
Sono composte da sedici voci, dalla guerra in Etiopia ai vari terremoti. Ma non si tratta di un tributo progressivo e non serve agli scopi indicati. Il governo dovrebbe rimediare.Il provvedimento del governo che ha annullato la riduzione delle accise sui carburanti è francamente molto difficile da digerire perché non c’è nulla da fare: l’accisa viene dal latino, da un verbo che vuol dire tagliare, tant’è vero che quando oggi si usa il termine «taglia» lo si fa - sulla scorta di quanto scrisse Luigi Einaudi - per indicare un’imposta della quale poi non vediamo con chiarezza a quali servizi che ci vengono offerti corrisponda e non miri unicamente, come scrive la Treccani, a «impinguare le casse dello Stato che la impone e non tiene conto delle ripercussioni economiche».Difficile definire meglio un’accisa. Primariamente perché, come è noto ormai a tutti, le accise sui carburanti sono composte di sedici voci tra le quali si va dalla prima che riguarda il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935/36, poi, solo per citarne alcune, si va alla ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966, poi a quella dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980, al rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004, poi all’acquisto di autobus ecologici del 2005, poi per far fronte all’arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011 e l’ultimo, sempre del 2011, per il decreto «Salva Italia» che in realtà l’Italia la mise in mutande, ma questo sarebbe un altro discorso. Insomma, nel 2022 si contavano sedici voci, alcune le abbiamo citate, che fanno parte dell’elenco delle accise sulla benzina e sul gasolio. Dobbiamo fare una precisazione un po' pedante e ce ne scusiamo con le lettrici e i lettori, ma è necessaria. La differenza tra le tasse e le imposte è che le tasse servono a finanziare un servizio chiaramente identificabile, ad esempio, per intenderci, la tassa sui rifiuti; le imposte servono invece per pagare i servizi generali a carico dello Stato, per esempio quello della sanità pubblica. Ora voi capite bene che, siccome le accise arrivano quasi a comporre la metà del costo della benzina e del gasolio, è importante capire se si tratta di una tassa o di una imposta e non è una questione da Azzeccagarbugli, è una questione di diritti del contribuente che deve sapere che cosa paga e per cosa lo paga. Poiché le accise sono composte da sedici voci molto chiare è chiaro che si tratta di tasse, cioè di soldi che io pago per quegli obiettivi specifici. Ora, a parte le accise evidentemente obsolete come quella per l’Etiopia, per Suez, per il Vajont, per Firenze, per il Belice, per il terremoto del Friuli o dell’Irpinia e via di questo passo, anche le altre successive fino alla ricostruzione dopo il terremoto dell’Emilia del 2012, la domanda è: siamo proprio sicuri che quei soldi vadano proprio a finire per gli scopi indicati dalle sedici accise? O forse vanno a finire nel calderone generale delle imposte essendo l’applicazione delle accise una delle forme più semplici ma anche subdole di tassazione dei cittadini? Secondariamente c’è poco di più iniquo delle accise sui carburanti; se c’è un tributo che non rispetta la Costituzione è proprio quello delle accise. Sia perché non è un tributo progressivo: paga la stessa accisa il povero assoluto e l’uomo o gli uomini e le donne più ricchi in Italia. Ditemi voi dov’è la progressività del tributo, non c’è. Sia perché l’accisa il contribuente è tenuto a pagarla indipendentemente dalla sua capacità contributiva, in parole povere: sia che ce la faccia, sia che non ce la faccia. L’accisa è una dimostrazione fuori discussione, evidente, dell’iniquità del sistema tributario italiano. Che poi lo facciano anche altri Paesi non vuol dire una benamata mazza, perché l’iniquità non ha né colore né limiti territoriali: ovunque venga perpetrata rimane sempre un’iniquità. Sappiamo perfettamente due cose: la prima è che questo provvedimento del taglio delle accise costava diverse centinaia di milioni al mese, la seconda che questo governo si è trovato a salire sul treno in corsa con molti pochi soldi a disposizione e quindi di fronte alla necessità di scegliere dove mettere quei pochi soldi e dove tagliarli. Chi non vede queste cose o ha difficoltà di vista o è in malafede perché sono incontrovertibilmente sotto gli occhi di tutti. Pur essendo così le cose, forse ci voleva allora un po' più di prudenza in campagna elettorale da parte degli esponenti dei partiti che oggi formano la coalizione che ci governa. E non solo per una questione di comunicazione, che pure nella nostra società ha una qualche rilevanza, ma per una questione di atteggiamento generale nei confronti delle tasse che ha caratterizzato il centrodestra fin dai suoi albori nel 1994.Certo non torneremo - speriamo - ai prezzi che andarono alle stelle nel marzo del 2022 ma, comunque, il peso di questa accisa che era calata dello 0,25 ricadrà su chi deve usare l’auto o altri mezzi per andare a racimolare pochi soldi in fondo al mese con cui campare. A tutto si può rimediare. Diamo tempo al governo di dimostrare che sulle tasse si può cambiare.
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