2024-03-06
Ambientalisti sconfitti in tribunale. Verso il flop anche la causa contro Eni
La Corte civile di Roma boccia la causa allo Stato di vari gruppi verdi. Un precedente per il ricorso contro il Cane a sei zampe.Dopo aver sostenuto la fallimentare inchiesta della Procura di Milano contro Eni sul giacimento nigeriano Opl 245, vicenda finita con l’assoluzione di tutti gli imputati perché il fatto non sussiste, Recommon riporta il Cane a sei zampe in tribunale per inquinamento ambientale. E questo nonostante il 26 febbraio scorso un giudice civile di Roma abbia ritenuto inammissibile un’azione legale contro lo Stato italiano con le stesse motivazioni. Dieci anni tra inchieste e processi finiti in un nulla di fatto non sono stati di insegnamento. Per di più il caso Opl 245 potrebbe presto ribaltarsi, dal momento che la Nigeria sarebbe sul punto di richiedere a Eni e Shell di far partire il giacimento di petrolio. Eppure, l’associazione ambientalista (insieme con Greenpeace e altri privati cittadini) nel 2023 ha deciso di fare causa a Eni, al Mef e a Cassa depositi e prestiti, accusandoli di essere tra i responsabili della crisi climatica. Secondo l’accusa, l’azienda di San Donato e i suoi azionisti sarebbero da tempo consapevoli dei danni che provocano all’ambiente e ne devono rispondere. Le associazioni chiedono al giudice civile di Roma di decidere se Eni abbia violato l’Accordo di Parigi (stipulato tra Stati) e, in caso affermativo, di dire alla stessa Eni di cambiare strategia produttiva e di risarcire persino il danno arrecato. Il procedimento è uno dei risultati dell’ondata emotiva del climate change. È la cosiddetta climate litigation, «azioni legali avviate con lo scopo di imporre a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e di limitazione del riscaldamento globale». In tutto il mondo stanno spuntando cause di questo tipo, grazie alle quali le associazioni si fanno pubblicità portando avanti battaglie che dal punto di vista giuridico non hanno fondamento. In Italia c’è chi ci aveva già pensato prima di Recommon e Greenpeace, con una causa civile finita in un nulla di fatto. Cosa che fa pensare che anche l’azione legale di Recommon sia destinata a fare la stessa fine. Nel 2021 una lista lunghissima delle più disparate associazioni - tra cui Medici per l’ambiente, Peppino Impastato onlus, Associazione la locomotiva, Società meteorologica italiana online - aveva deciso di fare causa al governo. Il caso era stato ribattezzato «Giudizio Universale», presentato sempre di fronte al Tribunale civile di Roma. In questo caso la richiesta al giudice era quella di obbligare lo Stato italiano «ad adottare ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2». Ma il 26 febbraio scorso il giudice Assunta Canonaco ha giudicato la richiesta di risarcimento inammissibile, anche perché le azioni compiute dallo Stato contro il cambiamento climatico sono semmai «atti amministrativi», come ha anche stabilito la Corte di cassazione. «Rientrano nella giurisdizione amministrativa le controversie, anche di natura risarcitoria, relative a comportamenti materiali riconducibili - ancorché solo mediatamente - al concreto esercizio di un potere autoritativo». Per di più, il giudice ha ribadito che «la questione attiene alla legittimità dell’atto amministrativo e, comunque, a comportamenti e omissioni riconducibili all’esercizio di poteri pubblici in materia di contrasto al cambiamento climatico antropogenico e quindi è afferente alla giurisdizione amministrativa generale di legittimità». Secondo il tribunale di Roma c’erano anche evidenti errori di ammissione della domanda stessa, oltre al difetto di giurisdizione. Come è anche palese «il difetto di legittimazione ad agire dei singoli cittadini e delle associazioni» in un caso come questo dove «c’è la totale insussistenza di una responsabilità dello Stato, in mancanza di una obbligazione civile degli Stati nei confronti dei singoli riguardo agli interventi da adottare e stabiliti dalle fonti sovranazionali, a fronte del carattere planetario del fenomeno del surriscaldamento globale». Va evidenziato che per la presidenza del Consiglio (costituita in processo), una richiesta di condanna sarebbe stata «un’inammissibile intrusione del potere giudiziario nell’ambito delle competenze del Parlamento e del governo, con ciò violando il superiore principio della separazione dei poteri». All’estero queste azioni legali hanno avuto in alcuni casi più successo, anche perché ci sono ordinamenti diversi. Nel ricorso associazioni e cittadini facevano riferimento al caso Urgenda (una fondazione ambientalista), dove lo Stato olandese era stato condannato definitivamente dalla Corte suprema nel dicembre 2019 a ridurre del 25% le emissioni di CO2 nell’atmosfera entro la fine del 2020 e del 40 % entro il 2030. C’è stata anche una sentenza del Tribunale amministrativo di Parigi il 3 febbraio 2021 con la quale è stata riconosciuta una responsabilità omissiva in relazione agli obiettivi comunitari e nazionali in materia derivanti da una decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009. Anche la Corte costituzionale tedesca il 29 aprile 2021 si è pronunciata sulla parziale incostituzionalità della legge federale sui cambiamenti climatici del 2019.
Francesco Paolo Sisto (Imagoeconomica)
Il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo (Imagoeconomica)
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