I fattori Esg penalizzano i nostri istituti nel confronto con quelli Usa, che non hanno vincoli perché la Fed non si occupa di clima. Le norme (inutili) sono state scritte da un organo tecnico lontano dal controllo democratico.
I fattori Esg penalizzano i nostri istituti nel confronto con quelli Usa, che non hanno vincoli perché la Fed non si occupa di clima. Le norme (inutili) sono state scritte da un organo tecnico lontano dal controllo democratico.In Europa si comincia a piangere sul latte versato a proposito dell’eccesso regolatorio collegato ai fattori Esg. La notizia di oggi è che a lamentarsi sia addirittura la Federazione bancaria europea (Ebf) - che riunisce 33 associazioni bancarie nazionali e rappresenta 3.500 banche - segno che la misura è ormai colma.Ancor più clamoroso è il fatto che il destinatario delle proteste sia la Bce, ritenuta colpevole di esondare dall’ambito del suo mandato. Perché imporre alle banche - tramite l’erogazione del credito - di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di contenimento del riscaldamento climatico entro 1,5 gradi, significa semplicemente minacciarne la competitività. Anche e soprattutto perché a Wall Street non c’è alcuna traccia di tutto ciò, sotto la pressione dell’opposizione repubblicana che non vuole sentire nemmeno parlare di Esg. Soprattutto dopo la pietra tombale posta dal presidente della Fed Jerome Powell con «la Fed non si occupa di politiche climatiche».Hanno quindi ragione in Ebf a sostenere che «è uno strumento esclusivamente europeo». Infatti nell’Eurozona la Bce è da tempo in pressing asfissiante sulle banche affinché esse incorporino nella propria politica di accantonamenti la valutazione dei rischi climatici e, più in generale, i rischi connessi al credito concesso a favore di settori ad elevato livello di emissione di CO2.E questo si traduce in minori utili e maggiori requisiti di capitale. Non deve quindi stupire che un banale confronto tra l’indice settoriale di Borsa di Wall Street ed europeo mostri un abissale divario tra le due sponde dell’Oceano. Rispetto ad aprile 2014, oggi negli Usa l’indice è cresciuto del 25%, mentre in Europa siamo ancora a -7%, nonostante la significativa risalita dell’ultimo anno.Le principali banche Usa quotano su valori di mercato nettamente superiori a quelli contabili, mentre in Europa giganti come Bnp Paribas e Deutsche Bank quotano a -30% e -50% rispetto ai valori di bilancio. E questo, sostengono gli analisti di Bloomberg, è, almeno in parte, fondato sul cosiddetto «rischio regolatorio».Da Ebf fanno notare come le regole per la determinazione del rischio climatico siano il regno della discrezionalità. Inoltre, e cosa ben diversa, il rischio collegato ai crediti concessi a settori ad elevata impronta di carbonio o, più in generale, la vulnerabilità ai fattori Esg, è un dato ancora più evanescente.Insomma è un fenomeno difficilmente misurabile, ma ciononostante la Bce insiste e rilancia. Soprattutto dall’anno scorso, quando in Bce hanno appreso che circa il 90% delle banche europee non stanno facendo abbastanza per contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico. Da Francoforte hanno minacciato multe serie per le banche che non prendono sul serio i rischi connessi ai fattori Esg.Ma il problema non è solo quello di una Ue avviatasi in solitaria sulla strada della distruzione di valore delle proprie imprese, c’è anche un vulnus al processo democratico. Infatti, qualsiasi operatore economico conosce il diritto civile, il diritto penale e uno sterminato elenco di norme che regolano la propria attività. Tutte informate ai principi costituzionali. Per esempio, sa che non può inquinare, deve trattare i rifiuti in modo responsabile, deve rispettare i diritti dei lavoratori, deve garantire regole di governo societario trasparenti ed eque. E tanto dovrebbe bastare.Da quando la Commissione si è imbarcata nella crociata dei fattori Esg, invece, c’è bisogno di altro. L’imprenditore deve dare conto ai propri investitori e, più in generale ai portatori di interessi, circa il rapporto con i fattori Esg. E deve farlo seguendo degli standard di rendicontazione della sostenibilità (Esrs, ben 12 codici di comportamento) che hanno recentemente integrato la direttiva sul report di sostenibilità (Csrd). Il processo di definizione di questi standard è avvenuto a livello esclusivamente tecnico, perché non se n’è occupata nemmeno la Commissione. È opera di un organo consultivo (Efrag, di cui paradossalmente è membro anche la Efb che oggi si lamenta) che la Commissione finanzia copiosamente e che si è sempre occupato dalla definizione dei principi contabili per la redazione dei bilanci e, a fine 2022, ha consegnato alla Commissione la bozza che poi è stata adottata a luglio 2023.È stato così surrettiziamente (sfidiamo qualsiasi europarlamentare a sapere cosa c’è scritto nei 12 principi che integrano la direttiva) introdotto un corpo di regole, con tanto di sanzioni, che però incidono su fattispecie già ampiamente disciplinate dal diritto positivo.La chiusura di questo cerchio infernale avverrà quando, tra poco, le banche – proprio per sottostare alle richieste della Bce – condizioneranno il rating di solvibilità delle imprese alla valutazione dei fattori Esg. Altrimenti come faranno a dimostrare alla Bce di valutare e pesare correttamente tali fattori nei prestiti erogati? Ridurre l’esposizione del portafoglio crediti ai rischi Esg significherà migliorare la solidità e la stabilità della banca agli occhi della Bce.Il tutto fondato su parametri di difficile misurazione, ampiamente discrezionali e di almeno dubbio (se non nullo) impatto sul cambiamento climatico, che negli Usa hanno già smaltito nell’indifferenziato.
L’europarlamentare del Pd Irene Tinagli (Imagoeconomica)
Vanno su entrambi i titoli dopo la fine dell’Opas. L’europarlamentare Irene Tinagli però parla di «statalismo».
John Elkann (Getty Images)
Le vicende della famiglia Agnelli e di Piazzetta Cuccia sono legate da un sottile filo rosso: nella nuova era i tradizionali rapporti di potere saltano e i presunti intoccabili scoprono di non esserlo. A volte per rompere i vecchi meccanismi basta un granello...
Stefano Benni (Ansa)
L’autore di «Bar Sport», poliedrico e ironico come i suoi personaggi, è morto a 78 anni.