2023-08-14
Alluvione, tutti i soldi che Bonaccini non spende
Il presidente dell’Emilia Romagna attacca Giorgia Meloni. Ma dimentica che dove la ricostruzione tocca a lui (con pieni poteri) i fondi sono fermi da anni. E a Nonantola pure il sindaco (di sinistra) protesta.Il battibecco mediatico sui fondi per la ricostruzione in Emilia-Romagna sta diventando un siparietto poco edificante e a tratti persino offensivo, proprio perché si consuma sulla carne viva di persone che tanto hanno perso e tanto ancora si sentono ferite. Giorgia Meloni ribadisce che il governo ha stanziato 4,5 miliardi per la ricostruzione, il governatore Stefano Bonaccini insiste a ripetere che «famiglie e imprese non hanno visto niente». Dietro, ovviamente, c’è uno scontro politico: è noto che Bonaccini ambisse a fare il commissario per la ricostruzione, ma persino il segretario del suo partito (Elly Schlein) ha remato contro, temendo che il rivale interno prendesse troppo potere e ottenesse troppa visibilità. Al governatore, dunque, non resta che alzare sempre più la voce, anche quando la sua ammirevole esperienza politica dovrebbe consigliargli cautela. Il Pd ringhia per i presunti ritardi nella erogazione dei fondi statali, e dà a intendere che - se il commissario fosse stato un dem - oggi tutti sarebbero ripagati e soddisfatti. Il fatto, però, è che laddove è toccato alle autorità regionali ricostruire e aiutare la popolazione danneggiata da alluvioni e catastrofe, le cose non sono andate proprio benissimo. Anzi. Lo dimostra senza ombra di dubbio una accorata lettera che Antonio Platis e Pino Casano, consiglieri comunali di Forza Italia a Nonantola (provincia di Modena) hanno inviato in questi giorni al presidente della Regione, raccontando quale sia la situazione della loro cittadina. «A dicembre 2020», raccontano, «è letteralmente deflagrato in un tratto rettilineo e con livelli d’acqua modesti il fiume Panaro. Allagando un territorio limitato ma densamente abitato e quasi tutto nel comune di Nonantola (1.800 famiglie e 200 imprese sott’acqua). Il fiume ha rotto proprio a poche decine di metri da dove era uscito già nel 2014». Già: il Panaro tornò a fare danni gravi nella stessa zona in cui li aveva fatti sei anni prima. «In quei sei anni, diciamolo, è stato fatto poco o nulla», sostengono i consiglieri comunali rivolgendosi a Bonaccini. «Tant’è che la vostra commissione di inchiesta ha decretato che l’argine era ammalorato e costruito con materiale di riporto. Inoltre istrici, tassi e nutrie avevano ridotto l’argine ad un’autentica groviera, un dedalo di tunnel sotterranei, al punto che una sola tana è stata la causa scatenante dell’esondazione». L’accusa di Platis e Casano è piuttosto precisa: Bonaccini si lamenta di Figliuolo, ma a Nonantola ha pieni poteri e la situazione è questa: «La ricostruzione dopo 30 mesi è ferma esattamente alla metà: 50%. A maggio ha addirittura chiesto un’ulteriore proroga, nella speranza di finire entro il 31.12.2024. I cittadini devono anticipare i soldi per i lavori mentre gli interventi più importanti fanno acqua. I rimborsi per i nonantolani non sono mai al 100% e ben 75 milioni di euro per il nodo idraulico di Modena sono fermi sui conti correnti della Regione e dunque non utilizzati per la messa in sicurezza del territorio».E ancora: «I nonantolani non hanno avuto indennizzi sulle automobili. Hanno beneficiato di un ristoro al 100% solo nel momento in cui sono riusciti ad abbinare ai contributi per l’alluvione gli ecobonus. Hanno dovuto anticipare i fondi, perché in anticipo non è arrivato nulla, solo un prestito ponte con una banca del territorio che chiedeva pure garanzie reali ai cittadini. Ad oggi gli interventi sotto i 10.000 euro sono stati tutti eseguiti, mentre i più corposi ed importanti sono al palo, anche perché i tassi di interesse sono volati e la banca li pretende». C’è un altro punto interessante. Negli ultimi giorni il Pd ha punzecchiato il governo sulla mancata assunzione di dipendenti comunali che si occupino nello specifico della ricostruzione. Ma quando ha dovuto gestire la