2025-03-17
Alessandra Ghisleri: «Chi vuole i negoziati sale nei sondaggi»
Alessandra Ghisleri (Ansa)
L’esperta: «Lega e M5s registrano incrementi, piccoli ma costanti. Un italiano su due è ancora contrario all’invio di armi, e il 40% ha fiducia in Trump. La guerra preoccupa, però meno di inflazione e sanità».Alessandra Ghisleri, le ultime rilevazioni di Euromedia Research, l’istituto che dirigi, rilevano e rivelano come gli italiani iniziano ad essere seriamente preoccupati per una possibile guerra. Sbaglio? Siamo cioè in presenza di un cambio di percezione rispetto ai temi classici quali: lavoro, sicurezza, tasse e pensioni?«Sì, c’è un cambiamento, ma va letto con attenzione. Gli italiani guardano prima di tutto al loro “giardino”; al loro quotidiano. Quando chiediamo loro quali siano i problemi più importanti, al primo posto emerge sempre il costo della vita: bollette alle stelle; i prezzi dei generi alimentari che rincarano. L’inflazione che morde. Negli ultimi due anni, al secondo posto è salita la sanità: liste d’attesa infinite, pronto soccorso al collasso, difficoltà di accesso alle cure. È un tema che ormai tallona il costo della vita. È il sintomo di un disagio profondo. Poi ci sono fisco e lavoro: la paura di non farcela a pagare le tasse, di non trovare un’occupazione stabile, o di vedere i propri figli arrancare in un mercato del lavoro sempre più precario e infine la sicurezza ritornata come voce di grande attualità».L’immigrazione?«Di recente, l’immigrazione è tornata in auge, non solo per i numeri, ma per la percezione di un caos gestionale: manca una linea chiara, un’unione di intenti in Europa. Le ultime dichiarazioni di Ursula von der Leyen – che ha proposto uno statuto unico per entrate e uscite – sembrano un tentativo di risposta, ma gli italiani restano scettici. Sebbene compiaciuti del fatto che una risposta dall’Europa, dopo infinite sollecitazioni, stia comunque arrivando. E si arriva alla guerra. Compare tra i primi dieci punti, ma non è una priorità in assoluto. È un conflitto al centro dell’Europa che vediamo come “lontano”. Una guerra che abbiamo pensato di combattere “per procura”. E c’è un dato stabile dall’inizio del conflitto: dal 2022, il 50% degli italiani – un cittadino su due – è contrario all’invio di armi. Non è cambiato questo atteggiamento della maggioranza degli italiani: preferiscono che i pochi soldi disponibili restino qui, per bollette, sanità, lavoro»Questo scetticismo sulla guerra si riflette nei sondaggi elettorali? Alcuni partiti sembrano guadagnare terreno su questi temi. «Esatto. Chi cavalca questa linea – “i soldi a casa nostra, non alle armi” – ne beneficia. Parlo principalmente di M5s e Lega. Registrano piccoli incrementi, anche solo decimali, ma costanti. Hanno un messaggio chiaro e riconoscibile: investiamo su bollette, sanità, lavoro, non su conflitti altrui. Questo li distingue da altri partiti la cui posizione meno chiara talvolta genera confusione. Penso al centrosinistra: addirittura dentro lo stesso Pd trovi posizioni diverse sull’Ucraina, dai falchi ai pacifisti. Penso al centrodestra, dove le dichiarazioni di un leader come Salvini spesso cozzano con quelle di un altro come Tajani o Meloni. Il cittadino guarda e si chiede: “Ma cosa vogliono davvero?”. Intanto, sullo sfondo, c’è Putin che minaccia bombe atomiche ogni due per tre, e dall’altra parte Trump che un giorno parla di pace e il giorno dopo di dazi».La confusione regna sovrana…«Siamo cresciuti con l’idea dell’America come baluardo di sicurezza, dai tempi della Seconda guerra mondiale. Una sorta di “salvatore” che vegliava su di noi. Ora quel mito vacilla: l’Europa non è unita. Macron va per conto suo, noi arranchiamo. Questo alimenta un senso di impotenza. La guerra diventa così un rumore di fondo, non una priorità, ma un timore che cresce quando i leader mondiali alzano i toni».Nelle tue rilevazioni emergono due aspetti su Trump che mi intrigano. Per gli italiani è un «tipaccio», uno che brutalizza gli altri. Ma molti pensano che possa portare la pace in Ucraina. È una contraddizione o c’è una logica? «Messa così sembra una contraddizione. A me sembra però più una tensione. Trump gode di un vantaggio: ha spostato il focus sulla pace. Da quando è tornato alla Casa Bianca, si parla più di negoziati che di escalation. La sua comunicazione è martellante: “Farò la pace, parlerò con Putin, risolverò tutto”. È un messaggio che piace, specie a chi è stanco della guerra. Nei nostri sondaggi, il 40% degli italiani – soprattutto nel centrodestra – vede in lui una chance per l’Ucraina. Tra gli elettori di Lega e Fratelli d’Italia, la fiducia che lui possa realizzare qualcosa di utile viaggia intorno al 60%. Ma c’è il rovescio della medaglia: complessivamente, solo il 30% a livello nazionale si fida davvero di lui. L’opposizione lo massacra: fra gli elettori del Pd siamo al 91-92% di sfiducia. Per i Verdi e la sinistra all’87%. Persino Italia Viva è tiepida. Anche chi apprezza il discorso sulla pace considera comunque Trump inaffidabile. Le sue esternazioni – un giorno amico di Zelensky, il giorno dopo di Putin – confondono. Gli italiani lo vedono come un “bullo” che sicuramente ha acceso il tema della pace e per questo potrebbe risolvere il conflitto, ma non si fidano che lo faccia sul serio. È speranza mista a scetticismo, una percezione ambivalente che riflette l’imprevedibilità del personaggio».Hai usato un aggettivo che mi ha colpito: «saturante». La strategia comunicativa di Trump è pervasiva. Ieri parla di Gaza e il giorno prima di Panama. Poi la Groenlandia. Poi l’Ucraina. Infine, i dazi all’Ue. Non gli si sta dietro.