2025-02-05
Arcuri torna in commissione, ma fa melina
Domenico Arcuri (Imagoeconomica)
L’ex responsabile dell’emergenza Covid rivendica ancora il suo lavoro e glissa sui punti scomodi.Nessuno ha ancora trovato il confine tra il suo eroismo burocratico e quella che appare come una sorta di selettività narrativa. Ma, dopo le sei ore di audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, il quadro è chiaro: l’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri continua a mostrare il petto e ad assumersi la responsabilità delle azioni del suo ufficio. Cosa che, come un Giano bifronte, non aveva fatto davanti ai pm che lo hanno indagato, come lui stesso ha ricordato, prima per corruzione, poi per peculato e infine per abuso d’ufficio. Le prime due accuse sono state archiviate, il terzo reato è stato soppresso dal governo. L’inchiesta giudiziaria è quella per la maxi fornitura da 1,2 miliardi di euro per gli 800 milioni di mascherine (molte delle quali poi sequestrate dalla Guardia di finanza) intermediate dal giornalista, poi deceduto, Mario Benotti. Con il suo piglio da uomo dello Stato, Arcuri è stato molto bravo a mantenersi nel perimetro della correttezza formale e a chi lo ha ascoltato nella sua performance mattutina (che è ripresa alle 20 di ieri sera) è sembrato convincente. «Non ho firmato nessun contratto con Benotti, ma ho firmato dei contratti con aziende che producevano mascherine», ha detto rispondendo alle domande dei commissari. Con Benotti, ha accertato l’indagine, c’erano stati 1.280 contatti telefonici. Ma è da altri, è emerso, che Arcuri avrebbe ricevuto sollecitazioni: «Esponenti di partiti di minoranza e non al governo». Un passaggio, questo, sul quale ha glissato. Ovviamente non è con Benotti che Arcuri ha firmato i contratti, visto che il giornalista, di fatto, era solo il broker dell’operazione. Le mascherine, come ha spiegato, le hanno fornite i consorzi cinesi. A discapito, è emerso durante la scorsa audizione, dell’azienda guidata da Dario Bianchi, la Jc Electronics, che in primo grado ha spuntato un risarcimento da oltre 200 milioni di euro dalla Presidenza del consiglio perché sarebbe stata silurata dalla struttura commissariale, sostiene Bianchi, proprio quando è scesa in campo la compagine di Benotti. Ma Arcuri, mantenendo il tono di chi sta spiegando a una classe svogliata la matematica delle emergenze, ha sostenuto che sulle mascherine della Jc ci sarebbe stato addirittura un ricarico economico «superiore» rispetto a quelle dei consorzi cinesi. E su quello che il Tribunale di Roma ritiene un pasticcio, ovvero l’aver risolto il contratto in anticipo perché la struttura commissariale non aveva aperto le Pec con le certificazioni da girare al Cts per la validazione, ha affermato: «Non me ne sono occupato direttamente, ma mi assumo tutta la responsabilità della vicenda». Alla fine Arcuri è anche sembrato convinto che le certificazioni davvero la Jc non le avesse, nonostante i carteggi tra la segreteria di Antonio Fabbrocini, il responsabile unico del procedimento (accusato di frode nelle pubbliche forniture nell’inchiesta su Benotti & Co.), e l’azienda tra maggio e luglio del 2000. Parlando in terza persona, poi, ha assicurato: «È di difficile sostenibilità la tesi che Arcuri a marzo del 2020 sapesse che le mascherine sequestrate a febbraio del 2021 e poi dissequestrate non erano buone. Se ne occuperanno altri in altre sedi». Tra i momenti più toccanti c’è il racconto del cargo di mascherine fantasma: «Una notte mi viene detto che in un aeroporto di una capitale europea è arrivato un cargo di mascherine destinato al governo italiano», ricorda Arcuri, aggiungendo: «E io, che sono un ragazzo semplice, chiedo ai nostri dell’ambasciata in quel Paese di andare a controllare e il cargo era vuoto». Allo stesso modo, ha proseguito, esponenti di altri Paesi sono arrivati da un fornitore di ventilatori polmonari destinati all’Italia, «hanno pagato in contanti e se li sono presi». Una vicenda che, raccontata da altri, sarebbe suonata come l’ammissione di una sonora sconfitta. Invece, detta da Arcuri, diventa un’epica del sacrificio. Tanto che Giuseppe Conte rivendica: «Tornando indietro lo rinominerei cento volte». E anche i commissari dem e pentastellati non economizzano i complimenti. Mentre «usano pretestuosamente questo organo parlamentare ai soli fini di esercitare ostruzionismo e di attaccare Fratelli d’Italia», denunciano gli esponenti meloniani in Commissione. Alla fine, tra le dichiarazioni solenni e le frasi a effetto, resta un dato di fatto, sottolineato dalla capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione d’inchiesta Alice Buonguerrieri: «Chi ha parlato di circuito esclusivo d’importazione (quello di Benotti, ndr), a ragione o a torto, di irregolarità o insalubrità delle mascherine importate dal consorzio cinese, sono la magistratura e la Guardia di finanza». Le questioni centrali, per ora, restano aperte.