2024-05-22
L’accordo Italia-Libia lancia la sfida a Parigi
Adolfo Urso e Ahmed Ali Abouhisa durante la firma del trattato Italia-Libia
Ieri visita di Urso nel Paese nordafricano: sottoscritta dichiarazione congiunta che cita il Trattato di amicizia voluto dal Cav. Cooperazione su materie prime, energia e cavi sottomarini. Il progetto Bluemed di Sparkle prioritario su quello francese.Era l’agosto del 2008, quando Muammar Gheddafi e Silvio Berlusconi firmarono a Bengasi il Trattato di amicizia e cooperazione. Quel pezzo di carta fu poi presentato al Parlamento a dicembre dello stesso anno e ratificato a luglio del 2009. L’accordo di Bengasi, che prevedeva a fronte della riparazione dei «danni» di guerra scambi commerciali, nuove infrastrutture e partnership dirette sui temi dell’energia e della Difesa, è di fatto una legge dello Stato italiano. Peccato che, dopo un anno di rodaggio, il grande accordo abortì. O meglio fu ucciso dalle bombe della coalizione Nato, guidata dalla Francia. In nove mesi sono state distrutte tutte le infrastrutture, ucciso Gheddafi, messo in ginocchio un Paese e devastato l’intero Maghreb. Il demerito porta a due nomi, quello di Nicolas Sarkozy e Barack Obama. L’Italia fu tra i carnefici seppur quello scempio fosse mirato principalmente a evitare che il trattato di amicizia con la Giamahiria socialista rendesse Roma leader del Mediterraneo. Nel 2008 gli scambi commerciali tra Italia e Libia valevano circa 35 miliardi. Con le partnership a regime il flusso sarebbe potuto crescere anche di un 50%. Adesso, a quasi 16 anni dall’accordo e a 13 dalla guerra, lo scambio commerciale non arriva a 11 miliardi. Giusto l’import di gas e petrolio e poco altro. Ora però esiste l’idea e il progetto del Piano Mattei. Il premier Giorgia Meloni è stata recentemente sia a Tripoli sia a Bengasi e l’obiettivo sembra proprio quello di ripartire da quel documento datato 2008. Tant’è che ieri nella dichiarazione congiunta firmata dal ministro al Mimit, Adolfo Urso (che è volato in giornata a Tripoli) e il collega Ahmed Ali Abouhisa rispunta nero su bianco il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia. Una buona notizia, per il fatto che l’accordo (da mettere a terra) punta su tre tematiche delicate per la nostra sicurezza nazionale. La prima riguarda le materie prime, le materie critiche e le terre rare. La Libia non ha al momento disponibile una mappatura del territorio. Il governo è pronto a inserire nell’imminente decreto sulle materie prime clausole di salvaguardia per aziende tricolore che vadano all’estero a estrarre e semilavorare il prodotto per poi importarlo. «Abbiamo sottoscritto un accordo per quanto riguarda le materie prime critiche, cioè su quelle materie, su quei minerali e su quelle terre rare che sono fondamentali per realizzare la tecnologia digitale e la tecnologia green, l’economia digitale e l’economia sostenibile su cui la nostra Italia è particolarmente impegnata al fine di fornire all’Europa stessa quella tecnologia necessaria alla duplice transizione ambientale e digitale», ha spiegato Urso. «E qui in Libia, accanto allo sviluppo del petrolio e del gas e delle fonti energetiche fossili che sono in questa fase storica assolutamente necessarie per l’Italia e per l’Europa, si può da subito sviluppare quella che è l’energia vera del futuro, cioè l’estrazione mineraria, la lavorazione di minerali che sono fondamentali per le tecnologie green e digitali», ha concluso. Nel commento del ministro c’è anche un riferimento indiretto alle rinnovabili e alla possibilità o almeno all’idea di poter coinvolgere l’impianto di Catania, Gigafactory 3sun, che con motore Enel sarà dalla fine dell’anno la più grande fabbrica di pannelli solari. Qui la tratta sarebbe inversa rispetto a quella delle materie prime. Produrre in Italia ed esportare a Sud, in Libia. L’accordo siglato ieri tocca infine un argomento molto sensibile: i cavi sottomarini. Nella bilaterale oltre al ministro Abouhisa erano presenti quello dell’Economia, Mohamed al Hwaij e il titolare delle telecomunicazioni Walid Ellafi. Con lui, a quanto risulta alla Verità, Urso ha toccato il tema partnership sottomarina. Mettendo inevitabilmente il dito in una piaga che la Francia vorrebbe aprire a tutti i costi, ostacolando la nostra Sparkle. L’azienda, al momento controllata da Tim, sta implementando la costruzione del cavo Bluemed, di sua proprietà esclusiva, che collegherà l’Italia con la