
Ieri in Italia è stato l'ultimo giorno dell'anno in cui si è lavorato per lo Stato, anche se sembra una barzelletta. Se l'esecutivo vuole ridurre i tributi, dovrà riformare il fisco, fare nomine più tecniche e tagliare la burocrazia.Da qualche anno pure in Italia qualche sparuto liberale celebra il «tax freedom day». Il giorno in cui si smette di lavorare per lo Stato e si comincia a incassare per sé. Il termine è inglese, perché a inventare la festa è stato un certo Dallas Hostetler, un uomo d'affari della Florida che quasi per caso nel 1949 si è messo a calcolare l'esborso fiscale spalmato sul calendario. Con la differenza che da noi ci sono tutte le imposte indirette e le tasse sulle tasse, e la festa diventa quasi una presa in giro o - alla meglio - una specie di sogno irrealizzabile. Nel 2017 gli italiani hanno speso, infatti, poco meno di 3 miliardi di euro per calcolare e gestire le proprie imposte. Compreso l'invio di moduli. Senza invece contare gli esborsi da affrontare ogni volta che si contesta un addebito o una cartella. Il tax freedom day per le aziende, giusto per essere precisi, cadrebbe addirittura a fine estate. In ogni caso, ci permettiamo di mettere un candelina sulla torta della liberazione fiscale (immaginarie sia la torta sia la candelina) perché ieri oltre che essere stata la festa della Repubblica è stato anche il primo giorno di attività del nuovo governo. L'insediamento è difficile e prende tempo. Poi c'è l'emozione, il trasloco ancora da fare, ma nessun membro del governo ha pensato di celebrare, nemmeno su Twitter o sui social, il giorno della liberazione dal giogo fiscale. Passi, è stata festa per tutti. Facciamo che da domani però sarebbe il caso di prendere atto che la riforma fiscale nella sua complessità rientra nel contratto di governo firmato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini e che pur nelle enormi difficoltà nel rintracciare le coperture, i cambiamenti - soprattutto quelli tributari - si fanno subito appena insediati. Altrimenti la macchina dei ministeri e delle agenzie prende il sopravvento e ribaltare i tavoli diventa difficile. Tanto più che le scadenze fiscali procedono imperterrite. Perché è proprio giugno il mese che presenta il conto più massiccio ai contribuenti italiani: entro il 30 famiglie, imprese e lavoratori autonomi dovranno versare all'erario oltre 53 miliardi di euro. Tuttavia non è solo la Flat tax che ci piacerebbe veder finire nell'agenda del nuovo governo già prima che termini l'estate, ma ancor di più è tutto ciò che rende il fisco un vero fardello. La burocrazia e le riforme annunciate dai governi Renzi e Gentiloni che si sono nutrite di parole, anzi di storytelling, e come più volte abbiamo scritto si sono rivelate l'opposto delle promesse. Il fisco amico a cui basta un sms per intrattenere buoni rapporti con il cittadino esiste più che altro sulle colonne dei quotidiani mainstream. La realtà è ben diversa. Altrimenti non spenderemmo 3 miliardi solo per pagare le tasse. Il 730 precompilato è un esempio perfetto, purtroppo. Celebrato come un grande successo è in realtà tutto sulle spalle dei liberi professionisti, i commercialisti. A meno che non si prenda il modulo a busta chiusa e si finisca con il rinunciare a detrazioni e agevolazioni. «Da oggi 30 milioni di italiani potranno visualizzare online la propria dichiarazione precompilata. Uno strumento introdotto dal governo Renzi che in questi anni ha semplificato la vita di molti cittadini. La sburocratizzazione e la costruzione di un fisco amico sono stati al centro dell'azione del Pd. A chi in campagna elettorale prometteva di introdurre la dichiarazione dei redditi precompilata, suggerisco di visitare il sito dell'Agenzia delle entrate per visualizzare la propria. Risposte concrete, non slogan», aveva scritto in un post Maria Elena Boschi facendo infuriare tutti i commercialisti