllo: «Ma da ora in poi li faremo...».Non c'è niente da fare. In Italia continua a esserci un grave problema di scarsità di mascherine durante un'emergenza sanitaria. Nonostante un commissario straordinario, nonostante gli aiuti dall'estero o dai privati, nel nostro Paese continuano a mancare dispositivi di protezione per la protezione di personale medico e operatori sanitari, forze dell'ordine e cittadini. E quelle che sono arrivate negli ultimi giorni servono a poco o nulla «se non per fare giardinaggio». Inizia poi a esserci qualche problema con la Cina, perché non si possono usare intermediari nel contrattare (si parla solo con il governo cinese) e per di più il materiale arrivato martedì a Malpensa da Pechino non andava bene: le mascherine erano inutilizzabili come anche i ventilatori a cui mancavano pezzi per farli funzionare. Proprio ieri il ministro degli Esteri Luigi Di Maio spiegava alla Camera che dei 30 milioni di dispositivi di protezione in arrivo dall'estero circa 22 milioni sono di marca cinese. È questo il quadro della situazione emerso ieri mattina durante la consueta videoconferenza tra Regioni e Protezione civile. Se appena due giorni fa il commissario Domenico Arcuri aveva assicurato di rifornire tutta la popolazione con 300 milioni di mascherine, ora non può fare altro che ratificare per l'ennesima volta in questo mese il fallimento della macchina burocratica italiana. Perché buona parte di quelle inviate non proteggono abbastanza. A scriverlo nero su bianco è il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) Filippo Anelli che ieri si è trovato costretto a inviare una circolare ai colleghi invitandoli «a sospendere immediatamente la distribuzione e l'utilizzo di quanto ricevuto, informando eventuali medici o strutture che ne fossero già in possesso». In pratica le 600.000 mascherine arrivate nei giorni scorsi dalla Protezione civile non vanno bene. «Il commissario straordinario per l'emergenza Covid-19, Domenico Arcuri», si legge nella lettera di Anelli, «mi ha appena informato che le mascherine contenute in involucri che riportavano la dizione “maschere Ffp2 equivalenti", inviati dalla Protezione civile in data odierna agli Ordini dei medici dei capoluoghi di Regione, non sono dispositivi autorizzati per l'uso sanitario dalla Protezione civile. Vi chiedo quindi di sospendere immediatamente la distribuzione e l'utilizzo di quanto ricevuto, informando nel contempo eventuali medici o strutture che ne fossero già in possesso». In Italia ci sono 460.000 medici, 71 sono morti questo mese sul posto di lavoro. Anelli aveva chiesto un aiuto al governo. Ma invece di ottenere mascherine protettive, ovvero le Ffp2, ne sono arrivate altre «di cartone». Così il tempo passa. E il rischio di un aumento dei contagi tra chi in questi giorni deve lavorare cresce. Ieri Angelo Borrelli si è dovuto scusare con i medici: «Le mascherine ai medici di base sono state distribuite per un errore logistico». Lo stesso Arcuri ha ammesso di non aver svolto fino a oggi un controllo del materiale inviato: «Da oggi le forniture oggetto di “donazioni" verranno sottoposte a un controllo a campione, per essere certi della corrispondenza tra bolla di consegna, indicazioni stampate sulla confezione e prodotti donati», ha scritto il commissario in risposta ad Anelli. Non si poteva fare prima? Il sito della Protezione civile che dovrebbe monitorare la distribuzione del materiale continua a non dare risposte esaustive. Per esempio al 31 marzo il Molise avrebbe ricevuto circa 262.000 prodotti di protezione. Eppure in videoconferenza il rappresentante della Regione ripete da giorni che non è arrivato nulla. Dove è finito il materiale? È stato sequestrato? Lo stallo nelle consegne sembra legato al fatto che non ci sarebbe un regolamento su come agire in caso di ricezione di una richiesta di requisizione di merci che varcano i confini nazionali. Che quindi spesso si fermano e poi vengono consegnate in ritardo. Inoltre il tutto si svolgerebbe senza un vero protocollo, anche tramite Whatsapp,e, anche in questo caso, al di fuori delle procedure da adottare in caso di emergenza. Non a caso martedì il governatore del Veneto Luca Zaia ha chiesto «che si interrompa l'ordinanza che prevede il sequestro quantomeno delle mascherine chirurgiche, perché è giusto che i rivenditori, supermercati e farmacie, le possano comprare. Ma per farlo non ci devono essere i sequestri alle Dogane».Ma se le mascherine dall'estero non vanno bene, si possono almeno produrre in proprio? Neanche questo è possibile. Il governatore della Lombardi Attilio Fontana lo ha spiegato più volte: «Come sempre la burocrazia è terribile: noi abbiamo un'azienda che potrebbe realizzare 900.000 mascherine al giorno e che potremmo subito distribuire, con tessuti certificati dal Politecnico, ciononostante l'Iss ha chiesto tempo per poter rilasciare la certificazione che ci permette la distribuzione». L'Istituto superiore di sanità ieri si è preso la briga di rispondere. «Il via libera per ogni prodotto verrà dato solo quando ci saranno fornite le prove della sua efficacia e sicurezza». Al momento sono oltre 800 le richieste di autorizzazione e oltre 3.200 le richieste di informazioni per la produzione. Ma intanto si perde solo tempo.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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