
L'europeista Giampaolo Galli (Pd) in audizione alla Camera spiega che la riforma del Fondo salva Stati rischia di distruggere l'Italia.La riforma del Meccanismo europeo di stabilità cui il nostro governo sta partecipando presenta «criticità» per il nostro Paese, e rischia di diventare una «calamità immensa» che causa una devastante ristrutturazione del nostro debito pubblico, rendendo più facile l'ipotesi del default. A dirlo non è un euroscettico, né un membro dell'opposizione, ma Giampaolo Galli, abituato a incrociare le lame con i cosiddetti sovranisti in tv e in Parlamento.Economista con cv di peso, Galli è un ex Fondo monetario, già consulente della Commissione Ue guidata da Romano Prodi, con un passaggio da capo economista in Confindustria. Nella scorsa legislatura è stato deputato del Partito democratico. Da poco più di un anno è vicedirettore dell'Osservatorio dei conti pubblici dell'Università Cattolica di Milano, feudo del mancato premier Carlo Cottarelli. Mercoledì Galli è stato audito dalle Commissioni congiunte di Bilancio e Politiche dell'Ue alla Camera su una questione che i lettori della Verità conoscono: la riforma del Meccanismo europeo di stabilità, l'evoluzione del Fondo salva Stati che, nelle intenzioni, deve tenere i Paesi e i loro debiti sovrani al riparo da turbolenze finanziarie.Come spiegato su queste colonne nel bollente agosto scorso, lo scontro politico sulla posizione di Palazzo Chigi e del Tesoro (cui la Lega contestava scarsa chiarezza sulle scelte italiane in merito) è stata una delle ragioni della frattura tra Carroccio e M5s che ha portato allo strappo di Salvini. Prima di dare conto delle parole piuttosto allarmanti di Galli , vale la pena riassumere il cammino del Mes: dopo Lehman, le istituzioni comunitarie promuovono il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf), che emette obbligazioni destinate a finanziare il deficit di Stati in difficoltà. Un anno dopo, siamo nel 2012, il Fondo confluisce nel Mes che, a differenza del primo, non emette titoli ma riceve capitale versato dai singoli Stati. Per accedervi, un Paese accetta forti condizionalità sui suoi conti.Ma chi paga il Mes? Ogni Stato membro contribuisce: nel caso dell'Italia, sono stati versati circa 60 miliardi di euro. Nell'indifferenza generale, Senato e Camera hanno approvato Fiscal compact e Mes nel luglio 2012, sotto il governo di Mario Monti e a ridosso del «whatever it takes» di Mario Draghi. All'Italia il Mes è costato parecchio, e ha sistemato - più che le finanze pubbliche - i creditori privati, soprattutto tedeschi e francesi, espostisi su Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda.Da ormai un anno il Mes stesso - e qui è il motivo dell'audizione di Galli - è sottoposto a un percorso di riforma, con l'obiettivo di dargli la cornice istituzionale di un nuovo Trattato. L'Eurogruppo del 14 giugno ha approvato una bozza: ora l'obiettivo è di chiudere entro fine anno. In Italia non se ne è quasi mai discusso, malgrado si tratti di scelte impattanti e destinate a produrre conseguenze enormi per qualunque governo futuro.In sostanza, il trattato incorpora le clausole di Maastricht vincolando a esse la possibilità di accedere al Mes, inserendo il tutto all'interno del bilancio comunitario. Ergo: l'Italia dovrebbe pagare avendo la certezza di non poter mai accedere agli aiuti, visti i suoi numeri di finanza pubblica. Nel pacchetto complessivo finirebbe anche una nuova regolamentazione per lo smaltimento dei crediti deteriorati delle banche (gli Npl). Rischi del genere aggravano l'opacità della posizione italiana ai tavoli, e in questo senso ben venga un'audizione - introdotta martedì dal presidente della Commissione bilancio di Montecitorio, Claudio Borghi (Lega) - dedicata al tema. Anche perché una delle accuse rivolte dal Carroccio a Conte e Tria è di aver disatteso le indicazioni politiche della maggioranza gialloblù di allora. Paradossalmente Galli - ora privo di ruoli politici istituzionali - conferma le forti perplessità dei critici: «La riforma sposta decisamente l'asse del potere economico nell'Eurozona dalla Commissione europea al Mes», esplicitando un principio di automatismo tecnocratico che lega l'accesso ai fondi a precise condizionalità. Qui l'ex dem è molto negativo: «L'aiuto del Mes può essere erogato solo a condizione che vi sia una ristrutturazione del debito [...] è un segnale negativo sull'Italia che viene dato oggi ai mercati».Galli spiega infatti come puntare verso una ristrutturazione «non abbia senso nell'Italia di oggi: il 70% del debito è detenuto da operatori residenti. Una ristrutturazione sarebbe una calamità immensa, genererebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti nel dopoguerra [...] Una ristrutturazione preventiva sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando debito pubblico». Se queste sono le considerazioni di un europeista di ferro (il quale finora le aveva custodite con cura per sé), c'è da chiedersi quale legittimità politica abbiano avuto Conte e Tria sul tema, e quali siano i margini negoziali di intervento per l'Italia. La posizione di Galli è isolata, o segna una resipiscenza sul tema? Ieri il Financial Times dava conto dell'opposizione italiana al progetto tedesco di unione bancaria: progetto che punirebbe ancor di più gli istituti italiani per la presenza di titoli di Stato in pancia. Quegli stessi titoli che, guardando il fallibile indicatore dello spread, da ieri sottoperformano rispetto a quelli della Grecia. Notizia che tre mesi fa avrebbe scatenato il caos. Oggi, conferma che le crepe nell'eurozona non sono conseguenza dei «populisti» al governo.
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