
Arrivata la richiesta di chiusura indagini per bancarotta fraudolenta per il costruttore che ha ristrutturato la casa di Renzi Crac provocato dall’incasso di una fideiussione da parte dei familiari dell’ex ministro. L’imprenditore ha chiesto di essere sentitoL’affaraccio con i Lotti e il riciclaggio con l’azzeccagarbugli portano il Ristrutturatore di casa Renzi verso il processo. A buttare a mare la Coam srl, impresa di costruzioni sulla quale era appoggiato il pacchetto azionario di maggioranza della Lucchese calcio e con la quale fu ristrutturata la casa di Matteo Renzi, sarebbe stata una fideiussione incassata dagli eredi di Gelasio Lotti, nonno dell’ex ministro Luca. Quella fideiussione ha tolto ogni garanzia alla Coam, il cui fallimento, a leggere ciò che scrivono i magistrati, si è trasformato in una bancarotta fraudolenta. E a quel punto, con ben 13 capi d’accusa, la Procura di Firenze ha chiuso i conti con Andrea Bacci, amministratore di fatto dell’azienda (e ormai ex amico di Renzi, per via di un contenzioso in corso con la famiglia dell’ex premier per la ristrutturazione dei bagni della casa di Rignano), e con l’amministratore di diritto Fabio Bettucci. Nei giorni scorsi gli inquirenti fiorentini hanno inviato l’avviso di chiusura indagini agli indagati. Ma a quanto risulta alla Verità, Bacci, prima dell’eventuale richiesta di rinvio a giudizio, ha chiesto attraverso il suo avvocato, Luca Bisori, di essere interrogato. Tra le imputazioni ce n’è una nella quale i magistrati ipotizzano un’attività di riciclaggio attraverso l’avvocato Pietro Amara, il legale che, secondo la Procura di Roma, aggiustava i processi, oltre a quella per l’attività speculativa, che i magistrati definiscono «manifestamente imprudente», avviata con i Lotti. Si tratta dell’acquisto, nel 2013, per 850.000 euro (un prezzo che per la Procura «era superiore al reale valore di mercato, che poteva essere individuato in una fascia da 400.000 a 575.000 euro, tale da incidere sensibilmente sulla effettiva economicità dell’intervento». Ossia dai 450.000 ai 300.000 euro di supervalutazione), di un terreno che fu di proprietà di nonno Lotti. Di quegli 850.000 euro, 450.000 vennero coperti con la permuta di un appartamento di 170 metri quadrati, garantita da una fideiussione delle Generali e controgarantita dalla Coam. «L’escussione della fideiussione comportava per la Coam una sopravvenienza passiva di 450.000 euro». Il Tribunale di Firenze, a quel punto, ha rigettato la richiesta di concordato preventivo e ha disattivato la Samminiatello. Siamo a settembre del 2017 e in meno di un mese i Lotti riescono a incassare la polizza, determinando lo stato di insolvenza dell’impresa. Secondo i legali della società, se i Lotti non fossero passati all’incasso, probabilmente la Procura non avrebbe sollecitato il fallimento. Ma hanno deciso di staccare la spina e mandare a picco l’affare e l’ex amico della famiglia Renzi. Le Generali hanno subito chiesto alla Coam la restituzione dei 450.000 euro e l’impresa è andata ko. Inutili i tentativi dello studio Galeotti Flori, che assiste Bacci, di chiedere agli avvocati di controparte di rinunciare a una quota del ricavato della polizza (ovvero a 100.000 euro) per tentare di risanare il debito con l’assicurazione, provare a salvare l’impresa e consentire così di ultimare il lavoro a Montelupo Fiorentino. Riscuotendo la fideiussione, però, i Lotti si sarebbero sottratti anche al concorso nel rischio d’impresa (cioè l’oscillazione del mercato immobiliare), previsto in ogni convenzione permutativa. E così, attorno alla vicenda, le Fiamme gialle, coordinate dai pm Luca Turco e Christine von Borries, hanno scoperto anche che le «distrazioni» di fondi, tutte tra il 2013 e il 2016, arrivavano a totalizzare 1.140.000 euro di finanziamenti in favore della Lucchese calcio, il cui bilancio era già in crisi nel 2013. Agendo così, sostengono i magistrati, Bacci e Bettucci avrebbero effettuato un investimento antieconomico. Secondo gli investigatori, tra il 2012 e il 2016 la Coam sarebbe stata inoltre spogliata di circa 1.400.000 euro, denaro distratto a favore di Bacci o comunque dissipato in lavori edili, mai pagati, su immobili di sua proprietà. I due imprenditori, negli anni, avrebbero anche continuato a ricorrere al credito delle banche, dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza in cui versava l’azienda, tramite false fatture o, addirittura, duplicando le stesse fatture. Trovate finanziarie che costano a Bacci e a Bettucci accuse di bancarotta e ricorso abusivo al credito, ma anche di truffa. L’unica ipotesi di riciclaggio, invece, è con l’avvocato Amara, ex socio di Bacci nella Teletouch. Bacci, secondo la ricostruzione della Procura, avrebbe sostituito del denaro proveniente da un’appropriazione indebita commessa, si legge nel documento giudiziario che è stato notificato la settimana scorsa agli indagati, da Amara e da tale Sebastiano Maiano. Il 10 febbraio 2016 i due, senza giustificato motivo, avrebbero disposto un bonifico da 100.000 euro verso un conto personale di Bacci, cercando di nascondere l’operazione con un oggetto fittizio. Il 9 marzo Bacci gira da un conto della Coam la stessa cifra ad Amara su un iban cointestato. Senza alcuna giustificazione, e così l’operazione ha portato subito all’accusa di riciclaggio.
