
In occasione del mese sacro degli islamici, si moltiplicano le iniziative di ecumenismo, come gli auguri degli alti prelati o le preghiere in comune. Il liturgista: «Non è dialogo, ma apostasia della nostra fede».Non immaginatevi la sottomissione all'islam come l'esito di una sanguinosa guerra. Più che essere sconfitta, la civiltà occidentale si arrenderà. Pensate a quello che sta succedendo in Italia durante il mese del Ramadan, cominciato il 5 maggio. Una pletora di iniziative «ecumeniche» da parte di arcidiocesi e parrocchie, che dietro la foglia di fico del dialogo, nascondono la profonda crisi d'identità del cattolicesimo. Che quest'anno il mese sacro dei musulmani corrisponda a quello dedicato alla Madonna, poi, è una coincidenza che aggrava la diagnosi.Non poteva mancare chi tira in ballo il povero San Francesco, protagonista di un ardito tentativo di convertire il sultano islamico durante una crociata, ma oggi trasformato in una specie di cooperante di una Ong. Così, l'Ordine dei frati minori ha indirizzato in lingua araba un saluto alla comunità islamica per l'inizio del Ramadan, spingendosi fino a equiparare le persecuzioni subite dai cristiani a quelle patite dai musulmani. Sarà l'effetto della campagna del Papa pro rohingya, l'etnia di religione sunnita perseguitata in Birmania? Chi può dirlo. Fatto sta che auguri e felicitazioni agli islamici si sprecano. E giungono dalle alte gerarchie ecclesiastiche, come monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione Cei per il dialogo, che ai nostri «fratelli» musulmani ha detto: «Mi auguro che la preghiera di questo mese», preghiera ad Allah, s'intende, «possa liberare energie di amore e di pace nel mondo». Di vescovi «talebani» dell'ecumenismo, d'altronde, se ne trovano a bizzeffe. C'è monsignor Matteo Zuppi, capo dell'arcidiocesi bolognese, che nel primo venerdì di preghiera dall'inizio del Ramadan si è recato in visita in un centro islamico. Sorvoliamo su cosa siano i centri islamici: di recente, il Viminale ha invitato i prefetti a vigilare su questi luoghi di aggregazione, contraddistinti «da differenti ideologie di riferita matrice religiosa, in certi casi orientata a una strumentale interpretazione radicale e intransigente dell'islam». Non sarà il caso di quello dov'è andato monsignor Zuppi. Piuttosto è il titolo dell'evento che fa cascare le braccia: «Dialogare contro l'odio, fa paura ciò che non si conosce». Suona tanto come la solita filippica contro il timore del «diverso», l'intolleranza che nasce dall'ignoranza (ovviamente sempre la nostra, quella degli occidentali cristiani). Da Bologna saliamo a Trento: l'arcivescovo, monsignor Lauro Tisi, il 7 maggio scorso ha fatto pervenire alla locale comunità islamica i suoi auguri per il Ramadan, «affinché cresca sempre il desiderio di una fraterna collaborazione» tra musulmani e cattolici. Parole sobrie dal prelato che, lo scorso dicembre, ha officiato il funerale di Antonio Megalizzi, il reporter italiano ucciso nell'attacco terroristico di Strasburgo. In quell'occasione, nessuna condanna del fondamentalismo islamico. Solo la glorificazione dell'Europa «senza confini e senza pregiudizi». Saranno stati i pregiudizi ad armare l'attentatore? L'arcidiocesi di Sassari, in Sardegna, si è spinta fino ad adottare il calendario islamico. E l'arcivescovo metropolita, monsignor Gian Franco Saba, ha firmato una missiva di auguri di inizio Ramadan ai musulmani, per invitarli, dopo le celebrazioni dell'id al fitr (la fine del digiuno), a «un incontro di fraternità e amicizia reciproca, per ritrovarci insieme e così testimoniare la fratellanza umana i nome di Dio». Già, ma quale Dio? Quello imperscrutabile, totalmente trascendente, di Maometto, o quello che si è incarnato, venerato dalla Chiesa di Roma? È quell'espressione, «fratellanza umana», che fa pensare a un ruolo di papa Francesco nell'alimentare la confusione. La formula, dal sapore illuminista più che cattolico, è tratta dal documento che ha redatto con l'imam di Al Azhar durante la sua visita ad Abu Dhabi, a febbraio. Sicuro che la base per un incontro tra due fedi e due identità «troppo diverse tra loro» (così le definì il cardinale Gianfranco Ravasi, di certo non un conservatore estremista) sia proprio solida? È nel nome di questo documento congiunto, che il Forum delle religioni della diocesi di Milano, sabato 18 maggio, ha invitato musulmani e cristiani «a vivere insieme l'iftar», con «momenti di preghiera di ciascuna area religiosa». A proposito di San Francesco, i meneghini arrivano a ragguagliare l'incontro tra il santo di Assisi e quello tra Jorge Mario Bergoglio e l'imam degli Emirati. Eppure, al capitolo 16 della sua Regola, Francesco (quello santo) scriveva: «I frati che vanno tra gli infedeli», dove gli «infedeli» erano i musulmani, «confessino di essere cristiani» e «annunzino la parola di Dio». Quello cattolico.La sottomissione è in corso pure a Torino: la diocesi ha supportato l'iniziativa delle Comunità religiose islamiche, del Gruppo Abele e di alcune parrocchie del capoluogo piemontese, che hanno organizzato due incontri di «dialogo interreligioso» in occasione dell'iftar, il momento in cui, all'imbrunire, s'interrompe il digiuno giornaliero dei musulmani. A Novellara (Reggio Emilia), un parroco ha offerto i locali parrocchiali ai musulmani che festeggiano l'iftar. Con i cristiani, però, lui è severissimo: giusto lo scorso anno aveva rifiutato di somministrare la prima comunione ai bambini cui i genitori volevano regalare uno smartphone. Islamizzati sì, connessi a Internet no. Di cene catto-islamiche, infine, se ne vedranno anche a Mileto, in Calabria. A Catania, invece, la Caritas diocesana ha donato alla moschea della Misericordia dei beni alimentari per gettare «un ideale ponte tra cristiani e musulmani» e favorire l'incontro «tra don Piero Galvano, direttore della Caritas e Kheit Abdelhafid, imam della moschea» siciliana. Il preposto di Empoli, don Guido Engels (un cognome che è tutto un programma), parteciperà invece a un «momento di riflessione» insieme all'imam della moschea cittadina. Quest'ultimo ha anche annunciato un «grande incontro» al termine del Ramadan.Secondo il giornalista Pietrangelo Buttafuoco, le iniziative comuni vanno bene se sono fondate sull'amore «del sacro, della tradizione e non sui balletti del solidarismo ecumenico. Quando il patriarca della Gerusalemme presa dai musulmani offrì all'imam la chiesa come luogo di preghiera, costui, per rispetto dei cristiani, rifiutò. E fece pregare la sua comunità fuori». Molto duro è don Nicola Bux, liturgista e studioso dell'Oriente. «Non ha senso», spiega alla Verità, «condividere le celebrazioni del Ramadan con i musulmani, specie se si tratta di preghiere in comune. Quando prega, un cattolico lo fa “per Cristo Signore nostro", che ci ha rivelato il vero Dio. Come fa a pregare per mezzo di Cristo insieme a un musulmano? Queste iniziative non fanno altro che rafforzare negli islamici una convinzione: che noi siamo apostati della nostra religione e che loro sono più forti di noi». Per sottometterci, insomma, non dovranno nemmeno faticare.
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