
I beni pignorati, messi all’incanto con il vecchio rito, svenduti a prezzi irrisori. Così speculatori e mafiosi fanno man bassaIl Consiglio superiore della magistratura ha appena deciso di aprire una pratica d’indagine sulle esecuzioni immobiliari, la procedura legale in base al quale il mancato pagamento di un debito dà vita a un procedimento che può concludersi con il pignoramento di un bene del debitore e con la sua vendita in un’asta giudiziaria a beneficio del creditore. A condurre l’indagine sarà la settima commissione del Csm, competente per l’organizzazione degli uffici giudiziari, che ha risposto così a un’istanza presentata una settimana fa dal membro laico Stefano Cavanna, vicino alla Lega. Cavanna, genovese e di professione avvocato civilista, era rimasto colpito da un articolo-denuncia pubblicato dal presidente di Confedercontribuenti, Carmelo Finocchiaro. L’articolo, intitolato «La magistratura indaghi su sé stessa, troppe ombre sulle aste giudiziarie», segnalava che questo tipo di procedure «consente affari d’oro a speculatori e mafiosi, che per fare soldi portano alla disperazione migliaia di famiglie e imprenditori». Finocchiaro chiedeva in particolare a Sergio Mattarella, in quanto presidente del Csm, di «fare luce sulle sezioni esecuzioni di tutti i tribunali italiani» come «dovere dell’organismo centrale della magistratura italiana, anche se non tutti i tribunali non si sono comportati allo stesso modo». Dal 2016, quando è entrato in vigore il cosiddetto Decreto banche, il bene pignorato a un debitore non può essere messo in asta per più di tre volte: se l’immobile non viene venduto entro quel limite, la procedura esecutiva viene chiusa e il bene torna di proprietà del debitore. Il giudice può anche disporre una quarta asta, ma solo se il terzo tentativo è andato deserto. In base a quanto denunciato da Finocchiaro, però, le «sezioni esecuzione» di molti tribunali continuerebbero «a usare in gran parte delle procedure d’asta il vecchio rito e consentono di andare a ribasso degli immobili ben oltre la terza asta: così alla fine aggiudicano beni a prezzi scandalosi». Il presidente di Confedercontribuenti chiedeva quindi al Csm, di «fare luce e chiarezza su un business che vede togliere il bene principale della casa ai lavoratori, spesso in difficoltà per la perdita del lavoro, e penalizza imprenditori caduti vittima della grave crisi economica» e posti loro malgrado nella condizione di non potere pagare un fido. «Con questo sistema d’aste», concludeva Finocchiaro, «diventa facile strappare beni preziosi a prezzi da strozzini».Di fronte all’inquietante denuncia, il consigliere Cavanna ha chiesto al comitato di presidenza del Csm «un’istruttoria in relazione alle eventuali idonee illegittime prassi denunciate dal presidente di Confedercontribuenti, anche per «verificare l’adeguatezza e attualità delle buone prassi in materia», e ha chiesto al Csm anche di formulare proposte che possano ridurre anomalie e abusi. «Com’è ovvio», spiega Cavanna alla Verità, «il Consiglio superiore della magistratura non può sindacare l’attività giurisdizionale di giudici o tribunali, e quindi non può contestare le decisioni assunte. Ma di fronte a un problema grave, che ci viene posto da una fonte credibile, credo sia stato più che giusto che il Csm abbia deciso di verificare se il problema esiste e come si possa affrontarlo e risolverlo». In passato il Csm aveva già mostrato particolare attenzione al tema: nell’ottobre 2017 ha emanato una delibera che indica una serie di «linee guida» comportamentali per i tribunali, stabilendo le «buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari», dai criteri di nomina dei periti all’invito a contenere i rinvii delle udienze. Come sempre accade per le delibere del Csm, però, anche questa non ha avuto effetti vincolanti sull’attività dei magistrati. La settima commissione del Csm, poi, ha in sé specifiche competenze in tema di esecuzioni immobiliari perché, sempre nel 2017, ha costituito un «Osservatorio permanente per l’efficienza delle procedure esecutive». I dati, pubblicati nel luglio 2019, hanno confermato che le procedure immobiliari pendenti sono purtroppo numerose: erano 264.016 alla fine del 2016, erano aumentate a 269.408 a fine 2017 e poi erano calate a 245.693 a fine 2018, forse anche per le «buone prassi» suggerite ai tribunali. A fine 2019, secondo un’altra fonte (Osservatorio T6), il numero sarebbe sceso ancora, a 204.406, ma il 13,5% del totale delle pratiche pendenti ha oltre dieci anni di storia giudiziaria. Sono numeri