2025-10-03
Alla Consulta si alzano la paga dopo averci tagliato le pensioni
I giudici della Corte costituzionale, basandosi sulla loro sentenza che ha abolito il tetto agli stipendi pubblici, hanno disposto una maggiorazione del 20% dell’emolumento, che sale così a quasi mezzo milione lordo.Più sacrifici, ma non per tutti. I giudici della Corte costituzionale, s’immagina con supremo disagio personale, si sono «adeguati» lo stipendio di quasi 100.000 euro l’anno. È l’effetto della sentenza, ovviamente della Corte medesima, che ha fatto saltare il tetto degli stipendi pubblici a 240.000 euro. Nessuna preoccupazione per il debito pubblico e per il deficit di un Paese che è pur sempre sotto procedura d’infrazione Ue. E soprattutto, nessuna memoria per tre lustri di sentenze sui vari blocchi delle pensioni, in cui molto spesso la Consulta ha confermato il taglio delle perequazioni da parte di vari governi di centrosinistra. A scoprire il maxi ritocco degli stipendi alla Consulta è stato ieri il Fatto Quotidiano, che ha intercettato una circolare interna che vale letteralmente oro per i suoi destinatari. A fine luglio, la stessa Corte aveva dichiarato illegittimo il tetto a 240.000 euro varato nel 2014 da Matteo Renzi e con la consueta scusa dell’indipendenza (anche economica) della magistratura. Quindi, nel giro di pochi giorni, ne ha preso atto anche per sé stessa: adesso ogni alta toga passa da 14.000 euro netti al mese a circa 18.000, con un balzo di oltre un quarto rispetto allo stipendio precedente. Tutto perfettamente secondo la legge, ci mancherebbe, visto che gli Happy Fifteen hanno diritto a un trattamento superiore del 50% a quello di quell’altro sottoproletario del primo presidente della Corte di Cassazione. Il capo degli ermellini, con la sentenza di luglio, è tornato a 311.658 euro lordi e di conseguenza è risalito anche l’emolumento dei membri della Consulta. Da un punto di vista sostanziale, o se vogliamo, addirittura della famosa equità garantita in Costituzione, i giudici della Corte hanno recuperato in un colpo solo anche più dell’inflazione di questi anni. Il tutto mentre milioni di italiani non hanno certo visto lievitare gli stipendi in pari misura, nonostante il carovita. Ma c’è anche un profilo politico, anzi, proprio una bella lezione sui rapporti di forza all’interno di una comunità di cittadini «eguali davanti alla legge», che emerge in questa storia che si vuole tutta fatta di «perequazioni» e «automatismi» più o meno neutri. E questa storia riguarda le pensioni degli italiani, almeno dopo la famosa Riforma Fornero del 2012, approvata ai tempi del «tedesco» in loden Mario Monti. Il legame tra stipendi e vitalizi, a scanso di equivoci, lo sancisce la stessa Corte costituzionale, più volte investita da singoli tribunali e dai sindacati sulla costituzionalità dei vari blocchi alla rivalutazione delle pensioni medio-alte decisi dai vari governi. Nel 2013 (sentenza numero 116), i giudici affermano in modo molto netto la «natura di retribuzione differita» delle pensioni ordinarie e confermeranno questa impostazione in tutti gli anni a seguire. E qui arrivano i dispiaceri. Nel 2012 un Parlamento spaventato da uno spread alle stelle e dai parametri di Maastricht mette in Costituzione il pareggio di bilancio. Il governo Monti sperimenta subito il blocco delle rivalutazioni delle pensioni e degli scatti di anzianità dei dipendenti pubblici, tanto per capire fin dove ci si può spingere in nome del «rigore» monetario. La Consulta dà torto a Monti, quando a Palazzo Chigi c’è già Renzi, e con una sentenza del 2015 (la numero 70) condanna il governo a restituire le somme ai pensionati, comprensive della rivalutazione a partire dal 2013. Qui, la Consulta ha fatto prevalere i principi dell’adeguatezza della pensione rispetto al pareggio di bilancio. Qualche mese dopo (sentenza 178 del 215), la Corte dà ragione anche ai dipendenti statali, ma senza arretrati e proprio in ossequio alle «esigenze di bilancio». Per il governo di centrosinistra è un risparmio da 35 miliardi di euro. Due anni dopo, la Consulta salva il «bonus Poletti» e consente al governo Gentiloni di risparmiare l’80% delle rivalutazioni mancate. Questa sentenza del 25 ottobre 2017 sancisce che il pareggio di bilancio prevale sui diritti dei pensionati e dei lavoratori. Poi arrivano le mediazioni, chiamiamole così. Ai tempi di Giuseppe Conte, la Corte Costituzionale afferma che il legislatore può tranquillamente raffreddare la rivalutazione automatica delle pensioni più elevate e di imporre un sedicente prelievo di solidarietà, a condizione che le misure non durino più di tre anni (sentenza 234 del 2020). Viene bocciata solo la durata quinquennale del contributi di solidarietà che scattano sopra. 100.000 euro. In altre sentenze, la «legittimità» dei blocchi viene indicata in non più di due anni. Insomma, tutto si può fare, basta poter dire che è «straordinario». Peccato che a Bruxelles chiedano sempre misure senza il bollino di scadenza.Da ultimo, con sentenza del gennaio 2025, la Consulta ha promosso il governo attuale affermando che il «raffreddamento» delle pensioni più alte operato nel biennio 2023-2024 è legittimo, perché la minore rivalutazione per gli assegni superiori a quattro volte il minimo «non ha leso i principi fondamentali» e la parità di trattamento. Insomma, partiti per non perequare, alla fine i giudizi costituzionali perequarono, ma per loro stessi.