
Il ministro della Pubblica amministrazione apre all'ipotesi di rivedere il limite ai salari nella Pa. Aprire un ragionamento sul tetto ai salari nella Pa non è un tabù per il ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, Anzi. -interrogato dal direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa, il Ministro sostiene, che anche se in maggioranza non se ne è ancora mai parlato, «un ragionamento che prima o poi andrà fatto se l’obiettivo è quello di reclutare i migliori. Anche nel pubblico, come nel privato, le posizioni apicali comportano grandi responsabilità e, per ricoprirle, servono competenze specialistiche e capacità manageriali. Puntare a una classe dirigente con queste caratteristiche, significa uscire dai recinti ideologici e guardare al pubblico come al privato». Insomma, i salari nel pubblico possono e devono aumentare, quando c’è merito, sia ai vertici alti della piramide, sia ai livelli più bassi.«Trovo impensabile – spiega il ministro - continuare con la logica degli aumenti a pioggia e dei dipendenti tutti eccellenti. Quando parliamo della competitività delle retribuzioni dobbiamo ragionare anche sui sistemi gestionali. La Pubblica amministrazione, come qualunque altra organizzazione, deve assegnare obiettivi veri e sfidanti, in base ai quali riconoscere l’eccellenza, e deve disporre di un sistema di misurazione e di valutazione della performance coerente con l’assegnazione dei premi. Oggi tutto questo non esiste, è un processo meramente burocratico. Rifiuto categoricamente questo approccio perché significa rinunciare all’idea di una Pa moderna e attrattiva, significa abdicare all’esigenza di essere vicini alle aspettative dei nostri utenti, attraverso la valorizzazione delle persone». Sul numero dei dipendenti pubblici evidenzia: «Non è affatto vero che in Italia i dipendenti pubblici sono troppi. Il rapporto con gli abitanti è del 5,3 per cento, molto più basso rispetto a Germania, Francia o Spagna. Ed è basso anche il rapporto sul totale degli occupati, circa il 14 per cento, contro una media Ocse del 18; nei paesi del Nord Europa si attesta sul 25-30 per cento, in Francia intorno al 20. Il decreto Flussi è una leva per avere lavoratori che arrivano nel nostro paese già formati, perché scoraggia gli ingressi irregolari ampliando i canali per chi vuole invece entrare in Italia per lavoro. Quando si affronta il tema non bisogna cadere nelle banalizzazioni, che non fanno altro che ribadire dei luoghi comuni: posso confermare che nella Pubblica amministrazione ci sono eccellenze che dobbiamo essere capaci di premiare. La sfida è quella di puntare su una formazione continua». Ci può dire quale potrebbe essere una formula utile per misurare finalmente l’efficienza dei dipendenti della Pa ed eventualmente premiarli? «Il merito è centrale per il buon andamento di qualunque organizzazione, ma nella Pubblica amministrazione c’è ancora scarsa sensibilità su questo tema. La Corte dei conti ha certificato l’appiattimento verso l’alto delle valutazioni del personale e la conseguente attribuzione di premialità senza adeguati presupposti meritocratici. È quanto sostengo sin dal mio insediamento. Per questo ho già emanato una direttiva che parla di performance e di corretta attuazione della valutazione degli obiettivi e ora sto lavorando per introdurre novità importanti dal punto di vista delle progressioni di carriera, per rendere più flessibili le possibilità di avanzamento e assegnare ai dirigenti un ruolo determinante nella crescita delle persone. Vogliamo passare dall’attuale modello, un ‘fai da te’ in cui per far carriera si deve studiare e vincere un concorso, a un sistema per obiettivi, dove si viene valutati e premiati sulla base dei risultati raggiunti. È anche in questo modo che si diventa più attrattivi nei confronti dei giovani». Infine sulla possibilità che il Jobs act, e quindi la flessibilità sui contratti di lavoro, possa essere introdotto anche nel privato si mostra scettico: «Ho il timore che la discussione sul Jobs Act ci riporti nel recinto delle ideologie, allontanandoci dagli attuali problemi del mondo del lavoro. I giovani d’oggi vogliono più del posto fisso; cercano opportunità di carriera, attraverso la formazione e la valorizzazione del merito, e il giusto bilanciamento tra l’occupazione e la vita privata. È questi temi che stiamo lavorando e su cui dobbiamo confrontarci, non sui vecchi slogan».
Lars Klingbeil (Ansa)
Il cancelliere ha annunciato un autunno di riforme «lacrime e sangue». In bilico il «Reddito di cittadinanza» per i disoccupati. Ma la Corte dei conti federale boccia la manovra perché non riesce a contenere il debito.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Dopo 17 anni alla guida di Mediobanca arrivano le dimissioni dell’amministratore delegato. L’uscita segue l’opas di Mps. Nella lettera ai dipendenti cita Orazio e rivendica i risultati raggiunti. Poco prima delle dimissioni ha venduto azioni per oltre 21 milioni.
La casa distrutta a Lublino (Ansa)
La casa distrutta nell’area di Lublino è stata colpita dal missile sparato da un F-16, non dai velivoli di Vladimir Putin. Salta la pista russa pure per l’omicidio di Andriy Parubiy: l’ha ucciso un ucraino furioso per la morte del figlio al fronte.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
Il premier dalla campagna elettorale di Acquaroli ad Ancona: «Elly Schlein mi chiede di fare nomi e cognomi di chi mi odia? Ci stiamo una giornata».
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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