True
2021-07-05
Aifa, farmaci e misteri. Poca trasparenza nella nostra agenzia che si occupa delle medicine
Avrebbe dovuto essere il cambio di paradigma, la rivoluzione che avrebbe reso i trial clinici trasparenti, consultabili e accessibili a tutti, persino ai pazienti. Questa, almeno, era la speranza ai tavoli europei, quando nel 2014 è stato approvato il nuovo regolamento sulle sperimentazioni dei medicinali per uso umano. «Si dovrebbero tutelare i diritti, la sicurezza, il benessere dei soggetti, nonché produrre dati affidabili e robusti», si legge nel testo pubblicato in Gazzetta.
Già, i dati: per garantire un vero progresso della scienza, sarebbe necessario che le informazioni prodotte non solo fossero corrette, ma che i ricercatori si premurassero anche di pubblicarle. E invece, nonostante i proclami, non è ancora così. Almeno a giudicare dai «buchi» scoperti nel registro europeo delle sperimentazioni da Transparimed e altre tre organizzazioni internazionali che monitorano il grado di apertura del mondo scientifico.
Nel report che verrà diffuso oggi in tutta Europa, a cui La Verità ha avuto accesso in esclusiva, sono stati analizzati gli studi promossi da università, aziende farmaceutiche, ospedali e fondazioni di 14 Paesi sparsi in tutta Europa: in almeno 5.976 trial, i promotori non avrebbero rispettato le norme di trasparenza europee, omettendo la pubblicazione dei risultati su Eudract, il registro su cui tutti gli sponsor sono obbligati a caricare gli esiti dei loro studi a un anno di distanza dal termine delle sperimentazioni. Di questi, 1.221 sono riconducibili a promotori italiani.
Sul totale delle sperimentazioni approvate dall'Agenzia italiana del farmaco almeno fino al 2015, gli esiti risultano correttamente pubblicati solo nel 17% dei casi. Tutti gli altri restano ancora nell'ombra. Come lo studio «Tokio», condotto dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano per «valutare la sicurezza della terza linea di trattamento» di un farmaco inibitore «dopo due precedenti terapie in pazienti affetti da carcinoma del rene». Il trial, avviato nel 2014, è terminato prematuramente.
A oggi, su Eudract non esistono evidenze di quella sperimentazione, che, seppur parziali, potrebbero risultare utili per evitare sprechi di energie e di risorse. Anche Lofarma spa, azienda farmaceutica con sede a Milano, compare nella lista degli sponsor alle prese con più di un problema con il registro europeo. Secondo i numeri raccolti da Nicholas De Vito, ricercatore dell'Università di Oxford, in almeno cinque casi Lofarma non avrebbe correttamente pubblicato i dati delle sperimentazioni condotte e terminate negli ultimi anni. Tra queste, le analisi sulla «rinocongiuntivite allergica indotta da polline». Per altri otto trial, invece, non è possibile stabilire se la pubblicazione delle evidenze sia obbligatoria oppure no, dal momento che non c'è una data di completamento, sebbene gli studi risultino terminati. In una lettera congiunta, Commissione europea, Agenzia europea del farmaco e i direttori delle Autorità regolatorie, tra cui l'italiana Aifa, hanno chiesto ai promotori una maggiore aderenza alle regole comunitarie.
«Minuziosità e trasparenza nei trial clinici sono essenziali per proteggere la salute pubblica e promuovere le innovazioni nel campo della ricerca», si legge nel testo della missiva. Peccato che, a volte, siano le stesse agenzie a «inceppare» il sistema. Il 14% delle sperimentazioni approvate da Aifa, per esempio, risultano invisibili sul registro europeo, con grave danno per i ricercatori e per chi la ricerca la sovvenziona. Peggio fanno solo le agenzie di Polonia e Francia. Chi conosce il funzionamento del database, sospetta che le sperimentazioni mancanti siano quelle inviate in formato cartaceo ad Aifa, prima dell'introduzione delle attuali modalità di caricamento digitale. «Le autorità di regolamentazione devono smettere di chiudere un occhio e agire immediatamente per garantire che tutte le informazioni degli studi clinici siano rese pubbliche il più rapidamente possibile», attacca Till Bruckner, fondatore di Transparimed. «Aifa deve assumersi la responsabilità di garantire che tutti seguano le regole. Piuttosto che aspettare che Bruxelles difenda gli interessi dei pazienti italiani, l'Agenzia potrebbe scrivere a tutti i promotori di cui ha approvato le sperimentazioni per ricordare loro gli obblighi da rispettare, fino a quando tutti gli studi non avranno riportato i risultati in modo completo».