pratica sul territorio non ha offerto un grande spettacolo. Dicono Platis e Casano che la Regione aveva promesso di pagare «i dipendenti assunti per far fronte alla mole delle pratiche relative all’alluvione. Invece, il 27 del mese, il piccolo municipio nonantolano ha versato e versava gli stipendi arrivando a vantare un credito di 454.000 euro verso la Regione. Ad aprile 2023, il sindaco Pd si è permesso di chiedere lo storno. La giunta Bonaccini ne ha dati 200.000 e gli altri più avanti. Il Comune, evidentemente, può aspettare».Si dirà: sono critiche che arrivano dalle forze regionali di opposizione, ovvio che siano pesanti. A confermare quel che dicono Platis e Casano, tuttavia, è stato proprio il sindaco dem di Nonantola, Federica Nannetti, che ancora alla fine di maggio dichiarava al quotidiano online La Pressa: «Le difficoltà permangono per gli interventi più grandi. Sia perché molte famiglie non hanno avuto e non hanno la capacità economica per pagare anticipatamente i lavori sia per le difficoltà di accesso al credito. Nonostante l’impegno di un importante istituto, sono diversi, anche per difficoltà pregresse, che non riescono ad accedere al finanziamento per continuare o concludere i lavori pur avendo riconosciuto il pieno diritto al rimborso». La situazione, per giunta, non è molto diversa in altre zone della Regione. Per esempio nel comune di Budrio, come spiega l’avvocato Martino Pioggia, presidente del Comitato Bassa Valle dell’Idice: «Qui un alluvionato a fronte di un danno da 100.000 euro ha ricevuto in media dai tre a cinquemila euro. Sono dei meri acconti, il resto non si sa. A chi aveva difformità edilizie i rimborsi sono stati negati, le persone coinvolte hanno dovuto attingere ai propri risparmi per riparare gli immobili dai danni dell’alluvione», racconta. «Gli alluvionati hanno ricevuto il Contributo Autonoma Sistemazione per qualche migliaio di euro. I danni dell’alluvione del 2019, per altro, dipendono, presumibilmente, anche da mancati interventi da parte della Regione negli ultimi dieci anni, infatti nell’alveo dell’Idice vi è la presenza di alberi, anche di alto fusto, come risulta dalla relazione fatta effettuare da un nostro geologo di fiducia». Non sono pochi i Comuni che attendono rimborsi da tempo. «Un esempio su tutti?», sospira Marco Lisei, senatore emiliano di Fdi. «Le alluvioni che hanno colpito Villafranca di Forlì. Il Montone è esondato nel 2015 e nel 2019, i danni del 2015 sono stati risarciti all’80% a giugno 2018. I danni del 2019 risarciti solo in una piccolissima parte a fine dicembre 2022. Peraltro parliamo di danni e cifre molto inferiori agli attuali. L’assurdo è che poi il Montone è esondato nuovamente nel 2023. Sulle alluvioni passate», continua Lisei, «mediamente prima di tre anni nessuno ha visto il becco di un quattrino. Per non parlare del sisma: dopo 11 anni siamo ancora in ballo». Marta Evangelisti, consigliere regionale di Fratelli d’Italia, è piuttosto battagliera e punta il dito contro i mancati interventi delle istituzioni regionali che, se realizzati, magari non avrebbero impedito la catastrofe, ma avrebbero consentito probabilmente di limitare i danni. «Vorrei citare le sole 23 casse di espansione dei fiumi: insufficienti nel numero e molte non ultimate (soltanto un terzo)», dichiara. «Poi c’è la manutenzione degli argini e degli alvei dei fiumi: proibita ai privati anche con sanzioni gravi, ma non fatta da chi era deputato a occuparsene. Per non parlare poi della legge regionale contro il consumo di suolo che ha portato effetti opposti a quelli che si proponeva. Cosa abbia fatto la Regione per preservare il territorio, tuttavia, non è dato sapere con certezza, perché ancora oggi alle decine di interrogazioni e accessi agli atti non è pervenuta risposta: tutto blindato dagli uffici».Chiaro: nessuno pretende miracoli, anche perché le ricostruzioni sono sempre dolorose e complicate. Ma il catalogo di mancanze e inadempienze della Regione è fin troppo corposo. E per nasconderlo non basta gridare contro il governo, perché finita la cagnara i fatti restano.