2024-02-14
Altri dubbi sulle «cure» ai baby trans
Secondo uno studio americano, non esistono prove che dimostrino i benefici reali della «transizione di genere» nei minori. E pure gli psicoanalisti italiani si interrogano.«Non esistono prove» che la transizione sessuale «aiuti» i minori con disforia di genere o che dia loro qualsivoglia beneficio. Non solo: «Non esistono studi a lungo termine che dimostrino benefici» e neppure «che valutino i rischi a associati a interventi medici e chirurgici forniti a questi adolescenti». Nei giorni in cui in Italia i riflettori sono accesi sull’ospedale Careggi di Firenze - dove, secondo le prime ricostruzioni filtrate a seguito dell’invio degli ispettori del ministro della Salute Orazio Schillaci, a dei minori sarebbero stati somministrati i bloccanti della pubertà senza prima un percorso di psicoterapia -, queste parole sono pietre; anche perché sono autorevoli. Arrivano infatti dall’ultima e più accurata revisione della letteratura scientifica, a cura della pediatra californiana Jane E. Anderson dell’American College of Pediatricians.Nel suo lavoro fresco di pubblicazione, Mental health in adolescents with incongruence of gender identity and biological sex, la Anderson mette sotto la sua lente il cosiddetto approccio affermativo di genere, ossia l’idea che bloccare la pubertà dei minori con disforia di genere li faccia star meglio; un’idea, viene scritto in questo lavoro - arricchito da 80 citazioni bibliografiche - forse suggestiva, ma senza basi. «Sia prima sia dopo la “terapia di affermazione di genere”», si legge infatti nello studio, «gli adolescenti che presentano incongruenze nell’identità di genere corrono un rischio maggiore di psicopatologia rispetto ai loro coetanei che si identificano con il loro sesso biologico», motivo per cui si può concludere che «non ci sono prove a lungo termine che i problemi di salute mentale siano diminuiti o alleviati dopo la «terapia di affermazione del genere».Per pervenire a tale conclusione, la studiosa ha esaminato ogni ricerca finora eseguita. In particolare, è rimasta colpita da una indagine effettuata dalla McMaster University su incarico della Florida agency for health care administration: su 61 revisioni della letteratura trovate, solo 14 si sono state ritenute in grado di rispondere ad un esame approfondito e, in ogni caso, non si son trovati studi seri che confrontino le condizioni tra i minori che usano e non usano bloccanti della pubertà; di conseguenza gli autori di tale revisione hanno concluso che «non è noto se le persone con disforia di genere che assumono bloccanti della pubertà sperimentino maggiori miglioramenti nella disforia di genere, nella depressione, nell’ansia e nella qualità della vita rispetto a quelle con disforia di genere che non li usano». Mancano pure riscontri «sugli effetti dei bloccanti della pubertà sull’idea suicidaria».Aveva insomma ragione Christopher Gillberg, luminare docente a Göteborg il quale, in un intervento apparso qualche anno fa sul Svenska Dagbladet, aveva definito il trattamento e la chirurgia sui minori nientemeno che «un grande esperimento». Ma torniamo all’analisi dell’American College of Pediatricians, che demolisce le ricerche pro transizione di genere dei minori, definite «gravemente imperfette», a causa di criticità quali le «dimensioni ridotte del campione, il suo reclutamento parziale, i pazienti persi al follow-up e durate estremamente brevi di monitoraggio». In realtà non vale neppure, sempre secondo questo studio, l’argomento secondo cui i minori transgender andrebbero assecondati nelle loro richieste di «cambio di sesso», dato che se da un lato è vero che loro «il tasso di suicidio è ovviamente preoccupante», dall’altro, «non è diverso da quello sperimentato da individui che abbiano subito bullismo o che si identificano come lesbiche, gay o bisessuali».Che fare, dunque, con i bloccanti della pubertà? «Come minimo dovrebbero essere condotti studi controllati a lungo termine se si vogliono continuare questi interventi», conclude la dottoressa Anderson, che non è affatto sola nella sua denuncia. «In che senso i bloccanti della pubertà sarebbero dei «salvavita»?», si è chiesto nei giorni scorsi sul Quotidiano Sanità Sarantis Thanopulos, presidente della Società Psicoanalitica, «esiste un sufficiente numero di studi rigorosi che lo conferma?». Sul British Medical Journal, rivista fondata nel 1840 e annoverata tra le quattro migliori al mondo in ambito medico, anche Kamran Abbasi, docente all’Imperial College di Londra ha evidenziato come «a sempre più giovani» vengano «offerti interventi medici e chirurgici per la transizione di genere, a volte aggirando qualsiasi supporto psicologico». Sempre secondo Abbasi, «gran parte di questa pratica clinica sia supportata dalle guide di società e associazioni mediche, ma un esame più attento di tali guide rileva che le raccomandazioni cliniche non sono in linea con la forza delle prove. Il rischio d’un trattamento eccessivo della disforia di genere è reale». Queste parole sul British Medical Journal risalgono a un anno fa. Ma dodici mesi dopo le prove che i bloccanti della pubertà aiutino i giovani con disforia di genere, ecco, ancora non ci sono.
Kim Jong-un (Getty Images)
iStock
È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
Continua a leggereRiduci
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)