2025-11-24
«Le case d’auto non hanno idea di chi siano i loro consumatori»
Nel riquadro, Pierluigi Del Viscovo (IStock)
L’analista Pierluigi Del Viscovo: «A furia di dialogare con la politica, i grandi gruppi si sono illusi di convincere sull’elettrica i clienti. I quali, però, pensano a traffico e parcheggi, non all’inquinamento».Pierluigi Del Viscovo, da analista ed esperto del settore, nonché editorialista, ti faccio una domanda semplice. Si fa un gran parlare di revisione del Green New Deal, ma per il settore automobilistico sta cambiando qualcosa?«(Pausa di diversi secondi, ndr) Ci sono tre argomenti in questa domanda. Primo: il settore auto in Europa e in Italia. Secondo: le chiacchiere su Green Deal e cambiamento climatico. A proposito chi ha notizie della Cop30? Spiaggiata dalle parti del Brasile, la stanno ancora cercando! Il terzo, che è anche il più spinoso, riguarda la politica europea».Perché spinoso?«Riguarda pure la maggioranza di centrodestra».Non ci fa paura affrontare il tema, tranquillo...«Nel settore auto in Europa finora abbiamo ascoltato soltanto chiacchiere. Non è cambiato nulla. Queste chiacchiere potevano andare bene cinque anni fa. Oggi i buoi sono scappati dalla stalla. Chiuderla non so quanto serva. Ci sono enormi responsabilità dell’industria automobilistica. A livello politico non è cambiato praticamente nulla. Pensa al divieto di immatricolare auto col motore endotermico a partire dal 2035. Tutti, ma proprio tutti, si sono convinti che non scatterà. Lo dicevo già nel 2019. Di lì ad allora ci sarebbero state quattro commissioni. Quel divieto già ai tempi non valeva nemmeno il prezzo della carta su cui era scritto. Però ha orientato la politica commerciale e industriale dell’auto».E ha fatto danni.«Pensa alle multe imposte a partire dal 2020. Il mix di vendite di auto per evitarle si attestava al 4-5% del totale. Multe salatissime. Ma fino al 2024 con questi target erano schivabili. Dal 2025 questa percentuale, e si sapeva già dall’inizio, è salita intorno al 20-25%. Percentuale completamente fuori mercato. La quota di penetrazione delle auto elettriche in Europa si è stabilizzata e non cresce più. E i costruttori si sono accorti che l’obiettivo è irraggiungibile. Dal 2025 dovrebbero pagare multe miliardarie».Quindi?«Il limite ora deve essere rispettato, ma come media nei tre anni da oggi al 2027. Ora, questo meccanismo ha senso in un contesto di penetrazione crescente, perché quel target che non raggiungi nel 2025 magari lo centri nel 2026 e lo superi nel 2027: con la media ci stai dentro. Ma se la penetrazione non aumenta?»Un calcio al barattolo…«Esattamente. Tanto è vero che i costruttori di auto stanno comunque accantonando le multe nei loro bilanci. Questa pressione fortissima ha conseguenze. La prima è che sono costrette a spingere sull’immatricolazione di auto elettriche. Secondo, per aumentare il margine di contribuzione di ogni vettura prodotta si riducono le varianti. Ecco perché ti trovi molte volte macchine molto simili una all’altra, soprattutto nei grandi gruppi con tanti marchi».Una cronaca allucinante. Il regolatore interviene e si crea un curioso fenomeno in cui i costruttori smettono di competere.«Il punto è proprio questo. L’Europa si è diretta verso un’economia dirigista a stampo socialista. Non è possibile. Il socialismo va bene per distribuire la ricchezza. Ma prima devi produrla e per farlo ti serve che fai funzionare il capitalismo».Bell’aforisma.«Non è mio ma di Shimon Peres. Ascoltato un quarto di un secolo fa dalla sua viva voce in un convegno».Niente competizione e piattaforme produttive comuni.«Scelte industriali non guidate dal mercato. E qui bisogna fare un distinguo fra le responsabilità dell’industria e quelle della politica».Facciamolo.«L’industria automobilistica non fa market intelligence. Vale a dire comprendere i bisogni del mercato. Quando sono arrivato nel settore, avevo constatato come il marketing auto fosse indietro anni luce rispetto a quello di scuole come Colgate Palmolive, Ferrero e Procter & Gamble».Le case automobilistiche, invece?«A furia di dialogare con la politica si erano illuse di convincere i consumatori. E tutt’ora ragionano così. Attribuiscono l’insuccesso delle auto elettriche al prezzo e al numero delle colonnine. Puoi avere il mondo tappezzato di colonnine ma, se ti servono una-due ore a ricaricare la macchina, perché il consumatore dovrebbe cambiare le sue abitudini, visto che a fare un pieno ci mette meno di tre minuti? Cambi le abitudini se hai vantaggi concreti. Lasci il telefono per il telefonino. Hai un vantaggio».E lasci il telefonino per lo smartphone. Non perché te lo impone qualcuno.«Nella mia precedente esperienza non automotive, mi preoccupavo di capire ogni quanto le donne facessero la permanente o i colpi di sole. Come lavassero i panni in lavatrice. Noi eravamo molto vicini alle abitudini e alla vita vera del nostro cliente. I costruttori chiedono nei sondaggi: “Quanto ti interessa il tema dell’inquinamento? Sei disponibile a non inquinare?”. Chiunque risponde di sì. Ma quello non è il tuo consumatore. Chi compra una macchina pensa al traffico e al parcheggio».Sfide impossibili soprattutto in città.