
Certificazione anti deforestazione per i prodotti. L’Italia rischia per il manifatturiero.Il parlamento dell’Unione europea e gli Stati membri hanno raggiunto un accordo per vietare nei Paesi dell’Unione l’importazione di prodotti che contribuiscano, direttamente o indirettamente, alla deforestazione. Detta così difficile essere contrari, nessuno vuole distruggere l’habitat dell’orangutan o della tigre della Malesia (Paese peraltro già quasi completamente deforestato) per far posto a piantagioni di olio di palma fondamentali per i biscotti o le creme di cioccolato così presenti sulle tavole di tutto il mondo. Come sempre la realtà è molto più complessa; la Commissione inizialmente aveva inserito tra i prodotti oggetto del regolamento bovini, cacao, caffè, olio di palma, soia e legno, compresi i prodotti industriali ottenuti con queste materie prime come pelle, cioccolato e mobili, per poi aggiungere gomma, carbone, carta e una serie di derivati dall’olio di palma, che non viene utilizzato solo per la Nutella, ma per mille applicazioni fuori dal settore alimentare come ad esempio dentifrici, saponi, polveri detergenti e prodotti cosmetici in generale. Il divieto si trasformerà, per le aziende, nell’obbligo di emettere una «due diligence» sull’origine delle merci. Origine che potrà essere indagata dalle autorità competenti dell’Ue attraverso l’accesso alle informazioni pertinenti fornite dalle stesse società, come le coordinate di geolocalizzazione. Sempre le agenzie di controllo potranno inoltre utilizzare strumenti di monitoraggio satellitare e analisi del Dna per verificare la provenienza dei prodotti. La Commissione classificherà i Paesi e le regioni a rischio e la percentuale di controlli sugli operatori sarà effettuata in base al livello di rischio del paese: 9% per il rischio alto, 3 % per rischio standard e 1% per rischio basso. E non solo: la Commissione sta valutando inoltre anche la necessità di obbligare gli istituti finanziari dell'Ue a fornire servizi finanziari ai propri clienti solo se ritengono che vi sia solo un rischio trascurabile che tali servizi non portino alla deforestazione.Probabilmente chi scrive queste normative non ha mai lasciato le comode stanze del Parlamento europeo e non ha mai visto una piantagione di palma, di cacao, di pulp and paper in Indonesia, nell’Amazzonia brasiliana o in Costa d’Avorio. E soprattutto non ha idea di come si modificherebbero i prezzi dei prodotti finiti che arrivano nei nostri supermercati se un approccio di questo tipo venisse implementato fino in fondo. L’utopia di un mondo senza diseguaglianze rischia di crearne sempre di più, visto che l’illusione europea è appunto solo qualcosa che non può essere realizzato se non a prezzo di una distruzione totale di molte filiere industriali, non solo agroalimentari con conseguente disoccupazione di massa e povertà, sia nei Paesi di origine che nei Paesi di trasformazione. L’Italia in questo sarebbe ancora una volta tra i Paesi più colpiti rappresentando la seconda industria manifatturiera d’Europa, leader proprio in quei settori che sarebbero interessati da questa normativa. Le alternative sono due; o l’Europa rinuncia a prodotti che non rispettano standard ambientali e soprattutto sociali irrealizzabili, prodotti non solo che utilizzano l’olio di palma, diventato suo malgrado il responsabile di tutte le deforestazioni del mondo, quando in realtà ha le stesse responsabilità di banane, ananas, caffè, cacao, avocado, etc, per non parlare della carne responsabile del 60/70% della deforestazione dell’Amazzonia, diventando un continente autarchico; oppure prende atto che esportare valori in Paesi e culture che questi valori non li hanno genera gli stessi disastri ottenuti da chi ha voluto esportare la democrazia con le guerre. La Ue prevede un sistema di multe pesanti per le aziende non in regola, ponendo l’Europa sempre più ai margini di un sistema di potere economico che si è velocemente modificato negli ultimi anni e che con la guerra in Ucraina probabilmente vedrà delinearsi un ulteriore cambiamento negli assetti di potere internazionali, un assetto di potere in cui l’Europa dei diritti e delle tutele senza più industria sarà solamente un mercato da spolpare.
Da sinistra: Piero De Luca, segretario regionale pd della Campania, il leader del M5s Giuseppe Conte e l’economista Carlo Cottarelli (Ansa)
La gabella ideata da Schlein e Landini fa venire l’orticaria persino a compagni di partito e possibili alleati. Dopo la presa di distanza di Conte, il dem De Luca jr. smentisce che l’idea sia condivisa. Scettici anche Ruffini (ex capo dell’Agenzia delle entrate) e Cottarelli.
«Continuiamo così: facciamoci del male», diceva Nanni Moretti, e non è un caso che male fa rima con patrimoniale. L’incredibile ennesimo autogol politico e comunicativo della sinistra ormai targata Maurizio Landini è infatti il rilancio dell’idea di una tassa sui patrimoni degli italiani. I più ricchi, certo, ma anche quelli che hanno già pagato le tasse e le hanno pagate più degli altri.
Jannik Sinner (Ansa)
All’Inalpi Arena di Torino esordio positivo per l’altoatesino, che supera in due set Felix Auger-Aliassime confermando la sua solidità. Giornata amara invece per Lorenzo Musetti che paga le fatiche di Atene e l’emozione per l’esordio nel torneo. Il carrarino è stato battuto da un Taylor Fritz più incisivo nei momenti chiave.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.






