2020-12-08
Anche la sinistra contro il salva Stati. «L’Unione persevera nei suoi errori»
Yves Mersch (Getty images)
Un appello di economisti progressisti, rilanciato da «Micromega», dimostra che la critica al Fondo non è solo una fissazione dei sovranisti. «Il Meccanismo serve a controllare, non ad aiutare», dicono.Si mobilitano pure gli economisti (e alcuni giuristi) di sinistra. Forse un po' fuori tempo massimo, con una capacità - diciamo pure - limitata e tardiva di incidere sulla discussione politica e in generale sul dibattito pubblico: eppure, rilanciati da Micromega, numerosi accademici progressisti (che sarà ben difficile presentare come «sovranisti») hanno preso carta e penna contro il Mes e la sua riforma, definita un meccanismo «che persevera negli errori». La tesi è che anche le modifiche in discussione del fondo salva Stati rispondano - scrivono i firmatari - «alla logica della “vecchia" Europa, quella che ha drammaticamente fallito nella gestione della crisi greca e che ha sbagliato anche nell'affrontare le conseguenze della crisi del 2008, relegando una delle aree economiche più ricche del mondo ad una sostanziale stagnazione decennale». Insomma, secondo gli estensori dell'appello, l'allentamento delle rigidità europee in questo 2020 rischierebbe di essere solo una parentesi in attesa del ritorno ai consueti standard, «per riprendere, una volta dichiarata finita l'emergenza, quegli stessi schemi che si sono dimostrati clamorosamente fallimentari».I firmatari citano anche le critiche recenti di alcuni eurolirici, da Enrico Letta a David Sassoli, e poi usano come elemento rivelatore di un'amara realtà le dichiarazioni del membro lussemburghese del board della Bce Yves Mersch, secondo cui il Mes non serve a «salvare gli Stati» ma a sottoporli a una sorta di «amministrazione controllata» attraverso le famigerate «condizionalità». «Mersch», scrivono i firmatari dell'appello, «è giunto a minacciare una battaglia per frenare l'azione della Bce, di fondamentale importanza specie in questa fase, se i paesi europei non ricorreranno al Mes. Non si poteva spiegare più chiaramente che il Mes non è uno strumento di aiuto, ma di controllo, un controllo affidato a funzionari senza nessuna legittimazione democratica». Segue la parte più politica dell'appello, e cioè un richiamo al M5s a non cedere all'argomento di dare semaforo verde alla riforma con il retropensiero che tanto poi non si farà ricorso al Mes. «Il problema più importante», secondo gli estensori del documento, «è proprio il via libera a una riforma che riconferma una linea europea fallimentare, che in prospettiva mette in pericolo la stessa sopravvivenza dell'Unione». E come mai? Perché, spiegano, «la storia d'Italia degli ultimi trent'anni è caratterizzata da snodi critici in cui riforme apparentemente tecniche e di scarsa portata hanno pesantemente condizionato gli sviluppi futuri e limitato fortemente la discrezionalità politica nazionale, consegnandola al “vincolo esterno". Tali riforme sono state fatte passare senza che l'elettorato fosse sufficientemente informato e cosciente della posta di gioco, spesso con argomenti speciosi quali la necessità di non perdere “credibilità" dinanzi ai partner europei. Siamo convinti», concludono, «che la riforma del Mes rappresenti uno di questi snodi cruciali e che sia necessario opporle il veto». Tra i firmatari, Sergio Cesaratto (Università di Siena), Massimo D'Antoni (Università di Siena), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Leonello Tronti (Università Roma Tre), e una sessantina di altri economisti e giuristi loro colleghi. Va ricordato che già nella scorsa primavera molti degli attuali firmatari sottoscrissero un documento di impianto analogo, in quel caso firmato complessivamente da 101 economisti, che si rivolgeva al governo italiano affinché rigettasse l'accordo sul Mes raggiunto all'Eurogruppo il 9 aprile, accusato di essere «insufficiente» e di prefigurare «strumenti inadatti», segnando «una continuità preoccupante con le scelte politiche che hanno fatto dell'eurozona l'area avanzata a più bassa crescita nel mondo». In quel caso, i firmatari spingevano per interventi «attivabili in tempi il più possibile brevi», e riducendo «al minimo possibile l'aumento dell'indebitamento degli Stati». «La sola opzione che risponda a questi due requisiti», rispondevano, «è il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Banca centrale europea. Si tratta di una opzione esplicitamente vietata dai Trattati europei. Ma anche i trattati, in caso di necessità, possono essere sospesi nel rispetto del diritto internazionale e questo è oltretutto già avvenuto». E aggiungevano: «La monetizzazione di spese giudicate inderogabili non è una procedura inusitata. È stata appena formalizzata nel Regno Unito, mentre le più importanti banche centrali del mondo - Federal Reserve e Bank of Japan - la praticano di fatto».Allora, tra i firmatari, figuravano anche rilevanti voci internazionali, a loro volta ben difficilmente classificabili come sovranisti o eurocritici di destra: Jean-Paul Fitoussi (Sciences Po, Parigi), Dimitri B. Papadimitriou (Levy Economics Institute), James K. Galbraith (univ. of Texas at Austin), Thomas Ferguson (univ. of Massachusetts, Boston), Thomas Palley (Independent economist, Washington D.C.).
Jose Mourinho (Getty Images)