2021-03-06
Anche Fi scende in campo su Iveco. Governo pronto a stoppare i cinesi
Antonio Tajani si unisce al no di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. Critico il ministro Giancarlo Giorgetti: «La questione è oggettivamente materia di golden power». Il trasporto su gomma è strategico per il Paese e il Copasir ha già lanciato l'allarmeNonostante le divisioni tra governo e opposizione, il centrodestra si ricompatta per evitare la cessione della divisione autobus e camion di Iveco ai cinesi di Faw (First automobile works), prima casa automobilistica in Cina con i marchi Hongqi, Jiefang e Besturn. È questa la novità delle ultime 24 ore sull'operazione che da due mesi sta portando avanti Exor, finanziaria della famiglia Agnelli. Si tratta di un affare da 3,5 miliardi di euro, che tramite Cnh industrial (di cui Exor ha in mano il 27%) potrebbe consegnare una delle nostre principali aziende produttrici di autobus e camion in mani cinesi. Ma che soprattutto potrebbe portare nelle casse degli azionisti un maxi dividendo da 1,5 miliardi di euro. Il problema è che, a fronte di un arricchimento delle casse di Exor, la vendita potrebbe però rappresentare un rischio per il nostro Paese, sia dal punto di vista occupazionale (18.000 lavoratori solo in Italia) sia economico strategico, anche per l'importanza che il trasporto su gomma continua ad avere in Europa e sul nostro territorio: secondo una ricerca dell'università di Padova del 2019 la strada rappresenta ancora quasi i tre quarti del totale trasportato su terra.Da Lega, Fratelli d'Italia e anche a sorpresa per la prima volta Forza Italia, si inizia a parlare di esercitare il golden power a difesa degli interessi strategici italiani. È un cambio di passo significativo sulle politiche industriali rispetto a pochi mesi fa. L'ex ministro Stefano Patuanelli non aveva mai fatto cenno all'esercizio del golden power, invece invocato da Giancarlo Giorgetti. Segno che i rapporti con la Cina, nati durante il governo Conte dopo la firma sulla One belt, One road, sono cambiati. Il leader della Lega Matteo Salvini è stato molto chiaro in merito. «Impensabile vendere Iveco alla Cina, la Lega chiederà con forza che il governo intervenga per tutelare un'azienda così importante». Così come Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia: «Iveco produce camion e autobus che rappresentano un'eccellenza italiana nel mondo, dà lavoro a migliaia di famiglie in 16 diversi stabilimenti produttivi. Non può e non deve finire in mani cinesi, qualunque sia l'offerta di Faw, la società cinese partecipata dal governo. Sosterremo ogni iniziativa del governo per difendere Iveco, i suoi dipendenti e le regole del libero mercato anche con l'utilizzo del golden power, se necessario»Già a gennaio il vicepresidente del Copasir Adolfo Urso aveva lanciato un allarme con un'interrogazione parlamentare al governo giallorosso di Giuseppe Conte. Di risposte non ne erano arrivate. Ora invece l'esecutivo sembra andare nella direzione delle richieste di Fratelli D'Italia. «Iveco rappresenta un'importate realtà del sistema industriale italiano, e, in particolare, la Iveco defence per il settore strategico della difesa nazionale, e, pertanto, appare necessario un immediato intervento al fine di evitare la cessione di tali società a gruppi integralmente stranieri». In realtà la parte militare dell'azienda è fuori dal perimetro delle negoziazioni. Caso vuole che lo scorso 16 febbraio a fare visita agli stabilimenti di Bolzano sia stato l'allora capo di stato maggiore dell'esercito Salvatore Farina. Ha incontrato l'amministratore delegato Claudio Catalano per parlare della produzione dei nuovi Centauro 2, veicoli che fanno parte delle unità di cavalleria dell'esercito italiano. Come detto i cinesi sono interessati solo alla parte civile, ma secondo più parti nel centrodestra l'azienda è comunque troppo sensibile. Per questo andrebbe esercitato il golden power, legge che salvaguarda gli assetti delle imprese in ambiti ritenuti strategici e di interesse nazionale come quello dei trasporti. Ma non c'è solo il centrodestra. Anche Partito democratico, Leu e M5s hanno già da tempo preso posizione chiedendo particolare attenzione sulla cessione e di valutare l'esercizio del golden power. Lo aveva spiegato l'ex numero uno della Cgil Guglielmo Epifani già un mese fa, lo aveva ribadito anche la pentastellata Jessica Costanzo. Nei giorni scorsi il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti ha spiegato come «in questa fase posso dire che la questione è oggettivamente materia di golden power, ma questo non significa che lo adotteremo». Giorgetti ha «ben presente i rischi di delocalizzazione della filiera dell'automotive, indotto dalle nuove tecnologie». Per questo «stiamo lavorando per individuare le misure per contrastare tale fenomeno e per attrarre investimenti in Italia ma soprattutto mantenere la produzione sul territorio nazionale, una fetta importante dell'industria metalmeccanica italiana, sia in termini di valore aggiunto, sia di lavoratori».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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