2025-03-21
A Matera il sindacato importava clandestini
Aziende agricole, con la collaborazione dei Caf, fingevano di assumere manodopera per far entrare in Italia lavoratori illegali. Un’indagine scoperchia il sistema, revocati i permessi a oltre 5.000 immigrati. Piantedosi: «I controlli funzionano»A Matera per il Click day alcuni Caf, i centri di assistenza fiscale, si sarebbero trasformati in centrali operative di supporto all’ingresso illegale di migranti, posizionandosi tra gli organizzatori dell’affare illecito (che si sarebbero serviti di mediatori) e le aziende agricole che, rappresentando falsamente la necessità di assumere manodopera straniera senza avere una capacità produttiva congrua rispetto alle richieste inoltrate, avrebbero tentato di fare arrivare in Italia, tra il 2023 e il 2024, ben 5.119 extracomunitari. Provenienti dal Bangladesh, dal Marocco, dal Pakistan, dallo Sri Lanka, dall’India, dal Senegal, dall’Egitto e dall’Albania, grazie al trucchetto della cricca, i migranti si sono trovati con un nulla osta all’ingresso nel Paese tra le mani. In Prefettura, però, dopo la richiesta di attenzione sul fenomeno evidenziata dal governo (anche con l’esposto presentato alla Procura nazionale antimafia dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni) e grazie al supporto degli investigatori della Guardia di finanza, si sono accorti che i conti non tornavano e i permessi sono stati revocati. Se fossero andati a segno avrebbero generato un’ondata di lavoratori clandestini pronti a riversarsi sul mercato del lavoro nero. Un affare colossale per chi gestiva il sistema, ma un colpo devastante per la legalità e per le aziende che rispettano le regole. E ieri, al termine dell’attività investigativa, i finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Matera, coordinati dal tenente colonnello Irene Sardone, hanno segnalato alla Procura 72 persone per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina tramite la falsificazione di documenti, bloccando gli ingressi illegali. L’indagine, spiegano gli investigatori, partita da un’attività informativa, ha incrociato i dati del ministero dell’Interno con quelli delle banche dati delle Fiamme gialle, analizzando le istanze del Decreto flussi trasmesse alla Prefettura. Il quadro emerso avrebbe svelato un vero e proprio mercato nero dei permessi di soggiorno, orchestrato dai titolari delle aziende con gli aiutini dei gestori di centri di assistenza fiscale e di faccendieri senza scrupoli. Tutti pronti, secondo l’accusa, a monetizzare sulla pelle dei migranti. Il meccanismo era rodato: le aziende presentavano richieste di assunzione di lavoratori stranieri per il settore agricolo, dell’allevamento e del turismo (Matera, dopo l’anno da Capitale europea della cultura, è diventata una delle mete turistiche più ricercate del Mezzogiorno). Peccato che 34 di queste imprese non avessero alcuna reale necessità di manodopera: il loro volume d’affari e la capacità produttiva, secondo gli investigatori, sarebbero risultati assolutamente incompatibili con il numero di assunzioni richieste. Bastava semplicemente incrociare i dati. Ma il trucco, all’apparenza semplice quanto efficace, era facilitato dalla falsificazione di documenti: carte d’identità, dichiarazioni di asseverazione, autocertificazioni, modelli Iva e Unico. Ovvero tutto ciò che serviva per il business che ha tentato di sfruttare a proprio vantaggio il sistema dei Click day, il momento in cui si aprono le finestre per la presentazione delle domande al ministero dell’Interno (con il Decreto flussi del novembre 2024, però, sono stati apportati dei correttivi che mirano a impedire gli abusi). Il tutto, ovviamente, condito da un giro d’affari che ora gli inquirenti stanno cercando di quantificare. L’inchiesta, dopo quella di Salerno (nella quale è finito tra gli indagati il tesoriere regionale del Partito democratico Nicola Salvati), ha confermato le falle del sistema che, proprio come denunciato della Meloni, ancora una volta si è dimostrato permeabile all’uso illegale. Già in quella indagine, per associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina, riciclaggio e utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, erano emersi dei collegamenti con la Basilicata: nove indagati, tra i quali alcuni titolari di aziende agricole con interessi in Campania, erano residenti nella provincia di Matera (Montecaglioso, Tricarico e Pisticci). «È un ulteriore risultato significativo nella lotta contro il traffico di esseri umani», ha commentato ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, congratulandosi con gli investigatori della Guardia di finanza e con i funzionari della Prefettura. Poi ha aggiunto: «Questa operazione conferma che il sistema di controlli funziona e sottolinea, ancora una volta, l’importanza di un coordinamento efficace tra le istituzioni». Ora resta da capire in che direzione si siano mossi i flussi di denaro, per individuare chi ha incassato e chi ha pagato per ottenere i falsi permessi. Il sospetto è che, anche a Matera, dietro questo meccanismo si celi una rete ben organizzata, che potrebbe avere ramificazioni anche fuori dai confini italiani. Ora la palla passa alla magistratura. L’inchiesta è solo all’inizio.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)