d'Italia. I quali avrebbero voluto rispondere che i dati, per esempio, continuano a non essere corretti e senza l'intervento di un professionista, la messa a punto e la verifica relativa, il contribuente rischia l'accertamento. Anche se a compiere l'errore è stato un funzionario dello Stato. Al di là del perfetto esempio di comunicazione da evitare, l'agenzia delle entrate oggi guidata da Ernesto Maria Ruffini è stata modellata dall'ex sindaco di Firenze e l'impronta è molto forte. Equitalia è stata fusa ma non è sparita come da slogan (d'altronde sarebbe stato impossibile) e soprattutto i 787 dirigenti - le cui nomine sono state dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale - nel 2015 sono ancora al loro posto. Il concorso promesso più volte da Pier Carlo Padoan non è mai stato organizzato. Anzi nella scorsa finanziaria si è addirittura cercato di infilare emendamenti (poi saltati) con l'obiettivo di condonare le irregolarità. Bisognerebbe rivoltare come un calzino certe abitudini che mettono i cittadini al di sotto dello Stato. Non solo nella struttura delle agenzie fiscali, ma anche nelle piccole cose, quelle che fanno perdere ore di lavoro a chi produce ricchezza nel Paese. Da due anni i software fiscali vanno in tilt in concomitanza delle scadenza, cioè quando serve. I disagi e i costi ricadono sui contribuenti. Nessuno nell'amministrazione pubblica ne ha risposto fino adesso. Ecco, sarebbe arrivato il momento di mettere i cittadini al di sopra dello Stato soprattutto quando di fanno importanti nomine nella pubblica amministrazione.
Donald Trump (Ansa)
Luci e ombre nel primo anniversario della rielezione alla Casa Bianca: promosso in Medio Oriente, rimandato sull’Ucraina. Borsa ai massimi ma «sopravvalutata». L’inflazione cresce e la Fed mantiene i tassi alti. Stallo record sulla legge di bilancio.
Gli elettori della Virginia chiamati a scegliere il nuovo governatore si sono espressi: «Trump you are fired! (sei licenziato, ndr). In uno stato però tendenzialmente blu, che nel 2024 aveva scelto Kamala Harris. E confermando il trend, ha optato per la democratica Spanberger. Sebbene il governatore uscente fosse repubblicano. Colpa dello shutdown a detta di molti. Cosa sia lo vedremo alla fine. E comunque negli ultimi 20 anni i democratici alla guida della Virginia sono stati scelti cinque volte su sette. Ma al netto delle elezioni in Virginia, e dando per scontato che la città di New York e lo Stato del New Jersey votassero democratico (per intendersi sono un po’ come Bologna e la Toscana per il Pd), a un anno esatto dalla sua rielezione alla Casa Bianca qual è il bilancio della seconda presidenza Trump?
Buchi nella sicurezza, errori di pianificazione e forse una o più talpe interne. Questi i fattori che hanno sfruttato i ladri che hanno colpito al Louvre di Parigi. Ma dove sono i gioielli e chi sono i responsabili?
Elly Schlein (Ansa)
Nicola Fratoianni lo chiama per nome, Elly Schlein vi vede una «speranza», Stefano Patuanelli rilancia la patrimoniale.
Brutte notizie per Gaetano Manfredi, Silvia Salis, Ernesto Maria Ruffini e tutti gli altri aspiranti (o presunti tali) federatori del centrosinistra: il campo largo italiano ha trovato il suo nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani, ha 34 anni, è il nuovo sindaco di New York, che del resto si trova sullo stesso parallelo di Napoli. La sua vittoria ha mandato in solluchero i leader (o sedicenti tali) della sinistra italiana, che vedono nel successo di Mamdani, non si riesce bene a capire per quale motivo, «una scintilla di speranza» (Alessandro Alfieri, senatore Pd). Ora, possiamo capire che l’odio (si può dire odio?) della sinistra italiana per Donald Trump giustifichi il piacere di vedere sconfitto il tycoon, ma a leggere le dichiarazioni di ieri sembra che il giovane neo sindaco di New York le elezioni le abbia vinte in Italia.






