2023-07-04
Anche i musulmani d’Italia dicono «Basta immigrazione fuori regola»
Per la comunità islamica del nostro Paese la causa degli scontri in Francia non è religiosa ma identitaria. Saif Abouabid: «Quei ragazzi si sentono estranei». Mentre da noi è diverso: «Per ora qui le occasioni ci sono, l’immigrazione di massa però può far saltare tutto».Che la Francia sia un esempio da non imitare lo hanno capito quasi tutti dopo giorni di guerriglia nelle strade, incendi, feriti e morti. Ma se davvero vogliamo evitare di ricreare qui la mistura esplosiva che ha dato fuoco alle banlieue allora dobbiamo avere il coraggio di superare alcuni luoghi comuni, e di inoltrarci a fondo nei problemi, tastando il polso dei gruppi che - a torto o a ragione - in queste ore vengono chiamati in causa. A partire dalle comunità musulmane, che dall’inizio degli scontri continuano a interrogarsi su quanto accade Oltralpe. Confrontandosi con loro emergono spunti di grande interesse e sorprendenti coincidenze di vedute. «Credo che l’elemento religioso non c’entri nulla con quanto sta accadendo in Francia», dice Saif Abouabid, noto rappresentante della comunità islamica italiana. «Penso che qui il problema sia soprattutto identitario. Ci sono dei giovani che appartengono alla terza o quarta generazione di immigrazione, significa che i loro genitori o persino i loro nonni sono cresciuti e nati in Francia. Eppure questi ragazzi non si sentono francesi. Si percepiscono come stranieri, e se devono pensare a una patria pensano alla nazione di provenienza delle loro famiglie». La lettura di Saif è piuttosto chiara. Ci sono ragazzi, molti dei quali minorenni, che vivono un profondo disagio sociale e con la violenza cercano in qualche modo di vendicare «mancate occasioni di ascesa sociale». Sentendosi estranei in Francia, idealizzano la nazione d’origine, anche se, in realtà, la conoscono poco. «A scendere in strada sono per lo più ragazzini dagli 11 ai 14 anni», continua Saif. «Non sono adulti, persone consapevoli e coscienti. Sono bambini che vivono nelle loro case un clima di odio verso il loro Paese, un clima di razzismo che percepiscono nonostante non ne capiscano i motivi. Sanno di essere francesi, hanno i passaporti come i loro concittadini, eppure sentono di vivere in un Paese estraneo. E allora hanno costantemente l’occhio e il cuore collegati con i Paesi di provenienza dei loro genitori, dove vanno a passare probabilmente due o tre settimane o un mese d’estate».Ecco allora che si costruisce un racconto fatto di risentimento e di vittimismo che si alimentano reciprocamente. Su queste fondamenta si innesta l’immaginario creato dall’hip hop e soprattutto dalla trap, che sono colonna sonora delle sommosse. «Se ci fate caso, le canzoni che ascoltano quei ragazzi sono tutte simili. E molto spesso richiamano i Paesi di provenienza: Tunisia, Algeria, Marocco», commenta Saif. Al di là dell’analisi sociologica, tuttavia, ciò che più ci deve interessare è come evitare che analoghe situazioni esplosive si ripetano qui. A questo riguardo, Saif appare ottimista. «Qui in Italia», dice, «fortunatamente viviamo una situazione un po’ diversa rispetto a Belgio e Francia. Possiamo dire di aver imparato qualcosa dalle generazioni precedenti. Faccio un piccolo esempio. Tanti ragazzi, qui, rifiutano di andare a vivere nei contesti di case popolari come i loro genitori. Quelli della mia generazione - la seconda generazione - prendono quasi come un insulto la richiesta da parte delle generazioni precedenti di fare domanda per le case popolari. Vogliamo rifiutare l’idea che l’immigrazione ti porti per forza a vivere in una situazione di precarietà o povertà. In Francia e in Belgio non è così. Là in tanti continuano a vivere la situazione dei loro genitori. Noi abbiamo veramente voluto distaccarci da questo background migratorio, e questo favorisce molto l’integrazione». Anche Davide Piccardo, direttore del giornale musulmano La Luce, offre un’interpretazione simile. «L’economia del sussidio in Francia ha creato enormi problemi. Sento molti in queste ore parlare del fatto che alle banlieue sono stati dati soldi a pioggia, ma questo secondo me ha peggiorato le cose», dice. «L’integrazione non si crea con il sussidio, ma con il lavoro. Non serve confinare le persone nelle periferie e poi spendere denaro per mantenerle in una condizione di marginalità: sono due facce della stessa medaglia. La storia della Francia ci racconta di milioni di persone che sono state fatte entrare per sostenere, nel corso degli anni, lo sforzo industriale. Molte si sono integrate, non tutte restano nelle periferie. Ma altre sono rimaste nelle banlieue, periferiche in tutti i sensi. C’è dunque un problema di disagio sociale, poi un problema economico, e certo gioca un ruolo anche la subcultura trap che ha portato in Europa l’immaginario del ghetto americano». Già: questo immaginario, da qualche tempo, prospera anche dalle nostre parti. Lo abbiamo visto qualche anno fa a Torino, e ancora nelle periferie milanesi, e poi nelle violenze di Capodanno a Milano o nelle scorribande andate in scena sul Garda. «Io credo che fatti di questo genere riguardino un tipo di violenza giovanile che si manifesta in varie situazioni, a prescindere dalla provenienza. O, meglio, è la stessa violenza che esplode in modo diverso a seconda dei contesti», dice Saif Abouabid. «Personalmente credo che giovani delle nuove generazioni sappiano che questa nazione permette loro di avere tante occasioni. Certo, qui ci sono difficoltà, ma vivere qui ha anche enormi pregi. E penso che moltissimi abbiano imparato ad amare l’Italia. La vera sfida, semmai, sta nel normare l’immigrazione di massa che viene gestita in maniera insensata, non ragionata. Questa immigrazione rischia di diventare pericolosa per l’Italia, proprio perché la persona appena arrivata qui, senza documenti, senza lavoro, senza possibilità, è destinata nella stragrande maggioranza dei casi a finire nelle mani della criminalità». Secondo Saif, chi arriva da fuori senza controllo può contribuire a peggiorare la situazione delle seconde e terze generazioni. «Talvolta le persone che arrivano e vivono ai margini della società diventano loro stesse fonte di guida per i minorenni, diventano quasi dei modelli. Vedono quelli che magari arrivano via mare e poi nel giro di poco tempo, tramite la criminalità, hanno il macchinone e i vestiti griffati. Anche per questo la stragrande maggioranza delle persone immigrate che vivono oggi in Italia è contraria a questa immigrazione di massa. Perché i primi danneggiati da questo tipo di immigrazione siamo noi, cioè quelli che regolarmente vivono su questo territorio, che lavorano, che contribuiscono alla vita sociale del nostro Paese, e che a un certo punto si vedono paragonati a persone che sono arrivate stamattina e che si dedicano alla criminalità». Dal dialogo con i rappresentanti del mondo musulmano emerge forte la necessità di una battaglia culturale. Non la religione ma l’immigrazione senza controllo è l’enorme problema da affrontare. Aprendo le porte senza che ci siano le condizioni per realizzare una integrazione decente significa semplicemente creare le condizioni per la detonazione di una bomba sociale.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.