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2022-12-02
Nata l’alleanza anti bando sulle auto a benzina
Lo stop alla vendita di motori termici entro il 2035 voluto dall’Ue non piace a molte regioni europee, che si stanno già adoperando per contrastarlo. Non è un caso, infatti, se a Lipsia in Germania, grande produttrice di automobili insieme con l’Italia, sta nascendo quella che può essere considerata una vera e propria alleanza delle regioni europee per affrontare e ridiscutere il blocco commerciale verso i motori termici.
Del resto, il tema delle auto elettriche è di grande interesse anche oltreoceano. Ieri il presidente americano Joe Biden e quello francese Emmanuel Macron si sono incontrati nello Studio Ovale a Washington e tra i temi di cui hanno discusso c’è anche quello dell’auto elettrica e degli incentivi all’acquisto di modelli a stelle e strisce.
Della futura alleanza europea contro la perdita delle competenze maturate coni motori termici fanno parte la Lombardia, i rappresentanti di Sassonia, Baden-Württemberg, Baviera, Sassonia-Anhalt e Saarland (per la Germania); di Valencia, Navarra, Andalusia e Castiglia e León (per la Spagna); di Trnava e Kosice (per la Slovacchia); di Grand Est, Borgogna-Francia-Coté (per la Francia) e sempre per l’Italia ci sono anche Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Molise.
D’altronde, si tratta di un tema che la Lombardia sta seguendo da tempo, anche con azioni concrete. La speranza è infatti spingere l’Ue a cambiare idea sullo stop ai motori termici. Già lo scorso 29 marzo, grazie all’istituzione di un tavolo a Palazzo Lombardia, era stato definito un manifesto a favore della transizione del settore. Un documento inviato al governo nazionale, alla Conferenza delle Regioni e presentato alla Commissione europea. L’obiettivo era accompagnare con gradualità la transizione del settore automobilistico evitando bruschi crolli. Una filiera che in Lombardia conta oltre 1.000 aziende, 50.000 occupati e 20 miliardi di fatturato.
A Lipsia, alla costituzione dell’alleanza tra le varie regioni europee, c’era anche l’assessore allo Sviluppo economico lombardo Guido Guidesi che ha spiegato che «l’alleanza nata in terra tedesca non è un punto di arrivo, ma l’acquisizione di un nuovo strumento con cui rinforzare la strategia difensiva del settore automotive, non essendo più la nostra voce sola, ma un coro ben intonato. In particolare, chiediamo un meccanismo europeo a sostegno di una transizione giusta ed equa delle produzioni industriali del settore automotive, ben tenendo in considerazione gli effetti sui distretti produttivi nelle regioni», ha ribadito, «In particolare, corriamo tre grandi rischi. Il primo: le imprese della componentistica potrebbero non riuscire a convertirsi, con gli effetti che possiamo immaginare sull’occupazione in Lombardia, pensiamo anche solo alle piccole imprese a servizio dei grandi marchi. Il secondo rischio che intravediamo è che il mondo delle, costose, auto elettriche escluda una fetta importante di cittadini dalla possibilità di acquistare un’automobile. Il terzo è economico, strategico, produttivo e industriale, consegnando ad altri competitor extra europei un settore che abbiamo presidiato con non pochi sacrifici». «Come evitare questi rischi?», si domanda l’assessore lombardo, «Noi pensiamo che per raggiungere gli obiettivi ambientali che sono stati giustamente prefissati, su cui noi ci vogliamo sentire coinvolti e impegnati, per cui l’impatto zero delle auto in circolazione e l’impatto zero della produzione e del fine vita (altra situazione che tendo a sottolineare con forza), la soluzione sia la piena neutralità tecnologica, il fatto di poter dare continuità al motore endotermico attraverso l’utilizzo di nuovi carburanti eco compatibili che ci consentano di raggiungere l’impatto zero nella circolazione». «Attraverso la neutralità tecnologica», ha concluso Guidesi, «alla Lombardia sarebbe consentito di utilizzare tutto il know how di cui già dispone, cosicché si possano sviluppare nuove opportunità di lavoro e di crescita».
