2020-12-16
Le siringhe
sono d’oro ma non hanno la «sicura»
I dubbi di Pierpaolo Sileri: i dispositivi scelti dal commissario non avrebbero il meccanismo per ricoprire l'ago. Un pericolo per gli operatori Il manager bocciato pure dalla Corte dei conti per la bonifica di Bagnoli. Un disastro per il quale Invitalia ha speso 442,7 milioniIl verdetto il 21 dicembre. Eppure per l'agenzia l'autorizzazione di Londra fu affrettataLo speciale contiene due articoliGli ambiziosi come lui non s'accontentano mai. Dopo aver furoreggiato per le introvabili chirurgiche, i respiratori fantasma e i banchi rotanti, Domenico Arcuri è l'uomo delle «siringhe d'oro». Definizione che, a dire il vero, sembra già riduttiva: perché i dispositivi che dovranno inoculare il prezioso vaccino agli italiani, potrebbero essere anche meno sicuri di quelli che tutto l'orbe terraqueo si appresta a usare. Un altro di quegli strike che poteva riuscire solo al super boiardo prestato alla lotta contro l'epidemia. A mettere il tarlo è stato il viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri. Ospite di Quarta repubblica, rivela il possibile arcano. Prima, però, premette: per carità, le luer lock arcuriane sono precise. Ma al pari di altre siringhe, molto meno costose. «Si equivalgono», compendia. A quel punto, Sileri, ormai nelle abituali vesti di coscienza critica ministeriale, prosegue: «Sarei molto più attento invece alla copertura dell'ago: un conto è vaccinare qualche decina di persone; un altro qualche milione di italiani. E io devo tutelare i miei colleghi, che non raramente si pungono mentre si rincappuccia la siringa. Avere l'ago che si può coprire, per poi gettare tutto, è l'aspetto più importante. Questo protegge l'operatore».Il performante commissario sembra ricercare il non plus ultra quanto a efficienza: ovvero non sprecare nemmeno una goccia di vaccino. Logica però smontata dallo stesso viceministro: «Le luer, che si avvitano, permettono di evitare qualche spreco, come avviene quando magari la siringa si apre. Ma, francamente, è molto improbabile che accada. Quasi impossibile, a dire il vero». È molto più frequente, aggiunge, che gli operatori sanitari si pungano: «Diventa una probabilità da non sottovalutare. Quindi raccomanderei fortemente di usare le siringhe che si incappucciano, mentre sono assolutamente inutili la tenuta e la performance». Insomma, mentre si avvicina la data dall'inizio delle vaccinazioni, scopriamo l'imponderabile: Arcuri potrebbe essere riuscito a superarsi. E se qualcuno pensa che il problema sia un eventuale difetto di simpatia del viceministro nei confronti del supercommissario, a Quarta repubblica interviene pure Maria Rita Gismondo, celebre microbiologa dell'ospedale Sacco di Milano: «Da virologa, la problematica mi sta molto a cuore. Oltre che a norma, le siringhe devono essere incappucciate. Quando si vaccinano molte persone il rischio di pungersi può essere elevato». Ma è solo l'ultima puntata dell'ennesima saga. Già avevamo assistito a una selva di smentite: Comitato tecnico scientifico, Istituto superiore di Sanità e perfino Pfizer. Nessuno avrebbe suggerito di comprare le luer lock. Che, tra l'altro, come assicurano diversi produttori italiani, sarebbero quasi introvabili sul mercato. Eppure, Arcuri ha deciso comunque di farne incetta. Il loro prezzo può arrivare fino a un euro l'una. In altri Paesi, dalla Francia alla Germania, si è optato invece per altre siringhe, vedi le cosiddette tubercolina, che costano appena 8 centesimi l'una: 14 volte di meno. Domanda inevitabile: come mai, per il medesimo vaccino, a Roma si è deciso di non badare a spese? Ma, del resto, cosa volete che siano 1,5 miliardi per il commissario. Peanuts. Noccioline. Spiccioli. Per fronteggiare l'epidemia, non ha mai badato a spese. Mascherine, arredi scolastici, terapie intensive: i suoi bandi sono sempre stati in formato extralarge. Lui è uomo, anzi boiardo, di mondo. Una missione dopo l'altra, rischia pure di intaccare il record dell'ex presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, che ai bei tempi riuscì a collezionare 25 incarichi simultanei. E Arcuri, oltre ad accumulare incombenze nella lotta alla pandemia, resta amministratore delegato di Invitalia, diventata nel frattempo una mini Iri dedita a onerosi salvataggi di Stato. E non solo. Così, qualche svista può capitare anche all'infallibile Mimmo. La Corte dei conti, per esempio, ha appena sonoramente bocciato l'ipotetica riqualificazione urbanistica di Bagnoli: una delle tante sfortunate imprese in cui si è cimentata Invitalia. I magistrati contabili hanno esaminato la gestione che va dal 2015 al 2018. Dopo le prodezze di Bagnolifutura, partecipata del comune di Napoli che ha sperperato l'inimmaginabile, era arrivato il cavaliere bianco. S'annunciavano mirabolanti rinascite. Invece la bonifica, scrive la Corte dei conti, è «ancora lontana dalla sua conclusione, malgrado l'enorme onere finanziario sostenuto nei 25 anni di attività. Con risultati talvolta peggiorativi