2021-04-19
«Aperture e chiusure continue sono micidiali per le imprese»
La presidente e ad della casa di moda Luisa Spagnoli, Nicoletta Spagnoli: «Negli anni Venti la mia bisnonna fondò due aziende. Ora il 90% del mio personale è donna: ma è merito, non quote rosa».Non era scritto nel destino che proseguisse sulla strada della ricerca, della chimica e della farmacia, studi ai quali si è appassionata fin da ragazza. Ben altro l'attendeva. Ma quella scelta, apparentemente forzata, è stata piena di soddisfazioni. Perché Nicoletta Spagnoli, capitana d'industria, cavaliere del lavoro, componente dell'Aspen Institute, presidente e amministratore delegato della casa di moda Luisa Spagnoli, regge le sorti dell'azienda da 35 anni, dopo averla ereditata dal padre Lino. A fondare e dare il nome all'impresa era stata nel 1928 la bisnonna, Luisa Spagnoli, nata a Perugia nel 1877, a 30 anni già sposata e separata dal marito, sentimentalmente legata a un uomo più giovane, Giovanni Buitoni, con il quale fondò la Perugina e quella meraviglia dei famosi e amorosi cioccolatini, i Baci.La bisnonna ha precorso i tempi in tutto.«Ha iniziato la nostra storia imprenditoriale utilizzando il filato d'angora per produrre capi di maglieria. Fu molto scaltra perché intuì che pettinando invece di tosare il pelo di questi conigli si otteneva un filo molto più sottile e morbido e poteva essere lavorato con macchine rettilinee. Ebbe da subito un grande successo. Ma morì nel 1935 e la Luisa Spagnoli era ancora a carattere amatoriale».Chi diede la svolta industriale?«Mio nonno, suo figlio, che dalla madre aveva ereditato la fantasia e la creatività. L'aveva sempre affiancata, aveva lavorato con lei anche alla Perugina. Fu lui a dare il vero impulso dall'attività artigianale. Dava coppie di conigli ai contadini con tutto il kit per tenerli in salute, un pettine particolare per la pettinatura inventato da lui e un punzone per gli incroci».Nella massima espansione quanti conigli c'erano?«Tantissimi. In questo modo si assicurava lana pregiata sempre. Il nonno pagava i contadini e il giro si allargò dall'Umbria a tutta Italia. Si arrivò a oltre 8.000 allevamenti».Cioccolata e lana, come si legavano?«Beh, la mia bisnonna diede vita alle due attività in contemporanea, praticamente. Le prime prove di questa filatura le aveva fatte con operaie prestate dalla Perugina. Lei era un'animalista, si circondava di animali di tutti i tipi, aveva perfino una scimmia. Questi conigli l'avevano molto incuriosita, li aveva fatti arrivare dalla Francia ma volle creare i conigli d'angora italiani con diversi incroci. Una vera appassionata».Luisa Spagnoli è un esempio anche per le donne di oggi, tante non avrebbero il suo coraggio.«Fondò due aziende e non dimentichiamoci che eravamo negli anni Venti. Fu lei a inserire la donna nell'attività industriale all'epoca della Perugina quando gli uomini furono chiamati in guerra. Chi era al fronte fu sostituito con personale femminile che neanche votava, al quale era preclusa l'istruzione per non parlare del lavoro fuori casa. Alle donne furono messe a disposizione sale dove potevano allattare durante l'orario di lavoro».E oggi quante donne lavorano alla Luisa Spagnoli? «Su 756 persone che lavorano per noi circa il 90% sono donne, 564 sono nei negozi e 88 in sede. Facciamo un prodotto esclusivamente femminile, va di conseguenza che le donne abbiano un posto privilegiato. Abbiamo 150 negozi in Italia e all'estero, oltre a quelli diretti a Londra, Monaco, Dusseldorf, tre in Polonia e uno a Palo Alto negli Stati Uniti».La differenza di genere esiste in ogni ambito. Dai professori nelle università, dove solo il 23% è donna, alle imprenditrici, che a malapena arrivano al 20%. Ci sarà mai una vera parità?«Ci sono ancora troppi pregiudizi e limiti culturali che condizionano le donne. Donne che occupano posti di responsabilità anche all'interno delle aziende sono decisamente inferiori agli uomini: ruoli diversi, stipendi diversi. Eppure ricerche recenti dimostrano che le imprese guidate da donne vanno meglio rispetto ad altre. Non c'è dubbio che le donne siano molto preparate, con capacità forse superiori, perché in grado di compiere più attività contemporaneamente proprio perché sono abituate a farlo».Siamo sempre alle solite. «Sono per la meritocrazia ma capisco anche che in certi settori ci sia stato bisogno delle quote rosa. Ad esempio, nessuna siederebbe nei consigli di amministrazione delle società quotate tenendo conto che gli amministratori delegati sono l'8%. E s'è detto tutto. Purtroppo le donne hanno troppe cose da fare».Se prendiamo questo tremendo periodo, anche quelle che lavorano per lei si saranno trovate in difficoltà a portare avanti più mansioni.