Sperimentazione di Aspi sull’A26 anche in un tratto in galleria Le «smart road» si avvicinano ma restano molti nodi da sciogliere.
Sperimentazione di Aspi sull’A26 anche in un tratto in galleria Le «smart road» si avvicinano ma restano molti nodi da sciogliere.Sembra una scena di un classico colossal americano, però ambientata su un’autostrada italiana: ecco l’autista seduto al suo posto, con le mani adagiate sulle ginocchia. È attento, vigile, ma non muove un muscolo. Intanto la macchina accelera, frena e sterza per conto suo, senza che nessuno sfiori il volante. A governarla provvede un computer, un pilota automatico. Più avanti e più indietro sull’asfalto, altre vetture tradizionali proseguono indisturbate verso la loro destinazione.Non è finzione, è cronaca: l’auto non ha difficoltà a guidarsi da sola tanto all’aria aperta quanto durante il percorso in galleria, dove la sua bussola, il segnale satellitare, di regola tende a farsi flebile o a scomparire. Ci riesce attraverso una serie di antenne strategicamente posizionate lungo il tunnel, che in ogni momento ne sorvegliano la posizione assicurandosi che tutto fili liscio, pronte a captare eventuali anomalie e a farle rimbalzare come segnali d’allerta dentro l’abitacolo. È la dinamica della sperimentazione portata a termine da Autostrade per l’Italia, per la prima volta in assoluto su un tratto aperto al traffico. Significa che, mantenendo i più elevati requisiti di sicurezza - compresa l’indicazione esplicita di quanto stava accadendo, tanto su cartelli elettronici quanto sui mezzi di servizio nei dintorni - l’automobile ha guidato da sé in un giorno ordinario, tra macchine qualsiasi.È l’antipasto delle smart road, delle strade intelligenti e connesse che comunicano con un linguaggio invisibile, ma ricco di dati preziosi. Lo fanno, e lo faranno, non soltanto con i veicoli automatizzati, ma anche con quelli tradizionali, manovrati da un pilota umano, al quale sapranno segnalare sul cruscotto una situazione di traffico intasato, un cantiere o un incidente, prima ancora che quell’elemento possa entrare nel campo visivo. Così come faranno presente la necessità di prestare maggiore cura, di essere più vigili per un tratto reso avverso dalla pioggia o dalla neve.«Questa sperimentazione», dice Roberto Tomasi, l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, «ci proietta verso il futuro e rivoluziona il concetto di guida su strada. Il nostro gruppo sta testando le soluzioni che permetteranno ai veicoli a guida autonoma di leggere in anticipo gli eventi, grazie ai dati trasmessi dall’infrastruttura».Si è proceduto per gradi, per livelli, per cominciare in ambienti protetti, chiusi al traffico, trasferendosi poi in quelli aperti alla circolazione ordinaria. Il preludio di questo secondo scenario è avvenuto lo scorso luglio sull’A26, per 20 chilometri, in una porzione senza tunnel. A fine ottobre la sperimentazione ha interessato altri 30 chilometri, transitando per la galleria Valsesia, in provincia di Novara, più a Ovest rispetto all’aeroporto di Milano Malpensa. Ulteriori test sono in programma in questi mesi, sempre passando per la galleria Valsesia.La notizia è rilevante perché Autostrade per l’Italia è la prima concessionaria in Italia a consentire la circolazione di questi veicoli evoluti, in aderenza a quanto stabilito dal decreto ministeriale ribattezzato, per l’appunto, Smart road. Lo fa attraverso Movyon, il centro d’eccellenza per la ricerca e l’innovazione del gruppo, assieme al Politecnico di Milano, che è stato autorizzato a svolgere tale tipo di test, in affiancamento a un osservatorio tecnico ad hoc del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.Nello specifico, Movyon e il Politecnico hanno elaborato una tecnologia che, basandosi sulla comunicazione senza fili tra il veicolo e le antenne già distribuite lungo la rete, permette all’auto di ricevere informazioni utili a mantenere un livello di automazione costante lungo il percorso. La logica di fondo è che la vettura non può affidarsi solo agli strumenti di bordo, ha bisogno di dialogare in ogni momento con l’ambiente che la circonda.Il passo è importante, mentre alcune cautele e puntualizzazioni sono d’obbligo: siamo ben distanti dall’automazione totale, in cui chi è al volante può leggere il giornale o guardare un film in movimento, disinteressandosi completamente di ciò che avviene sulla carreggiata. E non è detto che questo scenario sia poi così auspicabile. Gli stessi test di Autostrade sono tarati sul cosiddetto «livello 3», standard in cui il guidatore è comunque seduto al suo posto ed è pronto a intervenire, qualora si renda necessario. Sul tema, il dibattito si sta infiammando negli Stati Uniti per la morte di un dipendente di Tesla che, nel 2022, è andato a schiantarsi contro un albero su una strada di montagna. Un’inchiesta di pochi giorni fa del Washington Post ha rivelato che il sistema di assistenza avanzata alla guida era in funzione. Il punto è che in contesti complessi, o quando il meteo è parecchio inclemente, il pilota automatico potrebbe perdere lucidità o difettare di precisione. Ma forse, in casi come quelli, evitare di affidare la propria macchina, e la propria vita, alle decisioni di un’altra macchina sarà una semplice questione di buon senso.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
Continua a leggereRiduci





