2022-02-05
Africani immunizzati senza vaccino. Qui vogliono fare punture nelle culle
Nel Continente nero, dove solo il 10% ha ricevuto il siero, tantissimi abitanti hanno sviluppato gli anticorpi. Dicono sia merito della bassa età media. Una ragione in più per andarci piano con le campagne sui bimbi.Loro hanno l’immunità, a noi lasciano il gregge. È l’amara considerazione sociosanitaria alla notizia che l’Africa sta raggiungendo l’immunità di gregge pur con una campagna vaccinale quasi inesistente, nel senso che solo al 10% degli abitanti del continente è stata somministrata la doppia dose del programma base anti Covid. Rispetto alla narrazione occidentale della vaccinazione intensiva di massa (e al parossismo tutto italiano dell’iniezione anche ai bambini), questa è un’anomalia evidente che non poggia su traballanti spiegazioni animiste ma, come piacerebbe a Roberto Burioni e alla compagnia di giro delle virostar, «su evidenze scientifiche».Il caso africano manda in crisi i teoremi degli esperti e crea imbarazzo nelle multinazionali del farmaco che stanno macinando fantastiliardi a colpi di booster, soprattutto in Occidente. Lo studio è stato pubblicato dal Malawi-Liverpool-Wellcome Trust Clinical Research Programme ed è firmato dall’immunologo Kondwani Jambo, che ha lavorato su un dato certo: la presenza di anticorpi fra i donatori di sangue del suo Paese, scoprendo che l’81% degli abitanti di Blantyre (città di 800.000 anime) ha le difese immunitarie naturali per contrastare il virus cinese. Nella vicina città di Mzuzu (220.000 persone) la percentuale arrivava al 71% sei mesi fa, come riportato in uno scritto dello stesso Jambo sulla rivista medica Bmc Medicine. Ovviamente il test è circoscritto e per ottenere una tendenza bisogna aggiungere che lo stesso Sudafrica, prima dell’esplosione della depotenziata variante Omicron, aveva già il 60% della popolazione immunizzata dal contagio, a fronte di una campagna vaccinale in divenire. Nelle altre nazioni del continente la percentuale di anticorpi è molto simile a quella del Malawi, sempre con un tasso medio di vaccinazione del 10%. Difficile ottenere percentuali più alte, visto che finora sono arrivati 570 milioni di vaccini per una popolazione di 1,2 miliardi. E l’immunità di gregge, che in Europa è stata prima perseguita (sulla spinta dei virologi da talk show), poi derisa (quando ne parlava Boris Johnson), infine scartata per lasciare il posto alla campagna vaccinale di massa, in Africa sembra più vicina che da noi. Senza lockdown, senza terrorismo sanitario, senza passaporti divisivi e con pochissimi vaccini. Sottolinea Jambo in un’intervista alla radio americana Npr: «A guardare il numero di test avremmo detto che meno del 10% della popolazione si era infettato». In tutta l’Africa sono morti di Covid 163.000 abitanti (nella sola Italia 147.000) e gran parte dei contagiati sono asintomatici. Fin qui sono stati conteggiati sette milioni di tamponi positivi, meno che nel nostro Paese (11 milioni). La ricerca sorprende. Fino ad ora l’Africa era stata trattata da cenerentola a cui spedire (per lucidare la coscienza) gli Pfizer avanzati altrove. La scarsa copertura vaccinale e il pericolo di nuove varianti venivano indicati come cause di focolai incombenti in un territorio immenso e di difficile controllo, fra la concentrazione di persone nelle megalopoli e la difficoltà di raggiungere i villaggi più lontani. In quel continente la copertura sanitaria non è sistematica, in alcuni casi è lasciata al volontariato dei missionari e di fatto nessuno può spiegare con certezza come si è mosso il virus. In questo contesto è anche possibile che il numero delle vittime della pandemia sia sottostimato o comunque valutato diversamente che in Italia. Da noi per due anni tutto è finito nel paniere Covid anche chi era afflitto da ginocchio della lavandaia. Ad inizio 2021 il British Medical Journal pubblicò i report di un ospedale di Lusaka (Zambia): su 364 persone morte durante la prima ondata pandemica, 70 avevano il virus ma solo 6 erano risultate positive in vita. Forbice larghissima nel conteggio. Poiché il Covid aggredisce soprattutto i più anziani e debilitati, va aggiunto che la realtà africana differisce parecchio dallo standard europeo. E nel consigliare la «libera circolazione del virus per debellare la pandemia» sarebbe sbagliato dimenticare un dato decisivo: in Italia l’età media della popolazione è sopra i 45 anni, in Sudafrica è di 27 anni, in Malawi di soli 18 anni. Da noi l’età media dei malati è di 80 anni, laggiù di 48. Lo studio del professor Kondwani Jambo fa emergere un’altra differenza: alcuni geni più diffusi in Africa sembrano proteggere dai sintomi più severi. Ad oggi l’ipotesi, che in altri campi più velleitari farebbe gridare al razzismo, non è suffragata da sufficienti conferme. Se pure ogni distinguo è doveroso in realtà geografiche e sociali non omogenee, non si comprende perché davanti all’esempio africano i governi occidentali (incalzati da Big Pharma che nel continente nero fattura le briciole) continuino a spingere nella direzione opposta: vaccinare anche i neonati, pure in assenza di pericoli reali. Mentre in Africa i neonati, i bambini e gli adolescenti contagiati sono il 10%, da noi sono meno di uno su mille.Il continente africano dimostra che una popolazione giovane e sana sviluppa prima l’immunità; questo significa che i minorenni o almeno i piccoli da zero a dieci anni dovrebbero essere lasciati in pace. In questo caso le discriminazioni sociali, i danni psicologici e le forti contrapposizioni ideologiche sembrano varianti più pericolose del virus medesimo. Ma è una battaglia persa, sulle nevi del Kilimangiaro c’è più saggezza che nei nostri gin tonic.