2020-07-22
Ai frugali più sconti (a spese nostre)
Mark Rutte (Patrick van Katwijk/BSR Agency/Getty Images)
Mark Rutte e soci incassano il quadruplo dei «rebate» rispetto al precedente bilancio Ue pari a oltre 27 miliardi in sette anni. E chi deve coprire il buco? Tutti gli altri Paesi.«Chi mi dà la cosa più bella che ha, io gli do la cosa più bella che c'ho». Nella notte tra lunedì e martedì si è concluso così, sulla falsariga di una famosa canzone di Claudio Villa, l'interminabile Consiglio europeo chiamato a decidere forma e volume della risposta di Bruxelles alla crisi economica scatenata dalla pandemia. Più che della solidarietà reciproca, cioè, all'insegna del mero scambio tra Stati membri. Per carità, nessuna sorpresa. Proprio ieri, infatti, su queste stesse pagine avevamo pronosticato che una delle principali chiavi di volta del negoziato sarebbe stata per l'appunto la questione relativa ai «rebate», vale a dire gli sconti sulla quota dovuta per il budget Ue. E così puntualmente è stato. Certo, bisogna scorrere fino alla terz'ultima pagina del documento finale, ma è tutto nero su bianco. «Per il periodo 2021-2027 (il lasso temporale del prossimo bilancio dell'Ue, ndr)», si legge al punto 152, «le correzioni una tantum ridurranno la contribuzione in percentuale sul Pil di Danimarca, Paesi Bassi, Austria e Svezia». Guarda caso proprio i quattro «frugali», il cartello che per settimane ostinatamente ha remato contro il Recovery fund. Niente male, se si pensa che appena lo scorso autunno la Commissione europea, definendoli «opachi» e «distorsivi», proponeva di archiviare i rebate. Fino a pochi mesi fa, prima che la pandemia esplodesse anche nei Paesi europei, anche la Francia ne chiedeva a gran voce l'eliminazione. Nel corso del Consiglio sul budget svoltosi a febbraio, Emmanuel Macron era partito all'attacco, mandando all'aria il vertice anche a causa del profondo dissenso su questo punto. È una scelta della quale ci «pentiremo», ha dichiarato l'altro ieri, deluso, il presidente francese a margine della riunione dei leader, ma cancellarli avrebbe richiesto un «cambio di filosofia».Parole dalle quali traspare un concetto ben preciso, e cioè che quella sui rebate è una problematica politica, ancor prima che tecnica. Nato inizialmente per sanare lo squilibrio tra contributori e percettori netti del budget Ue, il meccanismo di scontistica si è trasformato nel tempo in una moneta di scambio tra i Paesi con i conti a posto e quelli che presentano finanze disordinate. Non è un caso se l'Italia è l'unico grande contributore netto insieme alla Francia a non usufruirne. Va ricordato poi che Parigi detiene comunque il quinto debito pubblico dell'Ue, e ingaggiare una battaglia solitaria su questo argomento rischierebbe di compromettere i rapporti con la Germania. Dal canto loro, i Paesi beneficiari possono far valere un discreto peso commerciale, oltre che deficit e debito sempre in regola. Così, spesso e volentieri, i «frugali» ne approfittano e fanno pagare dazio agli Stati che considerano meno virtuosi.Venendo ai numeri, la fetta più consistente se la sono aggiudicati i Paesi Bassi, con uno sconto annuale pari a 1.921 milioni, seguiti da Svezia (1.069 milioni), Austria (565 milioni) e Danimarca (377 milioni). Un netto miglioramento rispetto alla situazione attuale: quelli concessi nel precedente settennato valevano 695 milioni per i Paesi Bassi, 185 milioni per la Svezia e 130 milioni per la Danimarca. Calcolatrice alla mano, nel corso del prossimo settennato i «frugali» risparmieranno qualcosa come 27,5 miliardi a prezzi correnti, quasi il quadruplo cioè rispetto a quanto fatto nel periodo coperto dal budget 2014-2020. Se aggiungiamo al conto lo sconto spettante alla Germania (3.671 milioni), rimasto però inalterato, il totale sale a 53,2 miliardi di euro. Quasi un decimo dell'intero pacchetto di sostegno alla ripresa. Ovviamente, oltre a quelle una tantum, nei prossimi mesi questi Paesi potranno concordare anche altre detrazioni sul budget, come peraltro già avviene, per esempio sulle aliquote Iva. Chi pagherà per questo ammanco? Semplice, tutti gli altri Paesi che a loro volta non usufruiranno di questo vantaggio. Con la quota più salata a carico, nell'ordine, di Francia, Italia e Spagna.