Concretamente, i membri dell’alleanza hanno stilato un decalogo in cui si cita anche l’importanza dei combustibili rinnovabili e a basso contenuto carbonico, oggi ancora sottovalutati a favore di una mobilità solamente elettrica.
L’idea potrebbe essere quella di creare delle regioni in cui la produzione di motori termici «sostenibili» sia ancora possibile. D’altronde, dell’alleanza fanno parte le più importanti regioni produttrici del settore dove nascono i prodotti di colossi come Mercedes, Bmw, Audi, Volkswagen, Skoda, Fiat e Alfa Romeo, solo per citarne alcuni. Marchi che portano posti di lavoro e un indotto da capogiro che difficilmente potrebbe trovare un’applicazione nel settore dei veicoli a batteria.
Proprio per trovare una strada comune che non renda inutilizzabili le competenze europee, l’Allenza nata a Lipsia propone l’introduzione di un traguardo intermedio al 2030 per valutare l’evoluzione delle tecnologie alternative disponibili, come sostenuto anche da Acea, l’Associazione europea costruttori di veicoli.
L’Europa vuole eliminare i monodose: «Così si penalizzano le imprese»
La deroga sulla taglia minima delle vongole nell’Adriatico è salva per altri tre anni, ma nel frattempo l’Ue avvia la sua rivoluzione sul packaging e sui rifiuti da imballaggio. La Commissione europea ha proposto un regolamento che prevede, in tempi di take away e consegne a domicilio, l’abolizione di imballaggi monouso in tutti quei settori che rientrano nell’Horeca, ossia hotel, ristoranti e caffè. Addio dunque alle bustine di zucchero nei locali e nelle strutture ricettive con il ritorno delle tradizionali zuccheriere su tavoli e banconi. Nel mirino anche tubetti, scatole e scatoline che contengono salse e altri condimenti, shampoo e bagnoschiuma. In particolare, non sarà più concesso effettuare «imballaggi monouso contenenti singole porzioni o porzioni, utilizzati per condimenti, conserve, salse, creme per il caffè, zucchero e condimenti, ad eccezione di tali imballaggi forniti insieme ad alimenti pronti da asporto destinati al consumo immediato senza necessità di ogni ulteriore preparazione».
Era il 2004 quando per motivi sanitari la Commissione vietò la somministrazione dello zucchero sfuso al bar, portando alla diffusione di zuccheriere dosatrici e di bustine. La zuccheriera allora era ritenuta poco igienica, ma ora l’Ue manda in pensione la bustina simbolo «dell’epoca usa e getta» per motivi ambientali. Infatti l’obiettivo del nuovo regolamento sul packaging, al vaglio dei governi nazionali e del Parlamento europeo con il secondo pacchetto sull’economia circolare, è ridurre i rifiuti da imballaggio e altri materiali inquinanti del 15% in ogni Stato membro nel prossimo ventennio. Standard ambiziosi per la nuova norma: entro il 2030 il 20% delle vendite di bevande da asporto dovrà essere servito in imballaggi riutilizzabili o usando i contenitori dei clienti, per arrivare all’80% nel 2040. Per farlo, si tornerebbe al riutilizzo dei contenitori e al vuoto a rendere, rischiando però di mandare in crisi le filiere del riciclo.
Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha preannunciato «il no alla misura così com’è», in linea con Francia Grecia e Polonia, mentre per l’europarlamentare di Fdi Nicola Procaccini «la Commissione Ue ha scelto la strada peggiore, quella che ci riporta indietro di decenni con buona pace di tutti i progressi tecnologici fatti finora e con danni gravi per migliaia di nostre imprese. Ci opporremo in tutte le sedi». Per Europen, l’associazione Ue del packaging, «la proposta rischia di andare contro gli obiettivi stessi del Green deal, riportando indietro le lancette dell’orologio del riciclo e compromettendo la funzionalità dei contenitori nel proteggere i prodotti». Secondo l’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato, industriale nel settore del packaging con la Seda, società che opera a livello internazionale nella produzione di imballaggi alimentari, il regolamento «sarebbe devastante per l’ambiente, per l’economia e per milioni di lavoratori», ed è «assolutamente contraddittorio con gli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale che la stessa Commissione cerca di portare avanti. Solo populismo e demagogia».
