2021-10-31
Al Trattato del Quirinale serve il triangolo
Sergio MAttarella e Emanuel Macron (Ansa)
La «cooperazione bilaterale rafforzata» tra Italia e Francia, per non essere un guinzaglio tenuto da Parigi, deve chiudere l’intesa anche con la Germania. Documento con lati ambigui. E si sovrappone ad accordi Ue e multilaterali come quelli affrontati dal G20«Abbiamo un destino comune che si tratti di Libia, Africa, immigrazione, grandi progetti industriali. Se ci mettiamo in competizione tra di noi siamo perdenti. È forse la lezione più amara che si può trarre da quello che è successo in Libia dove alla fine sono Turchia e Russia che si sono avvantaggiate delle rivalità tra italiani e francesi», ha recentemente spiegato Sandro Gozi sulle colonne di Repubblica, commentando l’importanza del Trattato del Quirinale, l’ampio documento bilaterale che mira a legare a doppia mandata Italia e Francia. Di certe cose Gozi se ne intende, essendo stato prima un sottosegretario della Repubblica italiana per poi valicare le Alpi e finire all’europarlamento sotto le insegne francesi di En Marche. «Una parte importante del Trattato riguarda l’integrazione della Difesa e lo sviluppo di una visione comune. Credo che in Italia siano maturi i tempi, in particolare dopo quello che è accaduto in Afghanistan», ha concluso. Parole che devono essere lette con attenzione. Non solo perché sono datate ottobre e quindi molto recenti rispetto al G20 in corso e contemporanee alle riunioni per definire il testo del trattato. Ma anche perché Gozi esprime in italiano ciò che la Francia desidera. In primis sulla Libia e sul resto del Mediterraneo. Ha ragione Gozi quando afferma che ormai Tripoli è più affare turco che nostro, ma trasparenza vorrebbe ricordare che se la Libia è un cimitero è perché la Francia, approfittando del cambio di strategia imposto da Barack Obama, ha deciso di eliminare Muhammar Gheddafi e di affossare l’accordo di amicizia tra Libia e Italia. Accordo ratificato dai due Parlamenti e ancora oggi in vigore. L’ha fatto per prendere il nostro posto a Tripoli. Adesso Emmanuel Macron sa di vivere il momento di maggiore debolezza nel Sahel e nell’intera Africa e per questo vuole accelerare. Macron sa anche che gli Usa sono stati chiari nei confronti di Roma e di Parigi. Washington ha più volte fatto pressione perché torni la pace di qua e di là delle Alpi. Su questa ambiguità e sulle costanti pressioni del partito francese radicato in Italia si gioca la partita del Trattato del Quirinale. Sembra dunque di capire che tutte le parti in causa vogliano portarlo a termine entro l’anno. Comprensibile per certi versi. Il governo Draghi ha il vento in poppa e può sfruttare la situazione di forza geopolitica in un rapporto bilaterale che su tutti gli altri fronti (industriale, Difesa, spazio ed esteri) ci vede più deboli. La Verità è venuta a conoscenza delle bozze del testo e numerosi passaggi sono preoccupanti. Innanzitutto si sovrappongono a schemi e accordi europei e multilaterali come quelli affrontati in queste ore in occasione del G20. Ad esempio l’industria della Difesa e il settore energetico. Ma anche l’accordo di Parigi rispetto a tutti gli accordi multilaterali dell’Ue sul commercio. Se è vero che anche Joe Biden avrebbe detto un sì a favore della creazione di un esercito unico europeo, come può andare in parallelo la creazione di una struttura diplomatica franco-italiana con tanto di intelligence condivisa e missioni a Sud del Mediterraneo, rispetto a un progetto più ampio per giunta da incastrare nella Nato? Lo stesso discorso vale per il comparto energetico. La transizione si decide in Europa però dentro il perimetro imposto dai francesi per via del trattato? Stesso discorso per l’immigrazione, ma anche per la pesca o l’agroalimentare. Insomma, al momento gli interrogativi bollenti sono troppo numerosi per non chiedersi se valga la pena andare avanti. Al tempo stesso esperti del tema a conoscenza del dossier ci spiegano che i trattati devono essere spinti da chi è in posizione di debolezza e quindi dall’Italia. È meglio che lo faccia il contraente più debole perché non toglie spazio rispetto alla sua debolezza che già esiste. Sì, ma allora l’altra domanda da porsi in queste ore è: che tipo di Europa ha in mente chi firma questo trattato? È vero che il nostro Paese non ha particolari interessi con Olanda, Polonia o altre euronazioni del Nord e quindi anche se divergessero ancor più non cambierebbe granché alla nostra economia. Ma il vero convitato di pietra è la Germania. Dunque, se proprio volessimo andare avanti nella direzione di Parigi dovremmo necessariamente immaginare di chiudere un accordo anche con Berlino. Si formerebbe un triangolo e di certo sarebbe una figura geometrica molto più equilibrata rispetto al Trattato del Quirinale. Che di per sé rischia di essere solo un guinzaglio. La forza militare e quella finanziaria pendono tutte Oltralpe. Negli ultimi anni, la gran parte delle acquisizioni sono state francesi su territorio italiano. Quando Fincantieri ci ha provato ha trovato lo sbarramento di Macron. Un trattato degno di tale nome dovrebbe permetterci di avere un po’ di reciprocità. Visto che l’industria della Difesa non riesce a sovrastare quella francese, spetterà ad altri settori. Aziende come Enel, banche come Intesa dovrebbero potere fare shopping di là dalle Alpi. Altrimenti il patto non varrà la candela. E il nostro Paese resterà un terreno dove le imprese parigine potranno pascolare raccogliendo i frutti dei consumi interni tricolore.