
Secondo l'economista Marcello Messori della Luiss, lo Stato che ha più da perdere è l'Italia.Non piace nemmeno ai sedicenti competenti la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. La categoria che in passato più di ogni altra si è dimostrata fedele al mantra del «ce lo chiede l'Europa» stavolta va controcorrente e boccia senza appello l'ultimo capestro di Bruxelles. Non passa giorno, infatti, senza che autorevoli esperti e blasonati accademici non sfornino critiche serrate nei confronti della nuova versione del Fondo salvastati. Tra i pareri più accreditati non possiamo fare a meno di citare quello redatto dal professor Marcello Messori, docente di Economia al dipartimento di scienze politiche della Luiss e direttore della School of european political economy del prestigioso ateneo privato romano. Non esattamente la culla dell'euroscetticismo. Nella pubblicazione risalente appena a un mese fa (il paper è datato 25 ottobre 2019) e intitolata «The flexibility game is not worth the new Esm» (traducibile, pressappoco, con «Il gioco della flessibilità non vale la candela del nuovo Mes»), il professor Messori passa ai raggi X la proposta di modifica del Mes. Ovviamente il linguaggio utilizzato è molto tecnico, ma in più di un passaggio emergono con forza le possibili criticità per il nostro Paese. L'analisi dell'accademico va dritta al cuore della contestata riforma. Riguardo all'assistenza finanziaria precauzionale, vale a dire la linea di credito garantita ai Paesi membri in difficoltà, Messori sottolinea come la nuova bozza «non cancelli i vecchi strumenti utilizzati per raggiungere gli obiettivi del Mes», quanto piuttosto «aggiunga funzioni di controllo ex ante ed ex post e una gestione della responsabilità delle crisi ancora più pervasiva». Il punto, osserva il docente, non è tanto la ristrutturazione del debito in sé, dal momento che già la versione approvata nel 2012 conferiva al Mes e alla Commissione «ampie possibilità di intervento», qualora «uno Stato sotto programma di aiuti si fosse ritrovato nella condizione di non riuscire a ripagare il proprio debito». La vera questione riguarda semmai «lo spostamento della valutazione della sostenibilità del debito pubblico alla fase precedente l'attivazione del programma europeo di aiuti». Per svolgere questa analisi, tuttavia, il Mes dovrà «avere già condotto preventivamente una valutazione del debito riguardo ai Paesi più a rischio» e nel caso «avesse giudicato qualcuno di questi non sostenibile, imporre agli stessi una forma "adeguata e proporzionale" di "coinvolgimento del settore privato", vale a dire una ristrutturazione del debito pubblico». Non è tutto: se è vero che in questi casi l'ultima parola spetta pur sempre alla Bruxelles, la nuova bozza «assegna al Mes un potere di veto, dal momento che la Commissione non potrà costringere il potenziale finanziatore (per l'appunto il Mes, ndr) a garantire un aiuto finanziario che con tutta probabilità fallirà». Secondo il professor Messori, a lungo andare, la maggiore quantità di informazioni in possesso del Mes farà in modo che sia questo ente, e non la Commissione, a prendere la decisione finale. «Nel nuovo sistema», chiosa l'economista della Luiss, «lo Stato membro che ha più da perdere sarebbe proprio l'Italia». Secondo il professore, il combinato disposto tra debito pubblico elevato e bassa crescita rappresenta un mix potenzialmente fatale per il nostro Paese. E infatti quella proposta nel finale è la classica ricetta ordoliberista composta dal taglio della spesa pubblica da un lato, e dall'inseguimento di un elevato (almeno 2,5% all'anno) avanzo primario. Ciò che conta però è che quello di Marcello Messori è l'ennesima voce autorevole che si leva contro la riforma del Mes, dopo quelle del governatore di Banca d'Italia Ignazio Visco, del presidente dell'Abi Antonio Patuelli, ma anche dell'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti e di Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli (rispettivamente direttore e vice dell'Osservatorio conti pubblici della Cattolica). Chissà che qualcuno lassù al governo decida di ascoltare almeno loro e si metta una mano sulla coscienza.
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