I numeri messi in fila dai ricercatori inglesi dimostrano come il ruolo attivo delle agenzie di regolazione influisca sul rispetto delle norme da parte dei promotori: nel Regno Unito, dove l'agenzia nazionale ha messo in piedi un sistema di revisione di tutte le sperimentazioni cliniche elencate sul registro europeo, la percentuale dei trial di cui sono stati pubblicati i risultati è salita al 64% del totale, più del triplo rispetto a quella raggiunta in Italia. «Non abbiamo mai ricevuto, né a livello formale né a livello informale, alcun sollecito a pubblicare i risultati, la cui responsabilità rimane comunque a carico degli sperimentatori», spiega Marco Bregni, che dirige il Centro per i trial clinici dell'Ospedale San Raffaele di Milano. Come lui, tanti altri direttori scientifici e ricercatori contattati dalla Verità: «Come agenzia di regolazione, Aifa potrebbe quantomeno richiamare l'attenzione dei promotori inadempienti», ragiona Rita Banzi, dell'Istituto Mario Negri. «Certo, non è semplice farlo: bisognerebbe avere un sistema di monitoraggio collaudato, che al momento manca. Gli studi sono molti, per cui i motivi dei ritardi nel caricamento possono essere molteplici».
Ecco perché 18 gruppi di ricerca europei auspicano l'implementazione di una serie di standard minimi per incentivare il rispetto delle regole europee. Lo hanno messo nero su bianco in una comunicazione inviata al capo delle Agenzie di regolazione europee, Karl Broich. Tra le altre cose, si chiede che alle agenzie nazionali venga riconosciuto il compito di contattare gli sponsor in ritardo con la pubblicazione dei risultati e quello di aggiornare in maniera sistematica lo stato di completamento delle varie sperimentazioni. «L'adozione di questi standard richiede un impiego minimo di risorse, ma è in grado di generare benefici sostanziali ai pazienti e ai sistemi sanitari di tutta Europa», scrive Bruckner. Entro il 31 gennaio del 2022, secondo quanto annunciato da Ema, dovrebbe finalmente entrare in funzione il nuovo Sistema informativo per i trial clinici, grazie al quale il Regolamento del 2014 troverebbe piena applicazione, ma che finora è rimasto lettera morta. «Non sappiamo ancora come il nuovo sistema interagirà con il portale gestito da Aifa», spiega Cecilia Canzonieri, membro del Centro per i trial clinici del San Raffaele. «Ci sono alcune implementazioni che lasciano ben sperare: nel nuovo registro, i promotori saranno obbligati, fin dalle prime fasi della sperimentazione, a rendere pubbliche molte più informazioni rispetto a oggi e a fornirle anche in una versione comprensibile ai pazienti. Chi non risulterà in regola con gli standard di pubblicazione richiesti potrebbe vedersi addirittura bloccare l'iter della sperimentazione. Anche i report di chiusura dovranno essere presentati in un formato tale da rendere i risultati accessibili e comprensibili a tutti».
«Se big pharma non si adegua a rischiare sono i pazienti»
«Il baricentro della ricerca va spostato: oggi a dettare le regole sono i promotori, soprattutto le case farmaceutiche e, in misura minore, i ricercatori accademici. Perché le sperimentazioni siano davvero utili, il sistema va aperto anche ai pazienti, le cui necessità devono essere allineate a quelle degli altri portatori di interessi».
Sulla trasparenza delle sperimentazioni cliniche, la neurologa Maria Grazia Celani ha concentrato la gran parte del lavoro svolto negli ultimi anni. Come ricercatrice e come presidente dell'Associazione Alessandro Liberati, costola italiana di Cochrane, rete no profit nata con l'obiettivo di diffondere informazioni sull'efficacia e l'efficienza degli interventi sanitari.
Dott.ssa Celani, qual è il suo giudizio sul grado di trasparenza delle sperimentazioni cliniche condotte dai promotori italiani?
«L'impalcatura c'è, ma non viene rispettata».
Circa 6.000 trial, a livello europeo, restano ancora in un'area grigia, dal momento che i risultati non risultano correttamente caricati sul registro Eudract, gestito da Ema.