per l'inquinamento dell'area, causati da interventi di bonifica non idonei». Anche in questo caso, comunque, non abbiamo badato a spese. Sono stati finanziati, tramite Invitalia, interventi per 442,7 milioni, che si aggiungono ai 117 milioni e ai 285 milioni concessi già a Bagnolifutura. Ragguardevole totale: 845 milioni di euro, di cui 490 già spesi per ottenere quello che si vede oltre il perimetro della zona dismessa: il deserto.Le responsabilità dell'agenzia guidata da Arcuri cominciano nel 2015. Da allora, spiega ancora la Corte dei Conti nella sua relazione, sono state «realizzare soltanto attività di studio e di caratterizzazione, propedeutiche alla progettazione degli interventi di bonifica e di risanamento tuttora in corso». In virtù del traguardo raggiunto, il premier, Giuseppe Conte, ha affidato allo stimatissimo Arcuri altre due missioni strategiche in terra di Puglia: il salvataggio dell'Ilva e della Popolare di Bari. Altiforni, banche e siringhe. Prode e versatile, Mimmo è già nella storia. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/arcuri-fa-le-siringhe-ma-non-i-cappucci-2649508581.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lema-accelera-sul-via-libera-a-pfizer-dopo-le-pressioni-della-germania" data-post-id="2649508581" data-published-at="1608062311" data-use-pagination="False"> L’Ema accelera sul via libera a Pfizer dopo le pressioni della Germania «Autorizzare il vaccino prima di Natale». Il diktat della Germania è arrivato ieri mattina per bocca di Jens Spahn, ministro della Salute dell'esecutivo guidato da Angela Merkel. Segno che dalle parti di Berlino devono essersi proprio stufati delle lungaggini dell'Agenzia europea del farmaco. D'altronde, la seconda ondata tedesca fa molta più paura della prima, e se il governo non trova una soluzione al più presto c'è il forte rischio che sull'onda del contagio il consenso del governo evapori come neve al sole. Obbediente come un soldatino, già nel primo pomeriggio l'Ema ha dato notizia di avere anticipato al 21 dicembre la riunione per «esaminare le informazioni aggiuntive» ricevute da Pfizer-Biontech e «possibilmente concludere la valutazione». Sempre in mattinata anche il ministro della Salute italiano, Roberto Speranza, aveva auspicato uno sveltimento dell'iter. Se il farmaco fosse approvato già lunedì prossimo, il guadagno sarebbe pari ad appena tre giorni lavorativi rispetto alla data del 29 dicembre annunciata in precedenza. Quanto basterebbe, comunque, a far partire le prime somministrazioni entro la fine dell'anno. Una cosa è certa, e cioè che a Berlino i mal di pancia sul vaccino duravano già da diversi giorni. Le campagne vaccinali sono partite in pompa magna nel Regno Unito e negli Stati Uniti, per non parlare di Russia e Cina. E l'Unione europea? Ferma al palo, in attesa di un sudatissimo disco verde da parte del regolatore. Per carità, la sicurezza prima di tutto. Normalmente, la sperimentazione dei vaccini dura svariati anni, e il processo di autorizzazione finisce per un passaggio tutt'altro che scontato. Ma stavolta è diverso: la pandemia in corso ha fatto più di un milione e mezzo di morti, mettendo in ginocchio le economie di mezzo mondo. E soprattutto non si capisce perché lo stesso e identico vaccino possa essere distribuito e funzionare bene al di là della Manica (e dell'Atlantico) e invece nel vecchio continente no. Eppure, quando lo scorso 2 dicembre il Regno Unito aveva annunciato, primo Paese al mondo, l'autorizzazione del vaccino Pfizer-Biontech all'Ema erano stati proprio quelli dell'Ema a stracciarsi le vesti. «La nostra procedura è più lunga e accurata, perché basata su più prove e controlli rispetto alla procedura d'emergenza» scelta da Londra, aveva dichiarato in una nota l'agenzia. L'ex direttore dell'Ema Guido Rasi aveva parlato senza mezzi termini di «decisione politica». Un'accusa prontamente rispedita al mittente da June Raine, capo del regolatore inglese Mhra, la quale aveva assicurato che non era stata presa «alcuna scorciatoia» e il processo era dipeso «totalmente dai dati disponibili nelle nostre revisioni continue». Tra l'altro, ironia della sorte, l'autorizzazione di emergenza deliberata dal Regno Unito era stata resa possibile da una direttiva europea. Viene spontaneo chiedersi dunque sulla base di quali elementi la decisione di Londra fosse affrettata, e il pressing odierno nei confronti dell'Ema risulti giustificato? E invece perfino la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è rallegrata circa la possibile accelerazione delle tempistiche. «Ogni giorno conta, lavoriamo a piena velocità per autorizzare vaccini sicuri ed efficaci contro il Covid-19. Saluto con favore la decisione dell'Ema di anticipare la riunione per discutere del vaccino Pfizer-Biontech a prima di Natale. È probabile che i primi cittadini europei vengano vaccinati prima della fine del 2020», ha twittato la von der Leyen. Stesso vaccino, pesi e misure diversi.
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