La bocciatura è arrivata anche da Coldiretti e Filiera Italia: «La proposta, seppur condivisibile negli obiettivi di limitazione dei rifiuti, avrà effetti opposti e negativi sulla filiera produttiva europea e sui consumatori. Si tratta di norme che non premiano la filiera del packaging italiano e quelle aziende che in particolare hanno investito nei materiali tecnologicamente avanzati sostenibili e riciclabili», ha detto il presidente Coldiretti Ettore Prandini evidenziando «l’effetto negativo sui costi di produzione dell’intera filiera agroalimentare che rischia di riflettersi sui prezzi pagati dai consumatori». Mentre Luigi Scordamaglia ha sottolineato i «gravi problemi di sicurezza alimentare che potrebbero porsi».
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Le regioni produttrici di veicoli di Germania, Spagna, Italia, Slovacchia e Francia si sono unite per chiedere una transizione lenta. Sul tavolo anche il progetto di istituire delle aree speciali dove sarà possibile continuare a costruire macchine con motori termici.La Commissione Ue studia nuove norme sugli imballaggi. Critiche di aziende e Stati.Lo speciale contiene due articoli.Lo stop alla vendita di motori termici entro il 2035 voluto dall’Ue non piace a molte regioni europee, che si stanno già adoperando per contrastarlo. Non è un caso, infatti, se a Lipsia in Germania, grande produttrice di automobili insieme con l’Italia, sta nascendo quella che può essere considerata una vera e propria alleanza delle regioni europee per affrontare e ridiscutere il blocco commerciale verso i motori termici. Del resto, il tema delle auto elettriche è di grande interesse anche oltreoceano. Ieri il presidente americano Joe Biden e quello francese Emmanuel Macron si sono incontrati nello Studio Ovale a Washington e tra i temi di cui hanno discusso c’è anche quello dell’auto elettrica e degli incentivi all’acquisto di modelli a stelle e strisce. Della futura alleanza europea contro la perdita delle competenze maturate coni motori termici fanno parte la Lombardia, i rappresentanti di Sassonia, Baden-Württemberg, Baviera, Sassonia-Anhalt e Saarland (per la Germania); di Valencia, Navarra, Andalusia e Castiglia e León (per la Spagna); di Trnava e Kosice (per la Slovacchia); di Grand Est, Borgogna-Francia-Coté (per la Francia) e sempre per l’Italia ci sono anche Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Molise. D’altronde, si tratta di un tema che la Lombardia sta seguendo da tempo, anche con azioni concrete. La speranza è infatti spingere l’Ue a cambiare idea sullo stop ai motori termici. Già lo scorso 29 marzo, grazie all’istituzione di un tavolo a Palazzo Lombardia, era stato definito un manifesto a favore della transizione del settore. Un documento inviato al governo nazionale, alla Conferenza delle Regioni e presentato alla Commissione europea. L’obiettivo era accompagnare con gradualità la transizione del settore automobilistico evitando bruschi crolli. Una filiera che in Lombardia conta oltre 1.000 aziende, 50.000 occupati e 20 miliardi di fatturato.A Lipsia, alla costituzione dell’alleanza tra le varie regioni europee, c’era anche l’assessore allo Sviluppo economico lombardo Guido Guidesi che ha spiegato che «l’alleanza nata in terra tedesca non è un punto di arrivo, ma l’acquisizione di un nuovo strumento con cui rinforzare la strategia difensiva del settore automotive, non essendo più la nostra voce sola, ma un coro ben intonato. In particolare, chiediamo un meccanismo europeo a sostegno di una transizione giusta ed equa delle produzioni industriali del settore automotive, ben tenendo in considerazione gli effetti sui distretti produttivi nelle regioni», ha ribadito, «In particolare, corriamo tre grandi rischi. Il primo: le imprese della componentistica