2022-11-25
Anni a discutere di riformismo. Ora il Pd insegue il M5s nelle piazze
Giuseppe Conte (Imagoeconomica)
Vani i tentativi di rivitalizzare il partito. I grillini si sono imposti come leader dell’opposizione: i giornali mainstream hanno sposato la battaglia a favore del Rdc e Massimo D’Alema e Goffredo Bettini creano ponti col Movimento.Sbando totale. Un Enrico Letta che - anche visibilmente - appare smarrito e desidererebbe già essere altrove (possibilmente a Parigi, se solo lo richiamassero) non fa che confermare ogni giorno come il Pd sia «nave senza nocchiero in gran tempesta». Qualche settimana fa c’era stata una prima clamorosa umiliazione, con il segretario uscente svillaneggiato in piazza dai manifestanti per la pace, e indotto ad allungare il passo, a uscire dal corteo, e perfino a indossare la mascherina forse nel tentativo di rendersi meno riconoscibile dai contestatori. Poi, pochi giorni fa, c’è stata la scelta di una tempistica surreale per il congresso: con il cambio di leader che quasi certamente avverrà dopo la probabile doppia sconfitta alle prossime elezioni regionali in Lazio e Lombardia. Ancora: l’altro giorno, in fretta e furia, è arrivato l’annuncio di una manifestazione contro la manovra di Giorgia Meloni prima ancora che il testo della legge di bilancio fosse conoscibile. E, come ha spiegato ieri il direttore Maurizio Belpietro, la corsa a «chiamare la piazza» serviva solo a rivendicare una primogenitura nell’opposizione che peraltro nessuno ormai riconosce al Pd. Ieri, in una direzione del partito, Letta ha se possibile peggiorato le cose, dando l’idea di un inseguimento confuso non solo dei pentastellati, ma pure delle microcomponenti che già aveva inserito nelle liste elettorali del 25 settembre: gli amici di Roberto Speranza, quelli di Bruno Tabacci, più la propaggini politiche di Sant’Egidio. «Il nuovo Pd», ha scandito Letta, «vogliamo costruirlo con Articolo Uno e i compagni di strada della campagna elettorale. Questo vale anche per Demos, per Centro democratico e per chi è stato con noi in queste settimane». Usando la lingua di legno di un burocrate senza emozioni e senza visione, Letta ha parlato di «allargamento e approfondimento» (non si sa di che), e ha aggiunto una convocazione che pare lugubre e spettrale: «Il 13, 14 e 15 gennaio vorrei una iniziativa che chiamerei “Piazza per il Nuovo Pd”, così da ascoltare, interloquire, parlare con le persone che ci hanno chiesto attenzione». E, se non parlassimo di un dramma, ci sarebbe perfino da ridere: si convocano tra loro, mettono sul palco le stesse facce (Speranza, nominato «garante» della fase costituente, in testa), e chiamano tutto ciò «Nuovo Pd». Se questa è l’aria che tira, è evidente che a dare le carte sarà non più il Pd, ma il Movimento 5 stelle, che ormai ha lanciato un’autentica Opa su ciò che resta dei dem. Basta unire i puntini per rendersene conto. Massimo D’Alema non fa mistero (in interviste e conferenze) del suo rapporto privilegiato con Giuseppe Conte, già a partire dall’esperienza del governo Conte due. Ed è pacifico che l’ex premier punti a usare Conte e i pentastellati per liquidare tutto ciò che non gli piace dell’attuale Pd.Stesso discorso (nonostante che i rapporti con D’Alema siano freddi da sempre: ma la «ragion politica» può più delle vecchie ruggini personali) da parte di Goffredo Bettini, già lirico sostenitore di Conte quando l’avvocato di Volturara Appula era a Palazzo Chigi, e tuttora, con un libro e una sequenza ben calcolata di uscite pubbliche, aspirante mentore e superconsigliere del capo pentastellato. Ieri si è aggiunto alla comitiva, dalle colonne del Corriere della Sera, Paolo Mieli, che ha prospettato due alternative (prima l’alleanza con i grillini e poi quella con il duo Calenda-Renzi, oppure viceversa), salvo però convergere decisamente sull’ipotesi iniziale. Furbescamente, Mieli presenta tutto ciò come una necessità oggettiva più che come un suo suggerimento, e anzi chiama in causa - per giustificare la soluzione pro alleanza con il M5s - un’attitudine antica della sinistra («La ben nota difficoltà ereditata dal Pci a tollerare nemici a sinistra»). Ma, comunque la si imbelletti, la sostanza resta quella di un invito a convergere prioritariamente con Conte. Non basta ancora? In soccorso, giunge l’apporto mediatico del gruppo Gedi. La Stampa di Massimo Giannini ha adottato toni da Manifesto dei tempi che furono, e perfino Repubblica, che aveva non di rado criticato duramente i grillini, oggi versa calde lacrime a difesa del reddito di cittadinanza. Qualche giorno fa il quotidiano di Maurizio Molinari ha pubblicato un paginone firmato proprio da Conte (meritandosi il motivato sarcasmo del Fatto quotidiano, che vede Rep accodarsi in ritardo alla sua linea). E ieri Repubblica, nello zelo della difesa del sussidio grillino, si è addirittura superata, registrando in un’intervista a pagina 2 l’idea che molti dei percettori «non sappiano leggere» (e dunque non siano materialmente occupabili), e aggiungendo a pagina 4, in un reportage da Palermo, che «senza quell’assegno» a Ballarò «non resti che spacciare». Capita l’antifona? Senza tesserina gialla, o scatta l’ipotesi-analfabetismo o l’argomento-mafia. Sul secondo tema c’è perfino da inorridire (chi è povero «deve» mettersi a fare il criminale?); sul primo c’è un involontario assist alla tesi del ministro Giuseppe Valditara (se non sanno leggere, continuino a studiare). Ma è perfino sbagliato cercare una logica legata agli argomenti, alle policies, quando qui è tutta una questione di politics, cioè di gioco politico. Chi per amore e chi per forza, chi per convinzione e chi per convenienza, i dem hanno ormai deciso di consegnarsi all’egemonia grillina. A questo punto, diventa perfino poco rilevante sapere se contro la manovra ci saranno manifestazioni unitarie o no. In ogni caso, Conte e i suoi hanno già vinto: imponendo al Pd e ai media di riferimento tutto, dai temi alle parole d’ordine, contro il «governo disumano» (sic). Siamo dunque a un triste epilogo: il Pd, che a settembre 2019, con l’operazione Conte due, era partito per assorbire i grillini e trasformarli in cespuglio, ne è stato invece palesemente catturato. Resta il divertimento di leggere gli stessi intellettuali che avevano per anni pontificato sul «riformismo» e che oggi, invece, si adattano allegramente a fare le majorette massimaliste. Sic transit gloria mundi.