2025-05-16
«Agevolava il caporalato cinese». Nei guai una azienda di Valentino
La Bags Lab finisce in amministrazione giudiziaria per omesso controllo su 7 opifici nella catena dei subappalti: 67 «schiavi» producevano borse in condizioni disumane. Il tutto per «abbattere i costi».Viene da chiedersi se Romano Prodi che da presidente della Commissione europea spalancò le porte del Wto alla Cina e oggi magnifica da Pechino l’economia del Dragone aveva previsto che la «fabbrica del mondo» poteva funzionare in dispregio totale dei diritti più elementari di chi lavora, quei diritti che lui da leader e maestro ispiratore della sinistra ha sempre sostenuto essere la sua priorità. Sarebbe interessante un suo parere perché ancora una volta il sistema moda italiano viene pizzicato a sfruttare i lavoratori cinesi. Quasi che senza i contoterzisti che schiavizzano i lavoratori non ci fosse modo di produrre. Eppure i prodotti di alta moda costano. La Cina da noi ha esportato anche il caporalato degli operai delle fabbriche dell’hinterland milanese ormai colonizzate dai cinesi. L’inchiesta riguarda la Valentino Bags ed è partita, come già in altre analoghe indagini, dal pubblico ministero dottor Paolo Storari della Procura della Repubblica di Milano. Ieri la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziale per la Valentino Bags srl. Si tratta della controllata del gruppo Valentino che mette in commercio le borse firmate da Valentino Garavani, il re degli stilisti italiani, e che da ormai diversi anni è passata di mano: la Kering due anni fa ha acquisito dal fondo del Qatar Mayhoola il 30 per cento del pacchetto azionario per salire entro quest’anno al 100 per cento del capitale. Kering è, dopo Lvmh di Bernard Arnault che possiede anche Dior, una delle aziende pizzicate da Storari, il secondo gruppo del lusso. Negli ultimi due anni ha accusato una flessione di fatturato: ha chiuso il 2024 con un utile netto di 1,133 miliardi di euro, in calo del 62% e ricavi pari a 17,194 miliardi, in flessione del 12 per cento. La holding guidata da Francois-Henri Pinault ha in portafoglio Gucci, Ginori 1735, Brioni, Bottega Veneta, Pomellato oltre ai brand francesi Balenciaga, Boucherom Yves Saint Laurent, McQueen, DoDo e ai - si fa per dire - private label Kering Eyewear e Kering Beauté. Ebbene, le indagini condotte dal Nucleo Ispettorato del lavoro dei Carabinieri di Milano hanno messo in evidenza che le griffatissime pochette di Valentino venivano fatte da contoterzisti che sfruttano i lavoratori e si avvalgono di caporali. Gli accertamenti avrebbero rilevato come la Valentino Bags affidi a terzi il confezionamento di intere linee del catalogo. Secondo quanto rilevato da Carabinieri, dati i prezzi concordati con i subfornitori «l’azienda committente per la riproduzione su scala industriale può competere sul mercato solo esternalizzando le commesse a opifici gestiti da cittadini cinesi, i quali anche mediante il ricorso a subappalti non autorizzati riescono ad abbattere i costi ricorrendo al sistematico impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento». L’inchiesta è partita a marzo con ispezioni in diversi laboratori nella provincia di Milano e di Monza-Brianza. Hanno trovato 67 lavoratori «schiavizzati», di cui 9 occupati in nero, che erano reclutati da caporali e alloggiati come usano i cinesi in scantinati attigui alle fabbriche. I carabinieri hanno anche scovato tre ditte che facevano una «produzione fantasma». Si sospetta che triangolassero dei prodotti che arrivavano direttamente dalla Cina con «una fatturazione per operazioni inesistenti a carico delle ditte sub-appaltatrici». Oltre alla messa in amministrazione giudiziale della griffe di Valentino ci sono sette cinesi denunciati per caporalato. Il caso della Valentino-Bags - il fatturato del marchio Valentino è di 1,3 miliardi, le borse vanno da un minimo di 600 euro a 3.800 euro - non è certo isolato. La prima inchiesta fu