Francia, la Grecia e la Giordania, oltre a prevedere altre diramazioni nel Mediterraneo. Bluemed è parte del progetto Blue & Raman submarine cable system, sviluppato insieme con Google e altri operatori e che si estenderà fino a Mumbai in India. Il progetto, come ha spiegato più volte l’azienda, si predispone a connettere tutto il Nord Africa, in perfetta linea con l’impostazione del Piano Mattei e con l’idea di proporre l’Italia come un hub anche per le telecomunicazioni. Con un’estensione di più di 3.000 chilometri e una capacità di sistema che raggiunge i 400 terabit al secondo, Bluemed dà vita a una nuova autostrada digitale tra il Medio Oriente, l’Africa, l’Asia e gli hub continentali europei. Insomma, tocca lo Stretto di Messina anziché seguire la rotta tradizionale attraverso il Canale di Sicilia; inoltre, mentre i cavi provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia tradizionalmente approdano a Marsiglia, Bluemed ha il principale punto di approdo europeo a Genova, destinata a diventare un polo strategico. Così i cugini d’Oltralpe dallo scorso anno hanno pensato bene di di cercare per il loro progetto Medusa submarine cable system un approdo diretto a Tripoli per stringere ulteriori relazioni e creare diramazioni fino al Marocco. La capacità in termini di terabit sarebbe decisamente inferiore, ma si sa che dal punto di vista politico Parigi è sempre un serpente a sonagli. Fondamentale non lasciare spazi e creare attorno a Sparkle il maggiore supporto possibile. L’accordo bilaterale di ieri cade dunque a fagiolo. Certo, va implementato e soprattutto riempito con presenze fisiche. A fine anno ci sarà il primo business forum Italia-Libia. Confindustria dovrà esserci, dovranno esserci le aziende tecnologiche e pure quelle siderurgiche. I vincoli che l’Europa impone vanno bypassati a Sud. Piaccia o no serve una nuova forma di delocalizzazione.
Nella prima mattinata del 28 ottobre 2025 la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato hanno eseguito numerose perquisizioni domiciliari in tutta Italia ed effettuato il sequestro preventivo d’urgenza del portale www.voltaiko.com, con contestuale blocco di 95 conti correnti riconducibili all’omonimo gruppo societario.
Si tratta del risultato di una complessa indagine condotta dal Nucleo Operativo Metropolitano della Guardia di Finanza di Bologna e dal Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica per l’Emilia-Romagna, sotto la direzione del Pubblico Ministero Marco Imperato della Procura della Repubblica di Bologna.
Un’azione coordinata che ha visto impegnate in prima linea anche le Sezioni Operative Sicurezza Cibernetica delle varie Regioni e gli altri reparti territoriali della Fiamme Gialle nelle province di Bologna, Rimini, Modena, Milano, Varese, Arezzo, Frosinone, Teramo, Pescara, Ragusa.
L’operazione ha permesso di ricostruire il modus operandi di un gruppo criminale transnazionale con struttura piramidale tipica del «network marketing multi level» dedito ad un numero indeterminato di truffe, perpetrate a danno anche di persone fragili, secondo il cosiddetto schema Ponzi (modello di truffa che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi investitori, a loro volta vittime del meccanismo di vendita).
La proposta green di investimenti nel settore delle energie rinnovabili non prevedeva l’installazione di impianti fisici presso le proprie abitazioni, bensì il noleggio di pannelli fotovoltaici collocati in Paesi ad alta produttività energetica, in realtà inesistenti, con allettanti rendimenti mensili o trimestrali in energy point. Le somme investite erano tuttavia vincolate per tre anni, consentendo così di allargare enormemente la leva finanziaria.
Si stima che siano circa 6.000 le persone offese sul territorio nazionale che venivano persuase dai numerosi procacciatori ad investire sul portale, generando un volume di investimenti stimato in circa 80 milioni di euro.
La Procura della Repubblica di Bologna ha disposto in via d’urgenza il sequestro preventivo del portale www.voltaiko.com e di tutti i rapporti finanziari riconducibili alle società coinvolte e agli indagati, da ritenersi innocenti fino a sentenza definitiva.
Nel corso delle perquisizioni è stato possibile rinvenire e sottoporre a sequestro criptovalute, dispositivi elettronici, beni di lusso, lingotti d’oro e documentazione di rilevante interesse investigativo.
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