2022-04-25
Al mini congresso Speranza dice grazie a D’Alema, pifferaio della sinistra in armi
Roberto Speranza e Massimo D'Alema (Ansa)
Insulti alla Verità per l’«ignobile fango» sul lìder Massimo che nel lockdown trovò il modo di far girare l’economia bellica.«Un abbraccio a D’Alema per l’ignobile fango che gli è arrivato nelle ultime settimane». Affabile come una variante Omicron, Roberto Speranza detta la linea alla sinistra delle mascherine inservibili e delle armi alla Colombia: negare la realtà e compattare il popolino rosso attorno alla buona vecchia disinformatija sovietica. Lo fa con il consueto sorriso da paresi facciale al termine del surreale congresso romano di Articolo 1, organizzato attorno a un tavolo da tressette per celebrare il ministro della pandemia e il suo principale mentore (l’ex lider Massimo), che con sagacia imprenditoriale da lobbista ha trovato il modo di far girare l’economia bellica anche durante le ondate di virus cinese.Dopo aver insultato La Verità, colpevole a suo dire di avere inchiodato l’ex premier alle sue responsabilità politico-commerciali negli affari con la Colombia e di avere per due anni tenuto sulla corda il peggior ministro della Salute dell’Italia repubblicana, Speranza ha incassato la rielezione a segretario del piccolo partito (sondaggi all’1,7%) con facilità irrisoria: la mozione dell’autocrate di Potenza era l’unica sul tavolo. «C’è tanta sinistra oltre le nostre stanze», era lo slogan del comitato centrale, ed effettivamente sono sfilati più oratori sul palco che spettatori in tribuna (eccetto la consueta claque di happy few). Nella due giorni del Marx Pride sono passati a curiosare proprio tutti: Enrico Letta, Carlo Calenda, Giuseppe Conte. Per un motivo molto semplice che Konrad Lorenz chiamerebbe imprinting: arrivano tutti da lì. Dal modernariato rosso antico che il Pd declina in chiave poltronista-globalista, i 5 stelle in chiave movimentista-ecologista, i bersaniani in chiave nostalgica e i cravattoni di Azione senza chiavi, semplicemente sfruttando il vento socialdemocratico a seconda del refolo più conveniente al suo Pericle dei Parioli in monopattino.Qualcosa di straniante e funerario ha percorso gli interventi di tutti, una malinconia per qualcosa che finisce. È destinato a finire Articolo 1, che presto confluirà nel campo largo del Nazareno per volontà del segretario (a caccia di un futuro politico dopo il taglio dei parlamentari) e del guru con i baffi, per il quale il destino del partitino è compiuto, visto che all’orizzonte non c’è più l’odiato rottamatore Matteo Renzi. Ed è destinata a finire anche l’emergenza che ha tenuto in piedi le quattro sinistre nella terrificante era Speranza: dal 1° maggio dovrebbero scomparire quasi del tutto le mascherine al chiuso, dovrebbe diventare carta straccia il green pass. E sua maestà la pandemia - grande elettore della sinistra in lockdown permanente di idee - dovrebbe ritirarsi dagli orizzonti italiani come un vampiro all’alba.Poiché l’improvvido Speranza ha evocato le armi, balza all’occhio il silenzio assordante dei leader della gauche istituzionale, quelli che dicono di credere nelle funzioni del Parlamento solo quando il governo lo esautora. Sulle tresche sudamericane la Commissione difesa del Senato ha aperto un’inchiesta, lo scandalo è finito in procura ma né Letta, né Calenda, né Conte hanno ritenuto di prendere le distanze dagli affari di D’Alema. Ha colto bene il vulnus Maurizio Gasparri: «Capisco l’imbarazzo di Speranza, leaderino di un micropartito, che solidarizza con D’Alema parlando di fango. L’imbarazzo sta nel fatto che adesso D’Alema si occupa di commercio di armi mentre Speranza vorrebbe apparire come un leader pacifico e pacifista. D’Alema ci deve spiegare che cosa ha fatto con i colombiani, coinvolgendo Fincantieri e Leonardo in vicende inquietanti e opache riguardanti il commercio internazionale di armi. Qui non si parla di fango ma di soldi, Speranza e D’Alema dovrebbero dire qualcosa al Paese».Il vicerè di Gallipoli non ci pensa neppure, nel suo intervento preferisce nuotare nei massimi sistemi della geopolitica russo-ucraina. Ma anche qui fatica a uscire dalla solita, forte contraddizione: ai campioni della sinistra guerrafondaia spiega che «questa è una guerra europea», che «la Ue sta spingendo Vladimir Putin dentro l’influenza cinese», che «la più grande democrazia del mondo, l’India, non ha messo le sanzioni alla Russia» e che «viene avanti una visione in cui il pensiero critico non debba avere diritto di cittadinanza». È bizzarro il contorcersi sul palco e in platea, il dover ubbidire acriticamente a Joe Biden da parte di chi mandava il servizio d’ordine della Cgil a tenere a bada le marionette dei centri sociali mentre (storicamente era l’altroieri) assediavano Camp Darby, Aviano e la base americana di Vicenza.Predicare bene e razzolare male emettendo cortine fumogene è la consueta strategia della casa rossa. «Non si supera la crisi della democrazia mettendo l’elmetto», alza la voce D’Alema sperando che il Covid con le varianti Speranza abbia cancellato la memoria collettiva. Ha ragione, lui non si occupa di elmetti, neppure di quelli nazi del battaglione Azov. Lui si occupa fra gli applausi (tiepidi) di aerei e navi per 80 milioni di euro. Quanto al resto, Belli ciao.
Ursula von der Leyen e Iratxe García Pérez (Ansa)