A Pescara, tra i locali affollati e i vicoli nascosti, emergono nuove forze che scuotono l’ordine sociale: le baby gang. Cercano di conquistare la città, di dettare legge nei quartieri. E scrivono drammatiche pagine di cronaca. Quello che è accaduto a Thomas Christopher Luciani, 16 anni, di Rosciano, è l’emblema di questo fenomeno. La sua è una storia di disagio e sparizioni. Un anno fa era scomparso per tre giorni, mettendo in allarme la famiglia. Poi era stato trovato, sano e salvo. Questa volta, invece, è finita nel peggiore dei modi. Thomas si era allontanato venerdì sera dalla comunità di Isernia che l’aveva accolto dopo gli ultimi guai in cui si era ficcato (pare sempre per questioni di droga). Il cellulare era spento e nessuno dei ragazzi con i quali era in contatto ha ricevuto sue notizie. Proprio come la famiglia, la nonna in particolare, alla quale era stato affidato anni fa (i genitori sono di origini albanesi e non vivono in Italia). Tutti sono rimasti in ansia. Fino a domenica, quando quell’emozione si è trasformata in profondo dolore. Quel ragazzino minuto e con i capelli sempre scompigliati non c’era più, assassinato con oltre 20 fendenti sferrati con un coltello da sub (i suoi aggressori hanno infierito su di lui anche quando era ormai esanime) nel parco intitolato a Baden Powell, il fondatore del movimento scout, in via Raffaello, zona residenziale della città. Il suo corpo era stato nascosto tra i cespugli, dietro un campetto da calcio.
Gli investigatori l’hanno trovato con la faccia a terra, tra l’erba alta, in una pozza di sangue. Un delitto brutale, consumato in una zona nascosta dell’area verde da due coetanei. Poche ore dopo il ritrovamento già si sussurrava: piccoli debiti di droga, 250 euro di stupefacenti non pagati. Due ragazzi, liceali, indicati come figli di buona famiglia (un maresciallo dei carabinieri e un avvocato che fa l’insegnante), sono stati fermati ieri, dopo 24 ore di indagini frenetiche.
Dietro la facciata di normalità, si nascondeva un lato oscuro. Gli investigatori della Squadra mobile, guidata da Mauro Sablone, sono arrivati sul posto poco dopo la chiamata al 118 con la quale è stata segnalata la presenza del corpo. Come da protocollo i soccorritori hanno tentato la rianimazione, ma è stato tutto inutile. La registrazione della telefonata alla sala operativa, invece, è servita agli investigatori per sbrogliare il giallo in poche ore. Si è scoperto che a chiamare i soccorsi è stato uno dei giovani che aveva passato parte del pomeriggio e della serata con i due arrestati. Grazie alle sue indicazioni gli inquirenti si sono messi subito a caccia dei due sospettati. Ed ecco, così come ricostruito da chi indaga, il contesto in cui sarebbe maturato l’omicidio: una baby gang che cercava di impossessarsi del mercato della droga ha raggiunto il parco con un piano preciso. Due di loro hanno attirato Thomas nella zona più buia e lo hanno colpito ripetutamente. Dopo averlo lasciato tra le sterpaglie, si sono allontanati, andando al mare in uno stabilimento balneare a due passi dal centro, dove hanno fatto il bagno. L’arma del delitto (stando a quanto riferito agli inquirenti dopo la prima ispezione cadaverica, le ferite potrebbero essere compatibili con un coltello a lama ampia e con due diverse linee atte a offendere, una tagliente e l’altra a sega) sarebbe stata abbandonata lì e ora è oggetto di ricerca da parte dei sommozzatori dei Vigili del fuoco. L’atteggiamento mantenuto dai due indagati anche dopo il grave fatto di sangue ha particolarmente colpito gli inquirenti: durante il loro interrogatorio non avrebbero tradito emozioni, tanto che chi era presente parla di «assenza di empatia emotiva o pentimento». Ma anche di «una palese incapacità di comprendere l’estremo disvalore delle azioni commesse». Le indagini sono coordinate dal capo della Procura per i minorenni dell’Aquila, David Mancini, e dal sostituto Angela D’Egidio, che ieri si sono recati sulla scena del crimine per un sopralluogo. Da tempo i magistrati della Procura minorile sono alle prese con una escalation di reati. Tanto che lo scorso gennaio il presidente della Corte d’appello dell’Aquila, Fabrizia Francabandera, aveva concentrato la sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario proprio sul fenomeno delle baby gang: in un solo anno le toghe erano state costrette a occuparsi di 153 episodi di violenze tra minori. E aveva spiegato: «Alcuni di questi reati sono particolarmente gravi e tali da richiamare grande attenzione mediatica». Basta fare una piccola ricerca sul web per scoprire che le cronache dei giornali locali raccontano spesso di risse tra bande di minorenni. Anche di origine straniera. E Pescara è uno degli epicentri di questo fenomeno. Il presidente della Regione, Marco Marsilio, si è detto molto preoccupato: «Il grave evento di cronaca che ha colpito la città di Pescara ci ha lasciato attoniti. Fatti di violenza che coinvolgono dei giovani ragazzi non dovrebbero accadere». «Quella che si è consumata ieri è una tragedia», ha commentato il sindaco di Pescara, Carlo Masci, che ha aggiunto: «L’omicidio di un giovanissimo, che sarebbe avvenuto per mano di altri ragazzi, lascia sgomenti e senza parole, qualunque sia il movente e lo scenario in cui è maturato il fatto di sangue. Non si può morire quando si ha una vita intera davanti, così come è assurdo che ci si macchi di un delitto così grave». Dalla Questura fanno sapere di voler attendere i prossimi giorni per capire «se a determinare» l’assenza di emozioni nei due presunti assassini «è stato lo choc o se ci saranno cambiamenti emotivi».





