Ai tributi previsti si sommeranno quelli slittati fra marzo e maggio. I commercialisti: «Rinvio a settembre».Dopo il danno, la beffa. Lo slittamento delle imposte del trimestre marzo, aprile e maggio rischia di tradursi in una batosta per le imprese. Alla riapertura avranno di fronte un mese horribilis, in cui al pagamento delle tasse rinviate si sommeranno le usuali scadenze pre estate. Un ingorgo fiscale esplosivo. Giugno è il tradizionale appuntamento con l'Agenzia delle entrate, soltanto che questa volta le aziende ci arriveranno senza fiato, messe a dura prova da più di un mese di blocco totale e da una ripartenza scaglionata e tra mille incertezze. Alla carenza di liquidità si aggiunge la confusione del quadro normativo con annunci, false partenze e decreti modificati in corsa. Basti pensare che lo stop fiscale di marzo avrebbe dovuto bloccare 8,7 miliardi di imposte, invece a causa del ritardo del Cura Italia, arrivato il 17 marzo, lo Stato si è assicurato entrate per 5,2 miliardi. Chi si era affrettato a pagare è stato beffato. I ritardatari dovranno comunque presentarsi puntuali all'appuntamento di giugno. Per tutti si prepara una corsa contro il tempo tant'è che i commercialisti hanno chiesto un ulteriore rinvio a settembre per dare la possibilità ai contribuenti di incassare qualcosa ma anche di districarsi nelle nuove norme. Vediamo il labirinto fiscale che attende le imprese. Punto numero uno: a giugno vanno saldate le imposte non pagate a marzo, aprile e maggio. Per marzo abbiamo già detto. Per i successivi due mesi dovranno essere versati complessivamente circa 10,7 miliardi. Nella relazione tecnica al decreto liquidità, leggiamo che ci sono ritenute Irpef per 4,3 miliardi (2,53 di aprile e 1,77 di maggio), ritenute d'acconto pari a 929 milioni (462 milioni di aprile e 467 di maggio) e Iva per 5,53 miliardi (2,53 di aprile e 2,59 di maggio). A questi vanno aggiunti i versamenti contributivi e assicurativi che nelle relazione non sono riportati. A giugno, oltre a questi versamenti congelati, le imprese dovranno far fronte alle scadenze usuali. Prima serve un passo indietro per dire che il pregresso bloccato può essere versato in un'unica rata o in cinque rate. Una dilazione che non cambia granché per le casse esangui delle imprese, dal momento che difficilmente a fine anno saranno in grado di tornare ai volumi pre crisi.A giugno l'imprenditore deve innanzitutto versare i suoi contributi previdenziali che, in una situazione di normalità, hanno come termine ultimo il 16 maggio, ma sono stati posticipati.L'impegno fiscale più importante è con il saldo delle imposte dell'anno precedente (Irpef, Ires e Irap) e con l'acconto per il 2020. Quest'ultimo, in base all'articolo 20 del decreto liquidità, può essere pagato in maniera ridotta. Invece del 98% va versato l'80%. Uno sconto che ha un valore più psicologico che effettivo.Quanto vale il gettito di giugno? Per le imprese è un macigno. Dal Bollettino delle entrate fiscali e tributarie del ministero dell'Economia emerge che a giugno 2019 l'Irpef ammontava a 4,6 miliardi, di cui un terzo pagato dalle persone fisiche e due terzi dalle partite Iva, cioè 3,5 miliardi. Per l'Ires sono stati versati, a giugno 2019, tra saldo e acconto per l'anno successivo, 11 miliardi. L'Irap vale 6,3 miliardi. Complessivamente prima dell'estate se ne vanno per queste imposte circa 23 miliardi a cui va aggiunta l'Iva per circa 10 miliardi. Bisogna ricordare che può essere versata con cadenza mensile o trimestrale. E siamo arrivati a 33 miliardi. Se aggiungiamo gli 11 miliardi di tasse bloccate tra marzo e maggio, tocchiamo quota 45 miliardi circa. Una bella batosta.«Non solo è una mazzata ma le nuove norme arrivano a ridosso delle scadenze e in una situazione di grande confusione. I commercialisti dovranno districarsi tra mille cavilli. Nella crisi del 2008 abbiamo assistito al suicidio di molti imprenditori, ora tante imprese potrebbero non riaprire più e andare verso il fallimento» commenta il presidente della Cgia di Mestre Renato Mason. E avverte: «Alcuni diritti fondamentali sono stati sospesi, non vedo perché non si debbano eliminare alcune procedure sciocche che in questa situazione sono paradossali».
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.






