
Dopo il trasferimento del fascicolo, la Procura di Roma ha sposato la linea accusatoria dei pm torinesi. Le toghe hanno chiesto il rinvio a giudizio per il nipote dell’Avvocato e per Nedved, Arrivabene e Paratici.Per la Juventus c’è un campionato che non finisce mai. È quello giudiziario, ancora una volta in prima linea durante l’estate della ricostruzione con Thiago Motta sulla tolda. La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per una decina di indagati, sui quali svettano i nomi dell’ex presidente bianconero Andrea Agnelli, dell’ex vicepresidente Pavel Nedved, dell’ex amministratore delegato Maurizio Arrivabene e del suo predecessore Fabio Paratici, che si erano dimessi nel novembre 2022 quando il procedimento era agli albori ed era incardinato nella Procura di Torino. Le accuse sono aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e false fatturazioni per la vicenda delle plusvalenze fittizie e per le manovre sugli stipendi nel periodo Covid, a compromettere la regolarità dei bilanci dal 2019 al 2021.La valanga dell’inchiesta Prisma stava già prendendo forma in Piemonte, quando la Cassazione ha chiesto che il fascicolo venisse spostato a Roma «per incompetenza territoriale dei magistrari di Torino». I colleghi della capitale hanno aperto il dossier inviato loro dal procuratore aggiunto Giuseppe Cascini e dai pm Lorenzo Del Giudice e Giorgio Orano (esperti in reati economici), lo hanno compulsato e sono giunti alle stesse conclusioni: richiesta di processo per tutti. Le accuse personali sono molto gravi, in caso di condanna il danno d’immagine sarebbe scontato, ma dal punto di vista sportivo il club bianconero ha già saldato il conto con i dieci punti di penalizzazione e l’esclusione da tutte le competizioni internazionali Uefa nella stagione appena conclusa. Inoltre, oggi si deve parlare di un’altra Juventus poiché i vertici sono cambiati in toto.L’inchiesta ruota attorno alle famose plusvalenze immaginifiche per un totale di 155 milioni ottenute con scambi di giocatori anche giovanissimi o semplicemente senza futuro che sarebbero stati valutati con «prezzi gonfiati». L’altro cardine delle accuse riguarda le manovre sugli stipendi dei calciatori durante la pandemia, che hanno compromesso almeno due bilanci; situazione resa più difficile per il fatto che la Juventus è una società quotata in borsa. Più volte la Consob aveva lanciato warning in merito. È ancora in fase istruttoria l’indagine sul bilancio chiuso il 30 giugno 2022. Secondo i pm di Torino il club trasformò la stagione del virus in una «opportunità e una copertura formale» dietro cui nascondere «un’allarmante situazione economica, patrimoniale e finanziaria». Il problema non riguardava solo la Vecchia Signora. Lo scenario generale era catastrofico, in quel periodo gli stadi erano vietati, le competizioni si disputavano a singhiozzo, le porte chiuse erano la morte civile del pallone. Alcuni club sprofondarono nei debiti (Inter, Roma), altri rimasero a galla grazie ai fondi proprietari e a possenti cure dimagranti (Milan). E all’estero società come il Barcellona e il Manchester United giunsero a vedere il baratro; ancora oggi sono tenuti in vita dalle banche. La Juventus dovette ricorrere a massicce iniezioni di denaro da parte della controllante Exor, che in tre anni ha immesso 700 milioni di euro nella cassaforte bianconera con continui aumenti di capitale.L’affaire Juventus è contenuto nelle 544 pagine dell’ordinanza trasmessa a Roma, architrave della richiesta di rinvio a giudizio di tutti gli indagati, escluso il collegio sindacale che si è sempre dichiarato estraneo aI presunto maquillage contabile. «Una situazione così brutta si è vista solo con Calciopoli», si legge in un’intercettazione del 2021 fra l’allora direttore sportivo Federico Cherubini e uno dei dirigenti indagati; una frase che lascia trasparire la preoccupazione per la botola aperta sul sottoscala di uno dei club più titolati del mondo. Nelle carte della Procura di Torino viene descritto minuziosamente un sistema incrociato, un reticolo di accordi fra società di Serie A che consentivano di creare plusvalenze false, quindi di modellare i bilanci a seconda delle esigenze del momento per coprire strategie sbagliate. Spiegava l’ex consigliere d’amministrazione bianconero Francesco Roncaglio (indagato) in una conversazione intercettata con l’ad Maurizio Arrivabene: «Il primo aumento di capitale serviva a puntellare le operazioni nate ai tempi di Gonzalo Higuain, noi invece l’abbiamo usato per comprare Cristiano Ronaldo».Nel dossier non si parla solo di una società, ma di un sistema che ha per titolo: «Manovre collettive». È la parte più inquietante dell’inchiesta, dove si evidenzia la stretta partnership con altri club: Atalanta, Sassuolo, Sampdoria, Genoa, Udinese, Empoli, Pisa. Del resto nessuno può creare plusvalenze da solo. Operazioni studiate e andate in porto dopo trattative fra direttori sportivi, conti redatti a penna su fogli volanti con l’intestazione di famosi alberghi di Milano. Se si arriverà al processo saranno in tanti a sfilare, saranno in tanti a tremare. In un’altra intercettazione, sempre Cherubini (non indagato) ricordava alcune operazioni sollecitate da Fabio Paratici e ammetteva: «Certe sere tornavo a casa e mi veniva da vomitare solo a pensarci».
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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