potrebbero non riuscire a convertirsi, con gli effetti che possiamo immaginare sull’occupazione in Lombardia, pensiamo anche solo alle piccole imprese a servizio dei grandi marchi. Il secondo rischio che intravediamo è che il mondo delle, costose, auto elettriche escluda una fetta importante di cittadini dalla possibilità di acquistare un’automobile. Il terzo è economico, strategico, produttivo e industriale, consegnando ad altri competitor extra europei un settore che abbiamo presidiato con non pochi sacrifici». «Come evitare questi rischi?», si domanda l’assessore lombardo, «Noi pensiamo che per raggiungere gli obiettivi ambientali che sono stati giustamente prefissati, su cui noi ci vogliamo sentire coinvolti e impegnati, per cui l’impatto zero delle auto in circolazione e l’impatto zero della produzione e del fine vita (altra situazione che tendo a sottolineare con forza), la soluzione sia la piena neutralità tecnologica, il fatto di poter dare continuità al motore endotermico attraverso l’utilizzo di nuovi carburanti eco compatibili che ci consentano di raggiungere l’impatto zero nella circolazione». «Attraverso la neutralità tecnologica», ha concluso Guidesi, «alla Lombardia sarebbe consentito di utilizzare tutto il know how di cui già dispone, cosicché si possano sviluppare nuove opportunità di lavoro e di crescita».Concretamente, i membri dell’alleanza hanno stilato un decalogo in cui si cita anche l’importanza dei combustibili rinnovabili e a basso contenuto carbonico, oggi ancora sottovalutati a favore di una mobilità solamente elettrica. L’idea potrebbe essere quella di creare delle regioni in cui la produzione di motori termici «sostenibili» sia ancora possibile. D’altronde, dell’alleanza fanno parte le più importanti regioni produttrici del settore dove nascono i prodotti di colossi come Mercedes, Bmw, Audi, Volkswagen, Skoda, Fiat e Alfa Romeo, solo per citarne alcuni. Marchi che portano posti di lavoro e un indotto da capogiro che difficilmente potrebbe trovare un’applicazione nel settore dei veicoli a batteria.Proprio per trovare una strada comune che non renda inutilizzabili le competenze europee, l’Allenza nata a Lipsia propone l’introduzione di un traguardo intermedio al 2030 per valutare l’evoluzione delle tecnologie alternative disponibili, come sostenuto anche da Acea, l’Associazione europea costruttori di veicoli.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/alleanza-anti-bando-auto-benzina-2658822096.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="leuropa-vuole-eliminare-i-monodose-cosi-si-penalizzano-le-imprese" data-post-id="2658822096" data-published-at="1669979411" data-use-pagination="False"> L’Europa vuole eliminare i monodose: «Così si penalizzano le imprese» La deroga sulla taglia minima delle vongole nell’Adriatico è salva per altri tre anni, ma nel frattempo l’Ue avvia la sua rivoluzione sul packaging e sui rifiuti da imballaggio. La Commissione europea ha proposto un regolamento che prevede, in tempi di take away e consegne a domicilio, l’abolizione di imballaggi monouso in tutti quei settori che rientrano nell’Horeca, ossia hotel, ristoranti e caffè. Addio dunque alle bustine di zucchero nei locali e nelle strutture ricettive con il ritorno delle tradizionali zuccheriere su tavoli e banconi. Nel mirino anche tubetti, scatole e scatoline che contengono salse e altri condimenti, shampoo e bagnoschiuma. In particolare, non sarà più concesso effettuare «imballaggi monouso contenenti singole porzioni o porzioni, utilizzati per condimenti, conserve, salse, creme per il caffè, zucchero e condimenti, ad eccezione di tali imballaggi forniti insieme ad alimenti pronti da asporto destinati al consumo immediato senza necessità di ogni ulteriore preparazione». Era il 2004 