«Ora, come fai tu per diminuire e affrontare questi problemi? Aumenti la superficie stradale. E invece con Ztl e piste ciclabili le diminuisci e le arterie stradali scoppiano. E con il Covid si sono ridotti i parcheggi a scapito dei dehors dei ristoranti e dei bar».I costruttori si sono intrappolati da soli.«È una questione quasi antropologica».Cioè?«Immagina l’ego ipertrofico e narcisistico dei grandi manager. Riconoscerebbero mai gli errori? Ma quando mai? Infatti, Tavares e De Meo dicono che la transizione all’elettrico è impossibile. Ora che non producono più auto. Dico una cosa magari fuori contesto, ma Tavares pochi anni fa ha presentato un piano strategico dove al terzo punto c’era l’uguaglianza di genere. Ma dico... tu fabbrichi macchine. Marchionne diceva: io faccio il metalmeccanico. Inoltre, ancora oggi non c’è un’associazione di settore che riconosca come il Green Deal sia un suicidio che deve essere cancellato con un colpo di spugna. Hanno timore. Queste sono le enormi colpe dell’industria. E siccome facevano spallucce quando glielo dicevo, ti dirò che non sono nemmeno così meritevoli di compassione».La politica invece? «Vado controcorrente. Faccio fatica a puntare il dito contro di loro».Mi spiazzi…«Se parti dal presupposto che il politico sia lì per fare il bene dei cittadini, allora sì, hanno sbagliato i politici. Ma il mestiere del politico, e scusa il cinismo, consiste nel prendere i voti per essere eletto o rieletto. Se la guardi in quest’ottica, al politico che dice che l’Europa salverà il mondo tagliando il ramo su cui è seduta, e così facendo prende voti, beh che cosa vuoi dirgli? Ha ragione lui. Al contrario degli industriali ha saputo fare il suo mestiere. Perché in democrazia, quando vedi qualcosa in alto che non ti piace, devi guardare in basso. E se il cittadino medio europeo vota per salvare il pianeta tagliando il ramo su cui è seduto, allora il politico che asseconda questa aspirazione e viene eletto ha saputo fare il suo mestiere».Cinico. Ma che responsabilità ha la politica italiana nel centrodestra? «Rimane agli atti che Fratelli d’Italia, pur stando come Ecr all’opposizione, di fatto all’Europarlamento è stato determinante coi suoi voti per la nascita di questa Commissione che nulla sta facendo. E qui intravedo un problema strutturale più serio».Cioè?«Con il Covid i poteri della Commissione Ue sono aumentati a dismisura. A partire dalla sua capacità di spesa. Pensa ai circa 1.000 miliardi del Pnrr di cui l’Italia ne riceve oltre 200. Fondi che sono gocciolati ovunque. In ogni piccolo Comune con spese spesso inutili se non dannose, che però consentono ai politici locali di restare in sella. Ma così gira il sistema. L’equilibrio che c’era tra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo (dove siedono i capi di Stato e di governo) è saltato. Chi di questi ha il coraggio di contrastare la Commissione, che poi è quella che ti paga le rate del Pnrr? E quindi non abbiamo più Timmermans, ma la Ribera».Peggio che andar di notte...«Una Commissione che vuole salvare il pianeta. Ma cosa salvi il pianeta se tu devi pensare al benessere dei cittadini europei? Un po’ come se tu scrivendo per La Verità volessi lavorare al successo di un telegiornale in Giappone».All’inizio della chiacchierata parlavi della Cop30.«Notato che non ne parla nessuno?».Sì. Sarà un fallimento?«Semplicemente i popoli del mondo non vogliono più essere poveri. E tanti di loro come sono usciti dalla povertà? Con i combustibili fossili ed emettendo più CO2. Come avvenuto negli ultimi 25-30 anni. Da 30 anni i poveri della Terra mangiano di più e meglio e muoiono di meno. E quindi si riproducono di più, perché siamo tutti degli sporcaccioni dalla cintola in giù. Negli ultimi 30 anni la popolazione mondiale passa da cinque a otto miliardi. Questo miracolo, aver sconfitto la fame, ha aumentato le emissioni di CO2, mentre l’Occidente le diminuiva e oggi pesa pochissimo. Ora 700 milioni sono ancora sotto la soglia di povertà e si preparano a fare altrettanto. E noi vorremmo dirgli: “Smettete di fare quello che noi abbiamo fatto in passato”? In questo contesto, che diavolo di risultati potrà mai ottenere la Cop30... Il pianeta si riscalda? Piove di più? Procurati gli ombrelli. C’è siccità? Raccogli l’acqua quando piove. Insomma, non giocare al Padreterno illudendo la gente di cambiare il clima che cambia, ma fai l’uomo e adattati alla natura come abbiamo sempre fatto. Negli ultimi 20.000 anni ha funzionato. Magari funziona anche adesso».
(Ansa)
Il ministero degli Esteri «dal primo gennaio sarà anche un ministero economico». È la riforma della Farnesina spiegata dal titolare del dicastero, Antonio Tajani, ieri a Torino nel corso degli Stati Generali di Forza Italia sul commercio internazionale. «Le nostre ambasciate – ha sottolineato il vicepremier prima di partecipare ai lavori – si dovranno trasformare sempre più in piattaforme per favorire le nostre esportazioni e le nostre imprese. Ho deciso di fare una rivoluzione al ministero degli Esteri. Dal primo gennaio cambierà tutto. Per la prima volta nella storia d’Italia il ministero degli Esteri avrà una testa politica ma anche una testa economica».
«Il ministero – ha spiegato Tajani – diventerà un punto di riferimento per tutti gli imprenditori italiani che lavorano al di là dei confini nazionali. Ho dato disposizione a tutte le ambasciate italiane nel mondo di applicare questo concetto».