
Fermo di 30 giorni per il capo della super procura voluta dall'Europa e da Federica Mogherini in Macedonia, al centro di uno scandalo corruttivo che può travolgere anche il governo socialista. Le rivelazioni della Verità fanno saltare il tentativo di insabbiare tutto.La pubblicazione, da parte della Verità, della documentazione e dei video che proverebbero la profonda corruzione esistente nel sistema politico-giudiziario macedone, nonché il presunto utilizzo criminoso dello Stato, guidato dal primo ministro Zoran Zaev, a danno dei cittadini e degli opponenti politici, sta portando alle prime conseguenze giudiziarie. Dopo che, nelle ore successive allo scoppio dello scandalo, il presidente della Repubblica macedone Stevo Pendarovski si è distanziato dal primo ministro offrendo il suo sostegno più completo ai giudici del Paese, il pubblico ministero nazionale Ljubomir Joveski ha nei giorni scorsi interrogato diversi testimoni legati all'affare «Racketeering» da noi preso in esame. Tra i testi sentiti martedì vi è stata anche Katica Janeva, ovvero il pubblico ministero speciale voluto dall'Unione europea di Jean-Claude Juncker e Federica Mogherini affinché Zoran Zaev potesse legalmente arrivare al potere dopo lo scandalo delle intercettazioni da quest'ultimo illegalmente possedute dal 2015 per ricattare l'avversario politico Nikola Grujeski, a sua volta indicato quale vertice di un sistema di malaffare profondamente radicato nel Paese. I video da noi pubblicati indiziavano pesantemente la Janeva di estorsione a danno d'indagati e perfino di persone da lei stessa condannate. Ebbene, a nemmeno di 24 ore dalla sua testimonianza, Katica Janeva è stata arrestata. Il pm Joveski ha richiesto per lei un fermo detentivo di trenta giorni per sospetto abuso d'ufficio nel caso «Racketeering» e ne ha sequestrato i computer, nei quali tuttavia sarebbe quasi un miracolo trovare informazioni utili a distanza di tanto tempo dallo scoppio dello scandalo. Nella conferenza stampa tenuta da Joveski insieme al pm per il crimine organizzato Vilma Ruskoska si è sentito quest'ultima insistere fortemente sulla necessità di imprigionare la Janeva. Dato che la Ruskoska esattamente un mese addietro, parlando della sua collega Janeva, sottolineava pubblicamente che non vedeva alcun movente per cui quest'ultima potesse scappare né che vi fosse necessità di perseguirla, è evidente il fatto che La Verità ha effettivamente svolto in questo periodo un servizio di pubblica utilità. Il tutto fa pensare a uno scenario nel quale, qualora non fossimo arrivati alla documentazione audio e non l'avessimo pubblicata, il sistema giudiziario guidato da Vilma Ruskoska, la preferita di Zoran Zaev, avrebbe potuto non aprire il caso. Proprio martedì Jordan Kamchev, ovvero l'uomo sottoposto a estorsione nei nostri video, ha confermato che quanto da noi pubblicato fa parte del materiale probatorio da questi consegnato già diverse settimane addietro ai giudici macedoni. Ora è chiaro a tutti che fino al nostro intervento questo materiale non era mai stato preso in seria considerazione dal vertice giudiziario guidato dalla Ruskoska, la donna che non a caso Zaev voleva che prendesse il posto e continuasse il lavoro di Katica Janeva. Che il primo ministro in Macedonia sembri attuare un controllo sul sistema giudiziario, su parte di quello giornalistico e ovviamente su quello politico lo dimostrano i fatti susseguitisi negli ultimi giorni. L'«uomo trinità» ha provato a screditare il nostro lavoro, accusando La Verità di voler minare la via verso l'Europa e la Nato della Macedonia. Le sue accuse si sono sciolte internazionalmente come neve al sole, una volta appurato che il nostro giornale difende da sempre il nordatlantismo e un vero europeismo come valori portanti della nostra società. Il fatto che Zaev sembri poter manipolare il sistema giudiziario a proprio piacimento invece lo avrebbe confermato, sempre dopo che i nostri articoli hanno cambiato lo scenario psicologico macedone, l'ex ministro per la Giustizia in quota al partito albanese Dui, Saraj Blerim Bexheti, il quale ha dichiarato che in passato Zaev gli ha più volte chiesto di influenzare i membri del Consiglio della magistratura affinché eleggessero un nuovo presidente, più consono alle necessità del primo ministro. In attesa che La Verità possa pubblicare - il giorno in cui saremo certi dell'incolumità delle nostre fonti - le ulteriori prove di cui è venuta in possesso, comprovanti il controllo diretto del vertice politico delle attività estorsive, la Janeva pare destinata a divenire il parafulmine di tutti coloro, giudici e politici, coinvolti nello presunto sistema di estorsione e mala gestione dello Stato perpetuato sotto il mandato governativo di Zaev. Kamchev ha confermato quanto da noi sempre sottolineato: che le prime prove contro la Janeva erano già state presentate più di un mese fa dopo l'arresto di Boki 13. Più di un mese è servito a Joveski, e soprattutto alla Ruskoska, per chiedere il fermo della pm speciale. Un mese nel quale presumibilmente potrebbero essere state distrutte prove documentali dei fatti. È chiaro che l'intero sistema potrebbe essere accusato perlomeno di negligenza, quando non di dolosa collaborazione.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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