quando per motivi sanitari la Commissione vietò la somministrazione dello zucchero sfuso al bar, portando alla diffusione di zuccheriere dosatrici e di bustine. La zuccheriera allora era ritenuta poco igienica, ma ora l’Ue manda in pensione la bustina simbolo «dell’epoca usa e getta» per motivi ambientali. Infatti l’obiettivo del nuovo regolamento sul packaging, al vaglio dei governi nazionali e del Parlamento europeo con il secondo pacchetto sull’economia circolare, è ridurre i rifiuti da imballaggio e altri materiali inquinanti del 15% in ogni Stato membro nel prossimo ventennio. Standard ambiziosi per la nuova norma: entro il 2030 il 20% delle vendite di bevande da asporto dovrà essere servito in imballaggi riutilizzabili o usando i contenitori dei clienti, per arrivare all’80% nel 2040. Per farlo, si tornerebbe al riutilizzo dei contenitori e al vuoto a rendere, rischiando però di mandare in crisi le filiere del riciclo. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha preannunciato «il no alla misura così com’è», in linea con Francia Grecia e Polonia, mentre per l’europarlamentare di Fdi Nicola Procaccini «la Commissione Ue ha scelto la strada peggiore, quella che ci riporta indietro di decenni con buona pace di tutti i progressi tecnologici fatti finora e con danni gravi per migliaia di nostre imprese. Ci opporremo in tutte le sedi». Per Europen, l’associazione Ue del packaging, «la proposta rischia di andare contro gli obiettivi stessi del Green deal, riportando indietro le lancette dell’orologio del riciclo e compromettendo la funzionalità dei contenitori nel proteggere i prodotti». Secondo l’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato, industriale nel settore del packaging con la Seda, società che opera a livello internazionale nella produzione di imballaggi alimentari, il regolamento «sarebbe devastante per l’ambiente, per l’economia e per milioni di lavoratori», ed è «assolutamente contraddittorio con gli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale che la stessa Commissione cerca di portare avanti. Solo populismo e demagogia». La bocciatura è arrivata anche da Coldiretti e Filiera Italia: «La proposta, seppur condivisibile negli obiettivi di limitazione dei rifiuti, avrà effetti opposti e negativi sulla filiera produttiva europea e sui consumatori. Si tratta di norme che non premiano la filiera del packaging italiano e quelle aziende che in particolare hanno investito nei materiali tecnologicamente avanzati sostenibili e riciclabili», ha detto il presidente Coldiretti Ettore Prandini evidenziando «l’effetto negativo sui costi di produzione dell’intera filiera agroalimentare che rischia di riflettersi sui prezzi pagati dai consumatori». Mentre Luigi Scordamaglia ha sottolineato i «gravi problemi di sicurezza alimentare che potrebbero porsi».
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Inizialmente, la presentazione della strategia della Commissione avrebbe dovuto avvenire mercoledì, ma la lettera di Friedrich Merz del 28 novembre diretta a Ursula von der Leyen ha costretto a ritardare la comunicazione. In quel giorno Merz, appena ottenuto dal Bundestag il via libera alla costosa riforma delle pensioni, si era subito rivolto a Von der Leyen chiedendo modifiche pesanti alle regole sul bando delle auto Ice al 2035. Questa contemporaneità ha reso evidente che il via libera alla richiesta di rilassamento delle regole sulle auto arrivava dalla Spd come contropartita al sì della Cdu alla riforma delle pensioni, come spiegato sulla Verità del 2 dicembre.
Se il contenuto della revisione dovesse essere quello circolato ieri, vorrebbe dire che la posizione tedesca è stata interamente accolta. I punti di cui Bloomberg parla, infatti, sono quelli contenuti nella lettera di Merz.
