
L'ad dell'azienda Fabi: «Il settore calzaturiero è stato uno dei più colpiti dalla crisi. Nel pieno del lockdown abbiamo iniziato la nuova avventura con Energia 4.0: le nostre protezioni sono fatte con cotoni trattati per gli ospedali e filtri che durano dieci ore».Mani. Tante mani operose, veloci, instancabili. Immortalate in bellissime immagini che Fabi, azienda calzaturiera marchigiana, ha voluto inserire nella presentazione della sua straordinaria realtà fatta da artigiani, professionisti del settore, uniti tutti da un grande amore per il lavoro. È infatti il concetto di «soddisfazione» quello che maggiormente emerge dalle parole delle donne e degli uomini che ogni giorno si impegnano in azienda. Persone che hanno lavorato e lavorano alla Fabi considerandola quasi una seconda casa, dove lavorare bene significa andare oltre ai soli risultati economici.«La nostra azienda», racconta Alessia Fabi, amministratore delegato, «nasce nel 1965 a Montegranaro, la culla delle calzature, da mio padre e mio zio, allora giovanissimi, che hanno iniziato con le calzature da uomo e che dopo una ventina di anni hanno introdotto anche quelle da donna». Storie di famiglie, la forza del nostro Paese. I due fratelli Fabi, Enrico e Elisio, amavano il loro mestiere: fare scarpe da uomo classiche, in modo artigianale, quasi antico. «Non si può essere “calzolai" se non si prova una grande passione per le scarpe», dicevano. Servono conoscenza, di tecniche e materiali e fatica. Non a caso è un'arte che ci si tramanda di padre in figlio. Ora, difatti, la seconda generazione è alla ribalta. «Siamo una grande famiglia: mio fratello Flaminio, i cugini Cinzia ed Emanuele, figli di zio Elisio, tutti e quattro in azienda». Chi disegna le vostre calzature?«Per il 90% l'ufficio stile all'interno dell'azienda, ma ci avvaliamo anche di collaboratori esterni. Il nostro fiore all'occhiello è il brevetto Flex goodyear che richiede la bellezza di 102 passaggi per garantire scarpe eleganti ma soprattutto comode. Questo brevetto è nato proprio per la lavorazione delle calzature e per il miglioramento dell'esperienza di calzata. Le nostre scarpe Flex goodyear sono considerate tra le più comode al mondo. Tanti anni di ricerca da parte dei nostri modellisti e l'abilità dei maestri calzolai che cuciono ancora a mano le scarpe Fabi hanno portato questa tecnica di produzione al massimo livello». Una realtà importante.«Duecento dipendenti, oltre ad altri 200 di indotto. Il mercato estero incide per più del 60% del fatturato, che si sviluppa principalmente in ex Unione Sovietica, Europa e mercati Arabi. Per ora sono fermi anche loro. Dubai è ancora indietro per quanto riguarda le aperture. Soffrono in particolare quei Paesi che vivono di turismo. Abbiamo 15 monobrand e altri 400 punti vendita multibrand nel mondo. A pieno regime producevamo 300.000 paia di scarpe all'anno». Il distretto marchigiano delle calzature è il più importante d'Italia. Come vanno le cose? «Il Covid ha contribuito in maniera pesante ad acuire la crisi. La moda è il settore che ha sofferto di più. Anche guardando l'andamento delle vendite online, cresciute in tutti i campi, il comparto che è aumentato meno è proprio quello della moda. Siamo stati tutti a casi, non c'erano le occasioni per uscire: nessun evento o cerimonia, nessun matrimonio o diploma di laurea, insomma qualsiasi momento di festa e di aggregazione è stato rinviato. Perciò non c'era motivo di mostrare qualcosa di nuovo».E ora?«Oggi si sentono i primi sentori di una ripresa. La gente è stanca di stare a casa, vuole uscire, andare al ristorante, tornare alla normalità, il che che si traduce anche nella voglia di vestirsi, avere un bell'abito e delle belle scarpe. È una questione sociologica e una necessità psicologica. Parlando con i miei colleghi del settore bambino mi dicevano che durante il lockdown, per loro, è cambiato molto poco. I bimbi crescevano lo stesso, la necessità di avere le scarpe adeguate era costante e le vendite online sono aumentate molto». Una parte della vostra azienda è stata convertita per produrre mascherine. Di necessità virtù?«Ci è molto piaciuto metterci a disposizione, poter dare una mano effettiva. Quando c'è stata l'emergenza collaborando con amici di zona che lavorano per il fotovoltaico, Energia 4.0, è nato il marchio Mascherine italiane store. Mascherine normali se ne trovano, ma le nostre sono state particolari fin da subito. Abbiamo i designer e la tecnologia produttiva che ci hanno consentito di proporre mascherine diverse da tutte le altre. Anche quelle gioiello. Grazie alle conoscenze tecniche di certi tessuti, cotoni anallergici trattati per gli ospedali con fodere interne e atossici, le nostre mascherine assicurano la massima sicurezza. Una serie di accortezze legate alla funzione pratica con filtri intercambiabili si uniscono a una funzione estetica, un lato non certo trascurabile». Quindi, come sono?«Con le iniziali del nome, con disegni geometrici, stelline, loghi, ricoperte di strass, con le borchie per le ragazze, mascherine che proteggono ma adatte a qualsiasi occasione, civettuole. E mascherine da sera. C'è quella patriottica con il tricolore di luccicanti strass, ma anche quella semplice con piccoli disegni e punti luce. Stampe con disegni sensuali, o di pizzo, rispettando sempre le norme. Tutte lavabili con all'interno un filtro».Il filtro quanto dura?«Dipende dall'uso quotidiano. Il filtro dura dieci ore ma nessuno la porta per così tanto tempo. Se ne vendono con cinque, dieci e anche più filtri. C'è chi compra mascherine personalizzate per tutta la famiglia. E poi ci sono di più misure, dalla S alla M alla Xl per chi ha un viso grande, magari uomini con la barba. Una ragazza che ha la 42 non può indossare la stessa mascherina che mette un uomo di 90 chili. Noi le produciamo e Energia 4.0 le commercializza. È stata una bellissima esperienza in pieno lockdown. Nel momento in cui tutto era fermo e si aveva paura di uscire di casa, con le certificazioni abbiamo invitato le nostre donne a venire a cucire le mascherine. Tutto nell'assoluta libertà, se volevano, se si sentivano sicure. Ma pur di non stare a casa con i mariti sono venute molto volentieri. Chi portava le torte, chi le ciambelle, tutti in compagnia. Questo per noi è il vero significato di famiglia».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