«Nell'ambito delle sperimentazioni, si può parlare di un pieno rispetto dei principi di trasparenza solo in presenza di quattro punti fondamentali: la registrazione di uno studio; la comprensibilità degli obiettivi e del metodo scelto per raggiungerli; la pubblicazione dei risultati; la chiarezza dei finanziamenti e degli eventuali conflitti di interessi».
Sul terzo punto, la comunità dei ricercatori sembra zoppicare. Almeno a giudicare dalle informazioni ancora mancanti. Per quale motivo, secondo lei?
«Per l'assenza di rigore. In questo, il ruolo di Cochrane è fondamentale. In appoggio a Transparimed, Alltrials e altre associazioni, stiamo lottando per mettere in evidenza la mancata emersione degli studi e risolvere l'inottemperanza dei vari sponsor al Regolamento Ue del 2014. È necessario che tutti i trial realizzati con una buona metodologia abbiano la dignità di “esistere", anche quelli che falliscono nel dimostrare l'efficacia di un intervento. Il mancato rispetto delle norme sulla pubblicazione dei dati non è etico, sia nei confronti dei pazienti che del sistema sanitario: in ballo ci sono lavoro e risorse pubbliche».
La mancata pubblicazione dei risultati negativi crea una distorsione della ricerca. Che tipo di rischi ci sono?
«Non pubblicare uno studio che non dimostra l'efficacia di un intervento, evidenziare solamente i risultati positivi o addirittura tralasciare gli effetti collaterali che un farmaco può comportare, spinge la comunità scientifica a considerare efficace qualcosa che non lo è del tutto o lo è a costo di rischi. Ciò potrebbe farci elaborare raccomandazioni non basate su delle prove, il paziente potrebbe rimetterci in prima persona e i fondi pubblici verrebbero inutilmente investiti».
A rimetterci potrebbero essere anche altri ricercatori?
«Senza dati, potrebbero condurre nuove sperimentazioni su qualcosa che ha già dimostrato di essere inefficace. Se non c'è rigore sulla trasparenza, si riparte sempre da zero».
Un ruolo più attivo da parte delle agenzie di regolazione nazionali può essere uno stimolo per i promotori?
«Le Agenzie dovrebbero sollecitare i vari promotori al rispetto delle norme sulla trasparenza e collaborare al processo di sensibilizzazione che molte associazioni stanno portando avanti. L'educazione di chi compone la catena della ricerca, dai clinici ai ricercatori, per finire con il paziente, è la cosa che conta di più. In Europa non siamo né i primi né gli ultimi: l'Italia è nella media dei Paesi che hanno dei problemi nell'ottemperare agli obblighi di trasparenza, ma sono fiduciosa nel cambiamento».
Riuscirete a convincere gli sponsor?
«C'è un problema molto grande nella condivisione dei dati, soprattutto da parte delle case farmaceutiche. Posso raccontarle della mia personale esperienza di partecipazione all'unico studio randomizzato sponsorizzato, in tandem con una azienda farmaceutica statunitense: nel momento in cui ci si è resi conto che i risultati non erano quelli sperati, l'azienda ha preferito far sparire le evidenze raccolte. Tutto inutile, “pazienti sprecati", obiettivo di ricerca affossato. Per questo, l'agenda delle sperimentazioni va tolta agli sponsor e condivisa tra i vari stakeholder: clinici, ricercatori, decisori e soprattutto pazienti, che devono avere un ruolo anche nella definizione degli obiettivi da perseguire. Il loro punto di vista e le loro esigenze devono essere messe in evidenza, per capire qual è la ricerca più utile oggi».
Mettere in piedi un sistema di incentivi o disincentivi per i promotori può essere utile, secondo lei?
«Personalmente, non la ritengo una chiave di volta. Il motore della ricerca deve essere l'etica, non l'interesse. Non stiamo parlando di un investimento in borsa. La sanità pubblica è equità e universalità nelle cure, è rispetto dei diritti delle persone. La loro disponibilità nel partecipare agli studi di ricerca, il lavoro dei clinici e le conseguenti risorse sanitarie impiegate non possono essere buttati all'aria».
