2021-08-04
Anche l’ideologia gender vuole una medaglia
Ai Giochi del Giappone è boom di atleti arcobaleno, e a fare da portabandiera sono la pesista Laurel Hubbard e la calciatrice Rebecca Catherine Quinn. Le loro vicende sbugiardano i dogmi trans, ma i fan del mito Lgbt cantano vittoria comunque: la realtà è stata squalificataFollia britannica: pure i molestatori vanno ricoverati tra le donne se si sentono taliLo speciale contiene due articoliL'ideologia gender è come il banco: vince sempre. Quali cioè che siano i dati di realtà, riesce comunque a confezionare una narrazione che la supporti e la rinsaldi. Non sfuggono a tale meccanismo le Olimpiadi di Tokyo 2020, dove esiti talora opposti sono abilmente impiegati dalla propaganda arcobaleno per legittimarsi; a provarlo, due storie per l'appunto assai diverse, l'una di un tonfo e l'altra di un probabile trionfo. Iniziamo con la prima, che è quella del fiasco di Laurel Hubbard. Sì, perché la prima pesista transgender - atleta neozelandese di 43 anni, la cui vicenda è ben raccontata ne Il regime del gender, il libro di Francesco Borgonovo e Maurizio Belpietro che trovate in edicola allegato alla Verità e a Panorama - ha fatto flop. È stata subito eliminata nel sollevamento pesi femminile +87 kg, la sua categoria. Una magra figura che però il banco Lgbt, che la spunta sempre, ha già rivenduto a suo favore. A leggere siti come gay.it, infatti, fallendo Hubbard ha zittito «i tanti che pensavano dovesse stracciare qualsiasi avversaria solo e soltanto perché nata nel corpo di un uomo». In altre parole, la figuraccia della pesista trans starebbe a dimostrare, in barba ai critici, che donne nate tali e donne nate maschi possono benissimo competere insieme. Ora, a parte che a dubitare della liceità dell'inclusione della Hubbard nella categoria femminile non sono i soliti oscurantisti conservatori ma anzitutto le sue rivali - di «brutto scherzo», per dire, ha parlato la pesista belga Anna Van Bellinghen -, il punto è un altro, ed è di principio. Nessuno cioè discute di quanto Laurel Hubbard sia brava o scarsa; il fatto è che, essendo nata maschio, gode di una base ormonale, ossea, insomma strutturale avvantaggiata, sotto il profilo agonistico, rispetto alla controparte femminile con cui - o contro cui, a seconda dei punti di vista - ha gareggiato.In altre parole, le prestazioni della Hubbard possono essere scadenti, ma il principio generale per cui gli uomini sono diversi - e, nello specifico, molto più forti delle donne - non sfugge neppure alle leggi della pesistica, che anzi lo confermano; prova ne sia che, se la pesista trans avesse gareggiato con gli uomini, le Olimpiadi di Tokyo 2020 se le sarebbe potute vedere solo in televisione. Invece in Giappone c'è andata. Ma andiamo avanti perché c'è un'altra storia utile a dimostrare come la narrazione Lgbt rivenda come entusiasmanti vicende che, in realtà, la contraddicono. Stiamo parlando di Quinn della nazionale di calcio canadese, che, avendo sconfitto la squadra statunitense, venerdì si giocherà l'oro contro la Svezia. Una medaglia è quindi sicura, motivo per cui negli ambienti arcobaleno già si brinda alla «prima storica medaglia transgender». In effetti, nel settembre 2020 Rebecca Catherine Quinn si è dichiarata trans, chiedendo che nei suoi confronti vengano utilizzati i pronomi they e them, di genere neutro. A inizio giugno ha pure pubblicato un'immagine social a petto nudo, con le cicatrici della mastoplastica riduttiva orgogliosamente visibili. Quindi si può dire che il suo iter di riassegnazione sessuale sia iniziato. Tuttavia Quinn, come si chiama ora, resta in forza alla nazionale femminile. Ma questa, senza offesa, è una bella incoerenza. Se infatti il mondo Lgbt è davvero convinto - come lo è stato per Laurel Hubbard - che il perno di tutto sia l'identità di genere, con quindi il diritto per gli atleti trans di gareggiare fra quelli del sesso opposto a quello loro di nascita, dovrebbero esigere che Quinn giochi a calcio coi maschietti. Ora, perché tale richiesta, a quanto si sa, non è stata avanzata? Una spiegazione possibile sembra esserci e riguarda il fatto che, se giocasse coi coetanei maschi, probabilmente Quinn non toccherebbe palla. Per carità, magari qualche bella giocata la realizzerebbe comunque, ma non emergerebbe certo a livelli mondiali. Ecco che allora, tornando a Tokyo 2020, la sensazione è che un appuntamento di sport sia stato strumentalizzato dal movimento arcobaleno, e senza motivo.Lo si è visto anzitutto con l'iniziale censimento degli atleti Lgbt, risultati più del doppio di quelli dell'edizione di Rio 2016 (ma gli sportivi non dovrebbero contare per le prestazioni, più che l'orientamento sessuale?), e poi, a seguire, con le vicende di Laurel Hubbard e Quinn. Due storie, lo si è visto, assai diverse ma che, pur nella loro distanza, raccontano la medesima, scomoda verità: quella della differenza tra i sessi. Una differenza che ormai da tempo viene ostinatamente negata quasi fosse un mero costrutto sociale, e che invece la realtà, questa ostinata, continua a riproporre in tutta la sua evidenza.Per quanto cioè il movimento Lgbt si sgoli e si sbracci strillando urbi et orbi che «i tempi cambiano» e che la «società va avanti», ci sono dati che restano immutati. Il fatto che maschi e femmine si nasca, e non si diventi, rientra tra questi.
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