Non è ancora chiaro quale sarà la quota di veicoli ibridi plug-in e ad autonomia estesa che potranno essere immatricolati dopo il 2035, né se la data del 2040 sarà mantenuta. Anche i dettagli tecnici chiave sugli e-fuel e sui biocarburanti avanzati non ci sono. Resta poi ancora da precisare (da anni) quale metodo sarà utilizzato per il Life cycle assessment (Lca), ovvero i criteri con cui si valutano le emissioni nell’intero ciclo di vita dei veicoli elettrici. Non si tratta di un banale dettaglio tecnico, ma dell’architrave delle nuove regole, da cui dipenderanno tecnologie e modelli in futuro. Un Lca avrebbe già dovuto essere definito entro il 31 dicembre di quest’anno dalla Commissione, ma ancora non si è visto nulla. Contabilizzare l’acciaio green nella produzione di veicoli significa dotarsi di un metodo Lca condiviso, così finalmente si saprà quanto emette davvero un veicolo elettrico (sempre se il Lca è fatto bene).
Qualche giorno fa, sei governi Ue, tra cui quello italiano, affiancato da Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Repubblica Ceca, in scia alla Germania, avevano chiesto alla Commissione di proporre un allentamento delle regole sulle auto, consentendo gli ibridi plug-in e le auto con autonomia estesa anche dopo il 2035. In una situazione in cui l’assalto al mercato europeo da parte dei marchi cinesi è appena iniziato, le case del Vecchio continente faticano a tenere il passo. L’incertezza normativa è però anche peggio di una regola fatta male. L’industria europea dell’auto si sta preparando a mantenere in produzione modelli con il motore a scoppio anche dopo il 2035, con la relativa componentistica, ma tutta la filiera, che coinvolge milioni di lavoratori in Europa e fuori, ha bisogno di certezze.
Intanto, l’applicazione al settore auto della norma «made in Europe», che dovrebbe servire a proteggere l’industria europea stabilendo quote minime di componenti fatti al 100% in Europa, è stata rinviata a fine gennaio. La regola, fortemente voluta dalla Francia ma che lascia la Germania fredda, si intreccia con la richiesta di dazi sulle merci cinesi fatta da Macron. Avanti (o indietro) in ordine sparso.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Un concetto già smentito da Fdi che in un dossier sulle fake news relative proprio all’oro di Bankitalia, ha precisato l’infondatezza dell’allarmismo basato sulla errata idea di volersi impossessare delle riserve auree per ridurre il debito. E nello stesso documento si ricordava invece come questa idea non dispiacesse al governo di sinistra di Romano Prodi del 2007. Peraltro nel dossier si precisa che la finalità dell’emendamento è di «non far correre il rischio all’Italia che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani».
Per due volte la Banca centrale europea ha puntato i piedi, probabilmente spinta dal retropensiero che il governo voglia mettere le mani sull’oro detenuto e gestito da Bankitalia, per venderlo. Ma anche su questo punto da Fdi hanno tranquillizzato. Nel documento esplicativo precisano che «al contrario, vogliamo affermare che la proprietà dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia è dello Stato proprio per proteggere le riserve auree da speculazioni». Il capitale dell’istituto centrale è diviso in 300.000 quote e nessun azionista può detenere più del 5%. I principali soci di Via Nazionale sono grandi banche e casse di previdenza. Dai dati pubblicati sul sito Bankitalia, primo azionista risulta Unicredit (15.000 quote pari al 5%), seguono con il 4,93% ciascuna Inarcassa (la Cassa di previdenza di ingegneri e architetti), Fondazione Enpam (Ente di previdenza dei medici e degli odontoiatri) e la Cassa forense. Del 4,91% la partecipazione detenuta da Intesa Sanpaolo. Al sesto posto tra gli azionisti, troviamo la Cassa di previdenza dei commercialisti con il 3,66%. Seguono Bper Banca con il 3,25%, Iccrea Banca col 3,12%, Generali col 3,02%. Pari al decimo posto, con il 3% ciascuna, Inps, Inail, Cassa di sovvenzioni e risparmio fra il personale della Banca d'Italia, Cassa di Risparmio di Asti. Primo azionista a controllo straniero è la Bmnl (Gruppo Bnp Paribas) col 2,83% seguita da Credit Agricole Italia (2,81%). Bff Bank (partecipata da fondi italiani e internazionali) detiene l’1,67% mentre Banco Bpm (i cui principali azionisti sono Credit Agricole con circa il 20% e Blackrock con circa il 5%) ha l’1,51%.