fatta a carico dell’Alviero Martini: fu «commissariata» 16 mesi fa sempre perché i Carabinieri avevano accertato l’impiego di lavoratori in condizioni di sfruttamento. Analoga inchiesta è stata fatta a carico della Giorgio Armani Operations spa, società che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori del gruppo del colosso della moda. Anche in quel caso il pm Paolo Storari con la collega Luisa Baima Bollone avevano individuato «l’uso di opifici abusivi e il ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina» per la realizzazione di prodotti affidata a contoterzisti. Sotto la lente del pm Storari è finito anche il sancta sanctorum del lusso: Dior. La Manufactures Dior srl, la fabbrica italiana delle borse e degli articoli da viaggio della maison francese con le stesse motivazioni delle altre case di moda era finita in amministrazione giudiziaria nel giugno 2024 e ne è uscita come Armani Operations a fine febbraio. Tuttavia su Armani e Dior sta indagando anche l’Antitrust proprio in relazione al fatto che i prodotti con i loro marchi possono essere stati posti in commercio con «possibili condotte illecite nella promozione e nella vendita di articoli e di accessori di abbigliamento, in violazione delle norme del Codice del Consumo». Come dire: i dazi di Donald Trump saranno pure antipatici, ma dalla Cina non abbiamo avuto ottimi esempi.
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Matteo Bassetti (Imagoeconomica)
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La Fondazione per la scuola italiana, ente non profit finanziato da privati, ha lanciato un bando da 600mila euro per sostenere le venti filiere più significative del modello di formazione tecnico-professionale 4+2. L’iniziativa è realizzata con il supporto scientifico dell’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Indire).
Con l’ultimo Decreto legge Scuola, il percorso 4+2 — che consente di conseguire il diploma in quattro anni e proseguire con due anni di specializzazione presso gli ITS Academy — è entrato a regime, affiancando i tradizionali percorsi quinquennali. Il bando è rivolto agli istituti capofila che abbiano sottoscritto un accordo di rete con gli altri soggetti della filiera. Le candidature devono essere presentate entro il 24 ottobre e saranno valutate da una commissione di esperti nominata dalla Fondazione.
La graduatoria terrà conto di diversi criteri, tra cui il numero di ore di laboratorio nelle discipline STEM e nelle imprese, la progettazione di unità didattiche interdisciplinari, la formazione specifica dei docenti, il sistema di monitoraggio, i progetti di economia circolare e quelli di internazionalizzazione. Le venti filiere vincitrici, selezionate nel limite di cinque per indirizzo e tre per regione, potranno investire i fondi per rafforzare la didattica innovativa, avviare programmi di scambio con l’estero e potenziare l’orientamento dei diplomati.
«L’obiettivo non è solo premiare i progetti più efficaci, ma diffondere buone pratiche replicabili a livello nazionale», ha spiegato il presidente della Fondazione, Stefano Simontacchi, sottolineando anche l’attenzione alle aree svantaggiate nella ripartizione dei fondi.
Secondo Francesco Manfredi, presidente di Indire, il consolidamento del modello 4+2 passa da «un accompagnamento scientifico qualificato, monitoraggi costanti e un lavoro metodologico condiviso». L’obiettivo è costruire percorsi formativi capaci di rispondere meglio alle esigenze culturali e professionali delle nuove generazioni.
Il bando si inserisce nell’accordo tra la Fondazione e Indire per l’attuazione del Piano nazionale di accompagnamento alla sperimentazione della filiera tecnologico-professionale. Parallelamente, la Fondazione porta avanti il programma EduCare per sostenere singole scuole con progetti su laboratori didattici, efficientamento energetico e sicurezza infrastrutturale.
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