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Col pretesto della partita di basket Virtus-Maccabi, attivisti e centri sociali si scontrano con le forze dell’ordine. Il sindaco Lepore condanna il Viminale, ma la questura replica: tra i violenti sigle ospitate nei locali comunali.
«Durante la manifestazione contro la partita Virtus-Maccabi sono state lanciate numerose bombe carta imbottite di chiodi: un poliziotto è stato colpito ai genitali, un altro è rimasto gravemente ferito a un piede. Questo non è più dissenso, ma una strategia del terrore messa in atto con la volontà di causare lesioni anche gravi alle Forze dell’Ordine». Racconta così, Domenico Pianese, segretario del Sindacato di Polizia Coisp, quanto accaduto venerdì sera a Bologna, dove per l’ennesima volta negli ultimi mesi, è esplosa la violenza antagonista. Stavolta la scusa era una partita di basket che vedeva sul campo la squadra israeliana sfidare la Virtus in Eurolega e che, secondo i Pro Pal, non si doveva giocare.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Il consigliere di Mattarella può tramare contro Meloni e conservare il suo incarico. Invece il portavoce del ministro lascia per il sostegno al centrodestra in Campania.
Piero Tatafiore si è dimesso. Il portavoce del ministro della Cultura ha lasciato per aver inviato, dal suo account ufficiale, un link riguardante la partecipazione di Alessandro Giuli a un’iniziativa politica per le elezioni in Campania. Appena la mail è arrivata ai giornalisti, il Pd ha sollevato la questione, accusando Tatafiore e di conseguenza il suo capo di fare campagna elettorale per il candidato di centrodestra a spese della collettività. Nonostante l’accusa fosse evidentemente falsa, il portavoce credo non abbia impiegato nemmeno un minuto a decidere di fare un passo indietro. E infatti, già nella serata di ieri, sul tavolo del ministro c’era la sua lettera di dimissioni. Credo che una qualsiasi persona onesta colga la differenza fra il comportamento di Tatafiore e quella di Francesco Saverio Garofani.
Edmondo Cirielli corre in Campania con Fdi (Ansa)
In 13 milioni chiamati a scegliere i nuovi governatori. Seggi aperti fino alle 23.
Urne aperte oggi dalle 7 alle 23 e domani dalle 7 alle 15 per le elezioni regionali in Veneto, Campania e Puglia. Con questa tornata si conclude la serie delle elezioni regionali del 2025: si è già votato infatti in Toscana, Marche, Calabria e Valle d’Aosta. Sono circa 13 milioni gli elettori interessati (5 milioni in Campania, 4,3 milioni in Veneto e 3,5 milioni in Puglia), anche se anche questa volta si teme l’astensionismo: cinque anni fa l’affluenza fu del 55,5% in Campania, 61,2% in Veneto, 56,4% in Puglia.
Ornella Vanoni (Ansa)
La signora della musica italiana voleva gustarsi la stracittadina di oggi, ma la morte è giunta prima. Il grande amore con Gino Paoli, infiniti capolavori e una voce come profumo: «Dedicatemi un’aiuola».
Domani è un altro giorno, anche se lei avrebbe voluto che fosse un giorno come un altro. Come ogni signora ultra-snob del quadrilatero milanese (doppio filo di perle, pelliccia di zibellino a strascico), Ornella Vanoni amava la penombra e il sottotono. E guardando da lassù la canea sgomitante delle prefiche è sbalordita, perfino un po’ schifata, per l’immenso abbraccio sudato che la avviluppa e la soffoca. Ha ragione Fiorella Mannoia: «Ogni parola sembra banale. E lei odiava la banalità». Meglio stare in silenzio e ascoltare una playlist. Là dentro, fra le note d’arte classica modulate da quel timbro unico - nasale, vellutato, sensuale, barricato dalle «papier mais» anni Settanta - c’è tutta l’Ornella del mondo.