Un motivo fondato quindi per esplicitare che le riserve auree sono di proprietà di tutti gli italiani. Il che, a differenza di quanto sostenuto da politici e analisti di sinistra, «non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. Non si comprende quindi la levata di scudi di queste ore nei confronti della proposta di Fdi. A meno che, ed è lecito domandarselo, chi oggi si agita non abbia altri motivi per farlo».
C’è poi il fatto che «alcuni Stati, anche membri dell’Ue, hanno già chiarito che la proprietà delle riserve appartiene al popolo, nella propria legislazione, mettendolo nero su bianco, a dimostrazione del fatto che ciò è perfettamente compatibile con i Trattati europei». Pertanto si tratta di un emendamento «di buon senso».
La riformulazione della proposta potrebbe essere presentata oggi, come annunciato dal capogruppo di Fdi in Senato, Lucio Malan. «Si tratta di dare», ha specificato, «una formulazione che dia maggiore chiarezza». Nella risposta alle richieste della presidente della Bce, Christine Lagarde, il ministro Giorgetti, avrebbe precisato che la disponibilità e gestione delle riserve auree del popolo italiano sono in capo alla Banca d’Italia in conformità alle regole dei Trattati e che la riformulazione della norma trasmessa è il frutto di apposite interlocuzioni con quest’ultima per addivenire a una formulazione pienamente coerente con le regole europee.
Risolto questo fronte, altri agitano l’iter della manovra. L’obiettivo è portare la discussione in Aula per il weekend. Il lavoro è tutto sulle coperture. Ci sono i malumori delle forze dell’ordine per la mancanza di nuovi fondi, rinviati a quando il Paese uscirà dalla procedura di infrazione, e ieri quelli dei sindacati dei medici, Anaao Assomed e Cimo-Fesmed, che hanno minacciato lo stato di agitazione se saranno confermate le voci «del tentativo del ministero dell’Economia di bloccare l’emendamento, peraltro segnalato, a firma Francesco Zaffini, presidente della commissione Sanità del Senato con il sostegno del ministro della Salute», che prevede un aumento delle indennità di specificità dei medici, dirigenti sanitari e infermieri. In ballo, affermano le due sigle, ci sono circa 500 milioni già preventivati. E reclamano che il Mef «licenzi al più presto la pre-intesa del Ccnl 2022-2024 per consentire la firma e quindi il pagamento di arretrati e aumenti».
Intanto in una riformulazione del governo l’aliquota della Tobin Tax è stata raddoppiata dallo 0,2% allo 0,4%.
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John Elkann (Ansa)
Fatta la doverosa e sincera premessa, non riusciamo a comprendere perché da ieri le opposizioni italiane stiano inondando i media di comunicati stampa che chiamano in causa il governo Meloni, al quale si chiede di riferire in aula in relazione a quella che è una trattativa tra privati. O meglio: è sacrosanta la richiesta di attenzione per la tutela dei livelli occupazionali, come succede in tutti i casi in cui un grande gruppo imprenditoriale passa di mano: ciò che si comprende meno, anzi non si comprende proprio, sono gli appelli al governo a intervenire per salvaguardare la linea editoriale delle testate in vendita.