Continua a leggereRiduci
Il regolamento europeo sulle sperimentazioni dei medicinali è stato disatteso in almeno 5.976 trial, rivela una ricerca visionata dalla «Verità». Chi approva i nostri farmaci pubblica i dati in modo corretto solo nel 17 per cento dei casi.La neurologa e ricercatrice Maria Grazia Celani: «Gli studi che non dimostrano l'efficacia di un intervento vanno pubblicati ugualmente, altrimenti si rischia di raccomandare farmaci dannosi».Lo speciale contiene due articoli.Avrebbe dovuto essere il cambio di paradigma, la rivoluzione che avrebbe reso i trial clinici trasparenti, consultabili e accessibili a tutti, persino ai pazienti. Questa, almeno, era la speranza ai tavoli europei, quando nel 2014 è stato approvato il nuovo regolamento sulle sperimentazioni dei medicinali per uso umano. «Si dovrebbero tutelare i diritti, la sicurezza, il benessere dei soggetti, nonché produrre dati affidabili e robusti», si legge nel testo pubblicato in Gazzetta. Già, i dati: per garantire un vero progresso della scienza, sarebbe necessario che le informazioni prodotte non solo fossero corrette, ma che i ricercatori si premurassero anche di pubblicarle. E invece, nonostante i proclami, non è ancora così. Almeno a giudicare dai «buchi» scoperti nel registro europeo delle sperimentazioni da Transparimed e altre tre organizzazioni internazionali che monitorano il grado di apertura del mondo scientifico. Nel report che verrà diffuso oggi in tutta Europa, a cui La Verità ha avuto accesso in esclusiva, sono stati analizzati gli studi promossi da università, aziende farmaceutiche, ospedali e fondazioni di 14 Paesi sparsi in tutta Europa: in almeno 5.976 trial, i promotori non avrebbero rispettato le norme di trasparenza europee, omettendo la pubblicazione dei risultati su Eudract, il registro su cui tutti gli sponsor sono obbligati a caricare gli esiti dei loro studi a un anno di distanza dal termine delle sperimentazioni. Di questi, 1.221 sono riconducibili a promotori italiani. Sul totale delle sperimentazioni approvate dall'Agenzia italiana del farmaco almeno fino al 2015, gli esiti risultano correttamente pubblicati solo nel 17% dei casi. Tutti gli altri restano ancora nell'ombra. Come lo studio «Tokio», condotto dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano per «valutare la sicurezza della terza linea di trattamento» di un farmaco inibitore «dopo due precedenti terapie in pazienti affetti da carcinoma del rene». Il trial, avviato nel 2014, è terminato prematuramente. A oggi, su Eudract non esistono evidenze di quella sperimentazione, che, seppur parziali, potrebbero risultare utili per evitare sprechi di energie e di risorse. Anche Lofarma spa, azienda farmaceutica con sede a Milano, compare nella lista degli sponsor alle prese con più di un problema con il registro europeo. Secondo i numeri raccolti da Nicholas De Vito, ricercatore dell'Università di Oxford, in almeno cinque casi Lofarma non avrebbe correttamente pubblicato i dati delle sperimentazioni condotte e terminate negli ultimi anni. Tra queste, le analisi sulla «rinocongiuntivite allergica indotta da polline». Per altri otto trial, invece, non è possibile stabilire se la pubblicazione delle evidenze sia obbligatoria oppure no, dal momento che non c'è una data di completamento, sebbene gli studi risultino terminati. In una lettera congiunta, Commissione europea, Agenzia europea del farmaco e i direttori delle Autorità regolatorie, tra cui l'italiana Aifa, hanno chiesto ai promotori una maggiore aderenza alle regole comunitarie. «Minuziosità e trasparenza nei trial clinici sono essenziali per proteggere la salute pubblica e promuovere le innovazioni nel campo della ricerca», si legge nel testo della missiva. Peccato che, a volte, siano le stesse agenzie a «inceppare» il sistema. Il 14% delle sperimentazioni approvate da Aifa, per esempio, risultano invisibili sul registro europeo, con grave danno per i ricercatori e per chi la ricerca la sovvenziona. Peggio fanno solo le agenzie di Polonia e Francia. Chi conosce il funzionamento del database, sospetta che le sperimentazioni mancanti siano quelle inviate in formato cartaceo ad Aifa, prima dell'introduzione delle attuali modalità di caricamento digitale. «Le autorità di regolamentazione devono smettere di chiudere un occhio e agire immediatamente per garantire che tutte le informazioni degli studi clinici siano rese