«Sì, “saturante” è il termine giusto. Trump invade lo spazio mediatico, lo occupa tutto. Biden era pacato, a volte confuso, preso in giro per le gaffe. L’immagine che Trump offre di sé è l’opposto: l’uomo forte che sopravvive a un attentato, che attacca senza filtri, che propone soluzioni drastiche. Usa una comunicazione ripetitiva, ad alto impatto emotivo – rabbia, paura, entusiasmo – che sovraccarica il pubblico mondiale».Post quasi infantili, quelli di Trump.«Qui ci svegliamo con i suoi tweet: “Dazi al 200% sul vino europeo”. “Se toccate il whisky americano, vi colpisco”. Non si limita a contestare idee, ma le persone e le istituzioni. Crea nemici – l’Europa, i democratici, la Cina – da abbattere. È una tecnica, quella della sovraesposizione. Il suo messaggio diventa un mantra che divide e polarizza l’opinione tra chi lo ama e chi lo odia. Ma gli assicura visibilità costante. Pensa poi al fuso orario: lui twitta di notte, noi apriamo gli occhi e siamo già bombardati dalle sue nuove esternazioni. È provocatorio, a volte infantile – “Io sono il più forte, voi no” – ma funziona: detta l’agenda, dal Medio Oriente ai dazi, dalla Russia a Panama».Di là c’è Putin…«Che con la sua freddezza glaciale e le minacce tetre, ha un impatto diverso, più cupo. Trump, invece, è un rullo compressore che mette in difficoltà gli avversari: ogni mattina le agenzie corrono dietro alle sue sparate».Torniamo all’Italia. Hai detto che Lega e M5S possono rosicchiare voti su questi temi. Pensi che peschino tra gli astenuti o tra i votanti? C’è movimento tra gli elettori? «Il grosso del movimento è interno alle coalizioni. Tra centrodestra e centrosinistra lo scambio è raro, quasi impossibile. Calenda e Renzi ci hanno provato con il “terzo polo”, prendendo voti da entrambi gli schieramenti – un buon 7-8% nel 2022 – ma poi si sono persi nelle loro divisioni. Il M5s ha un bacino di voti “parcheggiati” nel non voto: quelli delusi dal sistema, che nel 2018 volevano cambiarlo e ora sono in standby, pronti a tornare se il messaggio è giusto. La Lega, invece, ha un’attrazione forte al Nord, specie tra chi cerca di tutelare interessi locali. Con Fratelli d’Italia c’è poco interscambio, magari un 1-2% nelle regioni settentrionali, ma resta limitato. C’è un tema di difesa degli interessi locali cui la Lega è chiaramente sensibile. Pensa all’agroalimentare, un settore che l’Istat certifica attivo e vitale: se Trump lo attacca con i suoi dazi – e lo sta minacciando – i piccoli coltivatori sussultano. Chi li difende, e prende le loro parti come la Lega, guadagna punti. Ma non dimentichiamo che in questa fase parliamo di voto di opinione, non da campagna elettorale. I giudizi oscillano in base agli eventi. Oggi ti votano, domani no, dipende da cosa accade giorno per giorno. È una gara a chi intercetta meglio il malcontento. I partiti faticano a dare linee chiare: troppi input – guerra, Trump, crisi – li fanno sbandare, e l’elettore si sposta e muove di conseguenza». Ultima domanda. Veniamo da anni di partecipazione al voto in calo, ma in Francia e Germania si vede una ripresa. Può succedere in Italia? O l’astensione rimane alta? «In Francia e Germania la partecipazione è cresciuta a causa della polarizzazione e della paura del nemico. Prendi Marine Le Pen: al primo turno fa il pieno, al secondo tutti si mobilitano contro di lei. Macron ha giocato su questa carta della paura dell’avversario ben tre volte. Nel 2017, nel 2022 e nel 2024. Forse anche nel 2027 in qualche modo ci proverà. La strategia funziona: il “nemico” spinge gli elettori a mobilitarsi spingendo sull’emozione della paura degli avversari. In Germania, AfD sale, ma il “tutti contro” li frena e alza l’affluenza. È una dinamica chiara: un avversario forte crea un “o con me o contro di me”. Berlusconi lo fece nel 2001: Panebianco lo scrisse prima del voto, “ha diviso il campo”, e l’affluenza toccò l’82%. In Italia manca questo oggi. Il sistema in buona parte proporzionale diluisce lo scontro. Non tutti i partiti hanno posizioni nette– un giorno pro Ucraina, un giorno no – e l’elettore si ritira. Gli astenuti, che nel 2022 erano al 36 per cento, non vedono un “nemico” o un “salvatore” chiaro. Senza una spinta emotiva forte, restano a casa»
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.