2020-10-05
Ad Assisi riposa un soldato, non un ecologista
Il Papa ha firmato l'enciclica sulla tomba di San Francesco, troppo spesso dipinto da chi vuole sovrapporlo a questo pontificato come un sognatore zeppo di buoni sentimenti. Al contrario s'impegnò nella difesa dei luoghi sacri, senza mai piegarsi agli islamici.Migranti, riscaldamento globale, diseguaglianze economiche e sociali: l'enciclica Fratelli tutti di Francesco è un concentrato dei temi «sociali» che tanto interessano al pontefice e tanto sembrano piacere ai media, specie quando possono rigirarli a loro vantaggio. Volendo aggiungere un'ulteriore pennellata multiculturale si può ricordare che alla composizione del nuovo testo, per stessa ammissione del Papa, ha fatto da stimolo - tra gli altri - il grande imam Ahmed Al Tayyeb, che con Francesco è da tempo in ottimi rapporti. Un legame che resiste a dispetto di alcuni episodi poco piacevoli di cui l'imam si è reso protagonista nel corso degli anni, tra cui la partecipazione a un programma televisivo egiziano in cui legittimò la violenza sulle donne (in quell'occasione Al Tayyeb spiegò che le femmine non andrebbero bastonate o pestate con forza, piuttosto spintonate o schiaffeggiate. Parliamo di un religioso moderato, dopo tutto).L'enciclica, diffusa ieri in versione integrale, è stata firmata sabato ad Assisi, sulla tomba di San Francesco. Inevitabilmente, questo gesto contribuisce all'ormai annosa sovrapposizione fra la figura del santo e una lunga serie di istanze appunto sociali, se non addirittura politiche, che con il Poverello hanno poco a che fare. Nel piatto immaginario comune, infatti, Francesco è diventato una sorta di precursore del terzomondismo: pacifista, ecologista, quasi socialista… Uno stereotipo che, già alcuni anni fa, aveva irritato Franco Cardini, uno dei più autorevoli storici italiani. A Vittorio Messori, Cardini spiegò che il santo d'Assisi «non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso. Non era il precursore dei teologi della liberazione. Né tantomeno fu l'araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico-pacifista: il tipo che ride sempre, lo scemo del villaggio che parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi. No, Francesco era ben altro».Già Chiara Frugoni aveva colto la fondamentale importanza del contesto in cui crebbe prima di convertirsi. Figlio del mercante Pietro di Bernardone dei Moriconi e di donna Pica Bourmont, alla nascita (1181/1182) gli fu dato il nome di Giovanni - segno mistico di non secondaria importanza, per chi volesse vederlo - e successivamente quello di Francesco, forse per via dei buoni affari che il padre conduceva in Francia. Era benestante, non aristocratico, ma fu sempre affascinato dagli ideali cavallereschi. Ed è proprio nel modello della cavalleria medievale che si radicano alcuni dei suoi tratti caratteristici, prima e dopo la scelta di donarsi a Dio. È Bonaventura da Bagnoregio a riferire di un sogno che colpì particolarmente il giovane Francesco: si vide all'interno di un elegante palazzo, «pieno di armi contrassegnate con la croce di Cristo». Sarebbe divenuto un cavaliere, ma di un tipo particolare: un miles christi, un combattente di Dio. Ecco il punto centrale: la battaglia, la buona battaglia. È un'idea - di più, uno stile di vita - che non abbandona mai Francesco, e che i francescani dopo di lui riprenderanno. A questo proposito è estremamente suggestiva la lettura di un volume fresco di pubblicazione: Dopo Francesco, oltre il mito (Viella editrice) firmato dallo storico Paolo Evangelisti. Egli fa cenno alla figura di Fidenzio da Padova, francescano che fu Vicario di Terrasanta, e che tra il 1272 e il 1274 scrisse «un vero e proprio trattato politico-militare che ha come obiettivo la recuperatio Terrae Sanctae e il suo mantenimento dopo la riconquista». Se è vero che i francescani portarono avanti rapporti fruttuosi con il mondo islamico, infatti, è vero anche che non lo fecero certo con spirito di sottomissione o per chissà quale simpatia «multiculturale» (Raimondo Lullo formulò addirittura otto diverse proposte per il recupero dei luoghi sacri). Francesco stesso, come noto, si recò nel 1219 dal sultano d'Egitto al-Malik al-Kamil, e certo cercò «un dialogo», ma di sottomettersi non se ne parlava. Semmai, l'intento era quello di convertire l'infedele. Nella Regola francescana del 1221, per altro, è scritto che sempre i cristiani presenti in Terrasanta devono confessare la loro fede, e se «vedranno che piace a Dio» potranno tentare di annunciare la Parola affinché i musulmani «credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo». Fidenzio da Padova propone esattamente questo modello, rivolgendosi non soltanto ai frati, ma pure ai laici. In qualche modo egli recupera gli ideali cavallereschi, auspicando la creazione in Terrasanta di una comunità che goda di «un'adeguata preparazione militare» e di «un codice di riferimento, di una tavola di valori condivisi che riguardano ogni aspetto della vita sociale e politica» (così scrive Paolo Evangelisti). Fidenzio li chiama pugiles Cristiani o pugiles Cristi: «lottatori» di Cristo. Poveri e parchi dei costumi, ma pronti se necessario ad esercitare la largesse cavalleresca. Nobili d'animo, attenti a conservare il giardino divino che è la natura, sempre fieri del loro retaggio.Come il samurai, dice Daidoji Yuzan «non si separa mai dell'idea della morte», così i frati s'accompagnano a sorella Morte e sono disposti a perdere tutto pur di diffondere la parola del Signore. Questa è la differenza, troppo spesso occultata, tra «guerrieri dello spirito» e attivisti di una Ong.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Iil presidente di Confindustria Emanuele Orsini (Ansa)