comunque troppo alti. E anche grazie al lockdown che nel 2020 ha bloccato i tribunali avrebbero determinato un rallentamento dei tempi di chiusura che Osservatorio T6 stima in 120 giorni. Non per nulla, secondo i dati del Csm, i tempi medi di recupero di un credito in Italia si aggirano sui 1.120 giorni, contro i 510 della Spagna, i 499 della Germania, i 437 del Regno Unito e addirittura i 395 della Francia.Intanto la pandemia morde sempre più violentemente. Nel Decreto ristori, appena varato, il governo giallorosso ha sospeso fino al 31 dicembre pignoramenti ed esecuzioni immobiliari, limitando però il blocco alle «abitazioni principali». È un inizio, ma di fronte al peggioramento della crisi Finocchiaro e la Confedercontribuenti insistono nella campagna e propongono al governo di «sospendere le procedure fallimentari e bloccare aste ed esecuzioni fino alla fine dell’emergenza». La motivazione è che «non si può procedere, di fronte a una situazione che sta precipitando, con procedure ordinarie che potrebbero distruggere migliaia d’imprese, vittime incolpevoli della situazione». Per tutto questo, Confedercontribuenti invita il governo a «fare in fretta, per non regalare l’opportunità ai truffatori di farla franca nel momento in cui la gente soffre e le imprese muoiono». Dice Finocchiaro: «Qualsiasi rinvio costituirebbe una responsabilità gravissima dell’esecutivo. Noi non consentiremo la strage delle imprese e degli imprenditori».
2025-12-02
Su Netflix arriva «L’amore è cieco», il reality che mette alla prova i sentimenti al buio
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«L’amore è cieco» (Netflix)
Il nuovo reality di Netflix riunisce single che si conoscono senza vedersi, parlando attraverso cabine separate. Solo dopo dieci giorni al buio possono incontrarsi e capire se la sintonia nata dalle parole regge alla realtà.
L'amore è cieco, sulla cui locandina campeggiano sorridenti Fabio Caressa e Benedetta Parodi, dovrebbe portare con sé un punto di domanda: qualcosa che lasci aperto agli interrogativi, al dubbio, all'idea che no, l'amore possa avere bisogno di vederci benissimo. Lo show, il cui titolo rievoca la saggezza (presunta) popolare, cerca di provare empiricamente la veridicità del detto. Non è, dunque, un dating show canonico, in cui single stanchi della propria solitudine si mettano a disposizione di chi, come loro, voglia trovare una controparte per la vita.
Le nuove foto di Andrea Sempio davanti a casa Poggi nel giorno del delitto riaccendono il caso e scatenano lo scontro mediatico. Mentre la rete esplode tra polemiche, perizie discusse e toni sempre più accesi, emergono domande che le indagini dell’epoca non hanno mai chiarito: perché nessuno ha registrato questi dettagli? Perché certi verbali sono così scarni? E soprattutto: come si intrecciano queste immagini con il DNA compatibile con la linea paterna di Sempio?
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- Il caso della famiglia del bosco ha portato molti commentatori a ribadire che la prole non appartiene ai genitori. Peccato che quando si tratta di farne compravendita o di ucciderli nel grembo se ne dimentichino sempre.
- La famiglia Trevallion ha spiazzato gli analisti perché trasversale a categorie tradizionali come ricchi contro poveri o colti contro ignoranti. E la gente li ama più delle istituzioni.
Lo speciale contiene due articoli.
Va molto di moda ribadire che i figli non appartengono ai genitori. Lo ha detto Fabio Fazio chiacchierando amabilmente con Michele Serra nel suo salotto: entrambi concordavano sul fatto che i bambini non sono oggetti e devono essere liberi, semmai indirizzati da famiglie, scuola, istituzioni. Lo ha ripetuto ieri sulla Stampa pure lo scrittore Maurizio Maggiani, in prima pagina, prendendosela con la famiglia del bosco e con quello che a suo dire è il delirio dei due genitori. «Non ho nessuna ragione per discutere delle scelte personali», ha spiegato, «non finché diventino un carico per la comunità, nel qual caso la comunità ha buoni motivi per discuterle. Mi interessa invece proprio perché non si tratta di scelta personale, visto che coinvolge i figli, e i figli non sono sé, non sono indistinguibili da chi li ha generati, ma sono per l’appunto altri da sé, individualità aventi diritti che non discendono da un’elargizione dell’autorità paterna o materna, così come sancito dalla Costituzione e dalla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza».
Ecco #DimmiLaVerità del 2 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso dossieraggi.