pubbliche il più rapidamente possibile», attacca Till Bruckner, fondatore di Transparimed. «Aifa deve assumersi la responsabilità di garantire che tutti seguano le regole. Piuttosto che aspettare che Bruxelles difenda gli interessi dei pazienti italiani, l'Agenzia potrebbe scrivere a tutti i promotori di cui ha approvato le sperimentazioni per ricordare loro gli obblighi da rispettare, fino a quando tutti gli studi non avranno riportato i risultati in modo completo». I numeri messi in fila dai ricercatori inglesi dimostrano come il ruolo attivo delle agenzie di regolazione influisca sul rispetto delle norme da parte dei promotori: nel Regno Unito, dove l'agenzia nazionale ha messo in piedi un sistema di revisione di tutte le sperimentazioni cliniche elencate sul registro europeo, la percentuale dei trial di cui sono stati pubblicati i risultati è salita al 64% del totale, più del triplo rispetto a quella raggiunta in Italia. «Non abbiamo mai ricevuto, né a livello formale né a livello informale, alcun sollecito a pubblicare i risultati, la cui responsabilità rimane comunque a carico degli sperimentatori», spiega Marco Bregni, che dirige il Centro per i trial clinici dell'Ospedale San Raffaele di Milano. Come lui, tanti altri direttori scientifici e ricercatori contattati dalla Verità: «Come agenzia di regolazione, Aifa potrebbe quantomeno richiamare l'attenzione dei promotori inadempienti», ragiona Rita Banzi, dell'Istituto Mario Negri. «Certo, non è semplice farlo: bisognerebbe avere un sistema di monitoraggio collaudato, che al momento manca. Gli studi sono molti, per cui i motivi dei ritardi nel caricamento possono essere molteplici». Ecco perché 18 gruppi di ricerca europei auspicano l'implementazione di una serie di standard minimi per incentivare il rispetto delle regole europee. Lo hanno messo nero su bianco in una comunicazione inviata al capo delle Agenzie di regolazione europee, Karl Broich. Tra le altre cose, si chiede che alle agenzie nazionali venga riconosciuto il compito di contattare gli sponsor in ritardo con la pubblicazione dei risultati e quello di aggiornare in maniera sistematica lo stato di completamento delle varie sperimentazioni. «L'adozione di questi standard richiede un impiego minimo di risorse, ma è in grado di generare benefici sostanziali ai pazienti e ai sistemi sanitari di tutta Europa», scrive Bruckner. Entro il 31 gennaio del 2022, secondo quanto annunciato da Ema, dovrebbe finalmente entrare in funzione il nuovo Sistema informativo per i trial clinici, grazie al quale il Regolamento del 2014 troverebbe piena applicazione, ma che finora è rimasto lettera morta. «Non sappiamo ancora come il nuovo sistema interagirà con il portale gestito da Aifa», spiega Cecilia Canzonieri, membro del Centro per i trial clinici del San Raffaele. «Ci sono alcune implementazioni che lasciano ben sperare: nel nuovo registro, i promotori saranno obbligati, fin dalle prime fasi della sperimentazione, a rendere pubbliche molte più informazioni rispetto a oggi e a fornirle anche in una versione comprensibile ai pazienti. Chi non risulterà in regola con gli standard di pubblicazione richiesti potrebbe vedersi addirittura bloccare l'iter della sperimentazione. Anche i report di chiusura dovranno essere presentati in un formato tale da rendere i risultati accessibili e comprensibili a tutti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/aifa-farmaci-misteri-agenzia-medicine-2653671384.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="se-big-pharma-non-si-adegua-a-rischiare-sono-i-pazienti" data-post-id="2653671384" data-published-at="1625411116" data-use-pagination="False"> «Se big pharma non si adegua a rischiare sono i pazienti» «Il baricentro della ricerca va spostato: oggi a dettare le regole sono i promotori, soprattutto le case farmaceutiche e, in misura minore, i ricercatori accademici. Perché le sperimentazioni siano davvero utili, il sistema va aperto anche ai pazienti, le cui necessità devono essere allineate a quelle degli altri portatori di interessi». Sulla trasparenza delle sperimentazioni cliniche, la neurologa Maria Grazia Celani ha concentrato la gran parte del lavoro svolto negli ultimi anni. Come ricercatrice e come presidente dell'Associazione Alessandro Liberati, costola italiana di Cochrane, rete no profit nata con l'obiettivo di diffondere informazioni sull'efficacia e l'efficienza degli