«Bambini e anziani chi li segue se non le donne? Ma questo da sempre, non c'è pandemia che tenga. Io stessa ho avuto grandi problemi nonostante tutti gli aiuti che potevo avere. Tant'è che di figli ne ho fatto uno solo. Quando mi sono trovata a essere al lavoro dopo 15 giorni dal cesareo mi sono convinta che non era più possibile. Poi magari ti capita di pensarci ma il tempo è già passato e nulla può più accadere».La natalità sempre più bassa in Italia ha motivi ben precisi.«Per forza, le donne sono sole e anche con chi dà loro una mano, sono costrette a correre. E non c'è una politica che aiuti, che preveda asili. Con mio nonno ricordo il nostro asilo nido; in azienda c'erano più di 1.000 persone, oggi non è più così, non ci sarebbero più bambini all'asilo. Ricordo stanze piene di lettini e l'odore dei biscotti. Mio nonno aveva anche fondato la città dell'angora, autosufficiente, con scuole, case per i dipendenti, negozi, sala medica e la grande piscina per i dipendenti».Cos'è cambiato da allora?«Un po' tutto. È rimasta la sala medica dove vaccineremo, abbiamo già dato l'adesione. Facciamo molto spesso i tamponi e siamo già attrezzati. Attendiamo solo i vaccini, abbiamo medico e infermiera».Il mestiere d'imprenditrice era nel suo dna o le è dispiaciuto lasciare il lavoro di ricercatrice? «Ho sempre disegnato, fin da piccola, e forse questo voleva dire qualcosa. Mio padre non mi disse d'andare in azienda, quindi continuai gli studi iscrivendomi a farmacia dove rimasi a fare ricerca, ben felice d'essermi trovata il lavoro da sola. Poi sei mesi negli Stati Uniti per fare ricerca. Ma al ritorno il papà mi chiese di lavorare con lui. Tre anni dopo è mancato inaspettatamente e a differenza delle altre generazioni della famiglia che erano state preparate a subentrare, per me è stato tutto improvviso».Bionda, occhi azzurri, alta, slanciata, lei è una bellissima donna. Nel mondo imprenditoriale questo è un handicap?«Credo di aver iniziato in modo incosciente. Mi sono trovata lì a 30 anni con una grande responsabilità sulle spalle. Non ho pensato ad altro che a lavorare. La prima cosa che chiesi al direttore, segretario di mio padre, fu: “Quanto ci vuole a rovinare tutto?". Per fortuna avevo trovato un'azienda solida, periodo buono, si vendeva molto bene. Ho cercato di allargare la clientela, di fare passi importanti verso la modernizzazione. Non ho mai pensato che la bellezza fosse un limite perché non ci pensavo per niente. Né pensavo: “Sono una donna e non mi danno retta". Forse se ne parla più adesso. Avevo un unico problema, portare avanti l'azienda e me ne sono altamente fregata di quello che potevano pensare gli altri».La Luisa Spagnoli potrebbe entrare nel carrello di una multinazionale?«È un'azienda famigliare e così resta. Perderebbe d'identità. Offerte ne abbiamo avute anche sostanziose ma ho sempre detto no. Tengo duro finché posso».E un ingresso in Borsa?«Anche a quello ho detto no, non è il momento».La politica non l'ha mai attirata?«Altro no, non sono adatta, faccio l'imprenditrice. Bisogna essere diplomatici e non lo sono. Dico quel che penso già con gli occhi. Lavoro per l'azienda e per il mio territorio. Amo molto l'Umbria».La pandemia ha colpito duro la moda. Per lei come vanno le cose?«A intermittenza perché quando si riapre le cose vanno bene, ma questo stop and go è micidiale e destabilizza. Neanch'io so quando i negozi sono aperti. E secondo me è peggio stare dentro casa che far uscire un po' la gente. Bisognerebbe controllare, quello sì. Mandare più persone a tener monitorata la situazione per dare anche più multe. Un bar della mia zona ha dovuto chiudere per tre giorni a Pasqua per l'inciviltà di chi lo frequentava. Ma è stato un caso».Ha visto le foto di Jill Biden in gonna corta svolazzante e calze a rete? Critiche ce ne sono state ma che cosa sarebbe accaduto se si fosse vestita così Melania Trump da first lady?«L'avrebbero ammazzata, per il mondo sarebbe stato mille volte più grave. Anche se Melania avrebbe fatto ben altra figura pensando al suo fisico. Sarebbe stata attaccata da ogni fronte». E della poltrona mancante di Ursula von der Leyen? «Questo dimostra la politica della Turchia nei confronti delle donne che devono stare nell'angolo. Lei è stata una gran signora mentre pessimo il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, anche se cerca ora di giustificarsi. Doveva essere lui a darle la sedia». Cosa ne pensa del ddl Zan, la legge sull'omotransfobia che dovrebbe essere calendarizzata al Senato? «Non dovrebbe esserci bisogno di leggi su questi temi. È come per quanto riguarda le donne. Fai una legge e diventi subito un caso. È molto razzista tutto questo. Più ne parli e peggio è, come tutte le cose dovrebbe essere normale, naturale. Come considerare le donne uguali agli uomini e a chi ha orientamenti sessuali diversi. Ma senza leggi, altrimenti si cade nei problemi opposti. Tanto che chi non la pensa in un certo modo è messo al margine. Nel momento in cui fai la legge dimostri che li vedi diversamente, come per le donne, una specie a parte».
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