L’agitazione in casa dem tocca livelli di puro umorismo: «Di fronte a quanto sta avvenendo nelle redazioni di Repubblica e Stampa», dichiara il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, «il governo italiano non può restare silente e fermo. Chigi deve assumere un’iniziativa immediata di fronte a quella che appare come una vera e propria dismissione di un patrimonio della democrazia italiana. Per la tutela di beni e capitali strategici di interesse nazionale viene spesso evocato il Golden power. Utilizzato da questo governo per molto meno». Secondo Boccia, il governo dovrebbe bloccare l’operazione oppure intervenire direttamente ponendo condizioni. Siamo, com’è ben chiaro, di fronte al delirio politico in purezza, senza contare il fatto che quando il governo ha utilizzato il Golden power nel caso Unicredit-Bpm, il Pd ha urlato allo scandalo per l’«interventismo» dell’esecutivo. Come abbiamo detto, sono sacrosante le preoccupazioni sul mantenimento dei livelli occupazionali, molto meno comprensibili invece quelle su qualità e pluralismo dell’informazione, soprattutto se collegate alla richiesta al governo di riferire in aula firmata da Pd, Avs, M5s e +Europa.
Cosa dovrebbe fare nel concreto Giorgia Meloni? Convocare gli Elkann e Kyriakou e farsi garantire che le testate del gruppo Gedi continueranno a pubblicare gli stessi articoli anche dopo l’eventuale vendita? E a che titolo un governo potrebbe mai intestarsi un’iniziativa di questo tipo, senza essere accusato di invadere un territorio che non è di propria competenza? Con quale coraggio la sinistra che ha costantemente accusato il centrodestra di invadere il sacro terreno della libertà di stampa, ora si lamenta dell’esatto contrario? Non si sa: quello che si sa è che quando il gruppo Stellantis, di proprietà degli Elkann, ha prosciugato uno dopo l’altro gli stabilimenti di produzione di auto in Italia tutto questo allarme da parte de partiti di sinistra non lo abbiamo registrato.
Ma le curiosità (eufemismo) non finiscono qui. Riportiamo una significativa dichiarazione del co-leader di Avs, Angelo Bonelli: «La vendita de La Repubblica, La Stampa, Huffington, delle radio e dei siti connessi all’armatore greco Kyriakou», argomenta Bonelli, «è un fatto che desta profonda preoccupazione anche per la qualità della nostra democrazia. L’operazione riguarda una trattativa tra l’erede del gruppo Gedi, John Elkann, e la società ellenica Antenna Group, controllata da Theodore Kyriakou, azionista principale e presidente del gruppo. Kyriakou può contare inoltre su un solido partner in affari: il principe saudita Mohammed Bin Salman Al Saud, che tre anni fa ha investito 225 milioni di euro per acquistare il 30% di Antenna Group». E quindi? «Il premier», deduce con una buona dose di sprezzo del ridicolo Sherlock Holmes Bonelli, «all’inizio di quest’anno, ha guidato una visita di Stato in Arabia Saudita, conclusa con una dichiarazione che auspicava una nuova fase di cooperazione e sviluppo dei rapporti tra Italia e il regno del principe ereditario. Se la vendita dovesse avere questo esito, si aprirebbe un problema serio che riguarda i livelli occupazionali e, allo stesso tempo, la qualità della nostra democrazia. La concentrazione dell’informazione radiotelevisiva, della stampa e del Web sarebbe infatti praticamente schierata sulle posizioni del governo e della sua presidente». Avete letto bene: secondo il teorema Bonelli, Bin Salman è socio di Kyriakou, Bin Salman ha ricevuto Meloni in visita (come altre centinaia di leader di tutto il mondo), quindi Meloni sta mettendo le mani su Repubblica, Stampa e tutto il resto.
Quello che sfugge a Bonelli è che Bin Salman è, come è arcinoto, in eccellenti rapporti con Matteo Renzi, e guarda caso La Verità è in grado di rivelare che il leader di Italia viva starebbe giocando, lui sì, un ruolo di mediazione in questa operazione. Renzi avrebbe pure già in mente il nuovo direttore di Repubblica: il prescelto sarebbe Emiliano Fittipaldi, attuale direttore del quotidiano Domani, giornale di durissima opposizione al governo. In ogni caso, per rasserenare gli animi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione, Alberto Barachini, ha convocato i vertici di Gedi e i Cdr di Stampa e Repubblica, «in relazione», si legge in una nota, «alla vicenda della ventilata cessione delle due testate del gruppo».
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