interventi sanitari. Dott.ssa Celani, qual è il suo giudizio sul grado di trasparenza delle sperimentazioni cliniche condotte dai promotori italiani? «L'impalcatura c'è, ma non viene rispettata». Circa 6.000 trial, a livello europeo, restano ancora in un'area grigia, dal momento che i risultati non risultano correttamente caricati sul registro Eudract, gestito da Ema. «Nell'ambito delle sperimentazioni, si può parlare di un pieno rispetto dei principi di trasparenza solo in presenza di quattro punti fondamentali: la registrazione di uno studio; la comprensibilità degli obiettivi e del metodo scelto per raggiungerli; la pubblicazione dei risultati; la chiarezza dei finanziamenti e degli eventuali conflitti di interessi». Sul terzo punto, la comunità dei ricercatori sembra zoppicare. Almeno a giudicare dalle informazioni ancora mancanti. Per quale motivo, secondo lei? «Per l'assenza di rigore. In questo, il ruolo di Cochrane è fondamentale. In appoggio a Transparimed, Alltrials e altre associazioni, stiamo lottando per mettere in evidenza la mancata emersione degli studi e risolvere l'inottemperanza dei vari sponsor al Regolamento Ue del 2014. È necessario che tutti i trial realizzati con una buona metodologia abbiano la dignità di “esistere", anche quelli che falliscono nel dimostrare l'efficacia di un intervento. Il mancato rispetto delle norme sulla pubblicazione dei dati non è etico, sia nei confronti dei pazienti che del sistema sanitario: in ballo ci sono lavoro e risorse pubbliche». La mancata pubblicazione dei risultati negativi crea una distorsione della ricerca. Che tipo di rischi ci sono? «Non pubblicare uno studio che non dimostra l'efficacia di un intervento, evidenziare solamente i risultati positivi o addirittura tralasciare gli effetti collaterali che un farmaco può comportare, spinge la comunità scientifica a considerare efficace qualcosa che non lo è del tutto o lo è a costo di rischi. Ciò potrebbe farci elaborare raccomandazioni non basate su delle prove, il paziente potrebbe rimetterci in prima persona e i fondi pubblici verrebbero inutilmente investiti». A rimetterci potrebbero essere anche altri ricercatori? «Senza dati, potrebbero condurre nuove sperimentazioni su qualcosa che ha già dimostrato di essere inefficace. Se non c'è rigore sulla trasparenza, si riparte sempre da zero». Un ruolo più attivo da parte delle agenzie di regolazione nazionali può essere uno stimolo per i promotori? «Le Agenzie dovrebbero sollecitare i vari promotori al rispetto delle norme sulla trasparenza e collaborare al processo di sensibilizzazione che molte associazioni stanno portando avanti. L'educazione di chi compone la catena della ricerca, dai clinici ai ricercatori, per finire con il paziente, è la cosa che conta di più. In Europa non siamo né i primi né gli ultimi: l'Italia è nella media dei Paesi che hanno dei problemi nell'ottemperare agli obblighi di trasparenza, ma sono fiduciosa nel cambiamento». Riuscirete a convincere gli sponsor? «C'è un problema molto grande nella condivisione dei dati, soprattutto da parte delle case farmaceutiche. Posso raccontarle della mia personale esperienza di partecipazione all'unico studio randomizzato sponsorizzato, in tandem con una azienda farmaceutica statunitense: nel momento in cui ci si è resi conto che i risultati non erano quelli sperati, l'azienda ha preferito far sparire le evidenze raccolte. Tutto inutile, “pazienti sprecati", obiettivo di ricerca affossato. Per questo, l'agenda delle sperimentazioni va tolta agli sponsor e condivisa tra i vari stakeholder: clinici, ricercatori, decisori e soprattutto pazienti, che devono avere un ruolo anche nella definizione degli obiettivi da perseguire. Il loro punto di vista e le loro esigenze devono essere messe in evidenza, per capire qual è la ricerca più utile oggi». Mettere in piedi un sistema di incentivi o disincentivi per i promotori può essere utile, secondo lei? «Personalmente, non la ritengo una chiave di volta. Il motore della ricerca deve essere l'etica, non l'interesse. Non stiamo parlando di un investimento in borsa. La sanità pubblica è equità e universalità nelle cure, è rispetto dei diritti delle persone. La loro disponibilità nel partecipare agli studi di ricerca, il lavoro dei clinici e le conseguenti risorse sanitarie impiegate non possono essere buttati all'aria».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci